ARTICOLI 2013

L’ultimo libro di Alessandro Gualtieri:  “La Grande Guerra delle donne” Rose nella terra di nessuno”

Numero 1.2013
 

Il libro parla del ruolo delle donne (della figura femminile) durante il periodo della Prima Guerra Mondiale. Vi vengono affrontate tematiche interessanti e anche curiose. Chi erano le cosiddette “madrine di guerra”? In cosa consistette il contributo delle donne alla guerra? Quali furono le conseguenze del conflitto sul ruolo futuro della donna nella società civile italiana? Come si comportarono le donne negli altri paesi europei coinvolti nel conflitto? A queste e a simili domande risponde il libro di Gualtieri.

Storie di donne, storie di attività femminili, occupazione di ruoli lasciati vacanti, necessità di manodopera, di lavoro, di ingegno, e di conseguenza poteri conquistati, dimostrazioni di validità, di efficienza, il tutto unito a bontà e gentilezza: un mix di prerogative difficilmente riscontrabili nel maschio dominatore e “guerriero”. Chi l’avrebbe mai pensato che la donna si sarebbe “liberata” proprio in virtù della guerra! Eppure questo avvenne. La donna si rivelò sensibile e sapiente. Causa ed effetto, come sempre, nella logica degli eventi, determinano l’evoluzione; o che dir si voglia, una certa manifestazione in un ben definito ambiente ospitante determina un effetto. Molteplici sono gli argomenti trattati nel libro.

LE CROCEROSSINE – Una precisa e poetica rievocazione a ricordo dei meriti delle “volontarie della Croce Rossa Italiana” egregiamente rappresentate dal ruolo assunto dalla duchessa Elena d’Aosta, che agirono a fianco della Sanità Militare.

DONNE, CULTURA E POLITICA – Di primario interesse, e fulcro del libro, è l’analisi sociologica dell’emancipazione della donna non solo in Italia, ma nell’Europa tutta, allineando i fatti salienti in un riassunto esaustivo che inquadra appunto gli albori di quella ascesa che avrebbe portato di lì a poco i diritti della donna a fianco di quelli dell’uomo.

LE PROFUGHE – Poiché i mariti erano stati chiamati al fronte, il fenomeno degli “internamenti” lo subirono in prevalenza le donne (spesso separate dai figli e dagli anziani che venivano lasciati sul posto). Da parte delle autorità italiane, specie in Trentino, si verificarono numerosi casi di internamento nei confronti di cittadine di etnia italiana che avevano un marito austriaco combattente per l’esercito dell’Austria - Ungheria, accusate di atteggiamento sovversivo denominato ”austriacantismo”. Da parte delle autorità austriache si tendeva a spopolare le zone occupate dagli Italiani  internando i profughi nei campi di Katzenasu, Braunau, nelle pianure galiziane e nelle province più interne dell’Europa.

OPINIONE PUBBLICA SULLE DONNE – Occorre meditare su alcune citazioni (opportunamente scelte e presentate alle ppg. 63 e 64) di persone illustri come il Gioberti (es: ”La donna , insomma, è in un certo modo verso l’uomo ciò che è il vegetale verso l’animale, o la pianta parassita verso quella che si regge e si sostenta da sé”), il Rosmini, il Filangieri, Leone XIII nella Rerum Novarum (per le quali si rimanda al libro), citazioni risalenti dunque alla prima metà del XIX secolo che testimoniano in quale tipo di considerazione era tenuta la donna fino alla vigilia della guerra, e fanno capire come la spinta innovativa e libertaria determinata dal conflitto stesso rappresentasse qualcosa di irrefrenabile, irrinunciabile. Non mancano gustosi aneddoti come quello sulle “tranviere” ferme al capolinea, guardate con sospetto mentre si accendevano pure una sigaretta. 

LA MODA – Il libro analizza la storia del costume nel periodo a cavallo dei secoli XIX e XX, quello della Belle Epoque, preludio alla Grande Guerra. In pratica, l’abbigliamento femminile, con il suo cambiamento verso l’uniformazione e la semplicità (e praticità), pur preservando e per certi versi valorizzando meglio la femminilità, contribuì non poco all’emancipazione della donna. I processi di “riformazione” e di “semplificazione” della moda, già iniziati nel periodo precedente, durante la guerra subirono una rapida e definitiva evoluzione.

L’INFERMIERA – Ecco l’iconografia che la donna assunse in uno dei più importanti ruoli nel periodo della Grande Guerra, negli ospedali, nelle retrovie, talvolta anche al fronte: l’angelo consolatore, la grazia, la gentilezza, il sorriso, l’intercessione, la complicità: ossia il messaggio di conforto.

LE CARTOLINE ­– La figura femminile venne riprodotta su cartolina, in vari atteggiamenti, stampata in larga scala, resa disponibile alla truppa per risollevarne il morale. Così il fante, fissando la donna in cartolina si struggeva ma rinveniva in sé cullandosi nel sogno del ritorno a lei. E che dire delle lettere, delle missive inviate dalle donne ai fidanzati, ai mariti, ai fratelli nell’intento di mantenere vivo l’amore, il legame, l’affetto: un grande sforzo di umanità e responsabilità.   

IL DOPOGUERRA – Quando la guerra finì si verificò l’evento triste dei licenziamenti di molte donne nelle fabbriche, perché non c’era lavoro per tutti. Lo sforzo di far rientrare nei ranghi la donna continuò durante il periodo fascista che seguì. Il diritto di parità legittimamente conquistato veniva scelleratamente soppresso dal maschilismo. Ma alla lunga il tentativo di restaurazione della realtà precedente fallì.

BIOGRAFIE – Il bel libro si completa con una serie di biografie di donne celebri diversamente protagoniste nella Seconda Guerra Mondiale:  ad  esempio, l’infermiera inglese Vera Brittain, la famosa spia Mata Hari e altre.

Il libro, dal punto di vista del contenuto appare ineccepibile, è sostenuto da un’alta capacita di analisi, da un’accurata scelta di illustrazioni, testimonianze, citazioni, riferimenti. L’esposizione è ricca ed esaustiva. La qualità è elevata. Il testo è scritto con trasporto, non mancano passaggi accorati, di pura fierezza, come quello a pg. 43, dove si ricorda la data del 1° febbraio 1945, giorno in cui entrava in vigore il decreto Bonomi che riconosceva il diritto di voto alle donne: «Da quel giorno in poi, molte “nuove” donne italiane impararono a scrivere il loro nome e a “riconoscere”, se non proprio a leggere, le parole necessarie per esprimere la loro preferenza nel voto. Non volevano correre il rischio che la loro fondamentale partecipazione alla vita politica del Paese, così a lungo reclamata, potesse andare perduta». 

Alessandro Gualtieri è nato a Milano nel 1964, vive a Gessate da 10 anni.
È appassionato e studioso di storia, si interessa specialmente del periodo bellico 1914-1918.

Presso la Casa Editrice “Mattioli 1885” ha pubblicato:
“La Battaglia della Somme – l’artiglieria conquista, la fanteria occupa” (2010)

“Verdun 1916 – il fuoco il sangue il dovere” (2010)
“Le Battaglie di Ypres – nel saliente più conteso della Grande Guerra” (2011)

“La Grande Guerra delle donne – Rose nella terra di nessuno” (2012)
disponibili nelle maggiori librerie, su internet, su www.mattioli1885.com, e su www.alessandrogualtieri.com
È anche l’autore di:
La Grande Guerra 1914-1918 - Percorso di studio a schede” (disponibile come e-book su Amazon col titolo “1914-1918 – Breve storia della Prima Guerra Mondiale”)
Dal Piave alla prigionia” (Di recente ha tradotto: “Dal Piave alla prigionia” nella versione internazionale in lingua Inglese, intitolata “An Italian forever”, disponibile in tutto il mondo e su www.amazon.com).
I Musei della Grande Guerra

Recuperanti

 Autore e webmaster del sito internet www.lagrandeguerra.net
Fa parte dell’Associazione “Viaggi & Storia
Sito internet www.alessandrogualtieri.com

Walter Visconti

 

"Perché anch'io scrivo e riscrivo..." –
Serata di poesia in Villa Daccò

Numero 3.2013

Il “Gruppo Poesia” di Gessate, nell’ambito delle manifestazioni per la Sagra 2013, organizza, per il giorno 3 ottobre 2013, alle h 21:00 presso la sala Matrimoni della Villa Daccò, una serata dedicata alla lettura di poesie di autori gessatesi di ieri e di oggi.  Con questa iniziativa si vorrebbe dare risalto all’attività del Gruppo, manifestando apertamente , senza remore, i propositi e le aspirazioni, che sono principalmente:

–la lettura, la declamazione di brani e versi di autori non solo celebri e affermati, ma anche sconosciuti al grande pubblico letterario.
–spaziare dalla performance pura e semplice della recita di versi e brani, alla critica aperta con attribuzioni anche di meriti, lodi, commenti, in base a sensazioni spontanee e passioni provocate.
Durante la serata verranno letti brani per il piacere della lettura, della concatenazione dei vocaboli, nell’intento di scoprire significati, offrire musicalità, immagini, sensazioni. Insomma, vorrà essere un ritrovo poetico, una riunione di lettura e ascolto di versi, senza pretese e senza rinunce. Un ritrovo in altre parole “modico” e “salubre”, di letteratura “fresca e schietta” come a immagine d’un salice (se non “alta e schietta” come a immagine d’un cipresso), certamente inedita e sorprendente, forse anche valida e importante. Dunque “avanti tutta” verso la lettura di brani sia “celebri”, sia “scelti”, sia “spiati”, e di declamatorie audaci.

Diciamo “avanti tutta” con la parola “poesia”, per l’antitecnicismo che include, per la forza che emana: forza umana, personale, naturale; fedelissima irriducibile “alleata” in grado di innamorare anime, incitare eserciti, esaltare arte; elevare la qualità, espandere la sensibilità, fondersi nell’amore. Nel suo anticonformismo è possibile intravedere la salvezza, delineate ere e civiltà. Nella poesia albergano sentimento, comprensione, impulso, preghiera, conforto, tutto è possibile trovarvi di buono e saggio. Lo strascico benefico della vita è il poetare (Lautéamont ha detto: la poesia deve essere fatta da tutti, non da uno), la spinta al riconoscimento dei sensi incantati è la lettura, è l’ascolto dei versi. I sussurri dei versi impongono modalità di attenzione, illuminano menti, ispirano azioni, determinano prodigi. Essi vanno considerati un toccasana culturale gratuito e prodigo di effetti benefici allo spirito, tanto gradito a noi Italiani. “Noi Italiani siamo fabbri laboriosi e poeti perspicaci, ci parliamo, ci aiutiamo, ci sentiamo, e per questo abbiamo bisogno dell’incudine e del lauro” (sentita oggi all’Ospedale Maggiore da una gentile signora ultra ottantenne in attesa di una visita specialistica).
Il Gruppo Poesia è nato per conoscere poeti, esprimersi, confrontarsi su temi di poesia. Si riunisce ogni primo lunedì del mese in biblioteca.
Il Gruppo Poesia

ARTICOLI 2012

Gruppo Poesia

Numero 2.2012

 

Ci si riunisce in biblioteca il primo lunedì del mese, nella “family” di Lorella, al tavolo in fondo sulla destra. I piccoli autori di Gessate, dalla Franca Brambilla a Gino, e qualche altro, ci tengono compagnia. Sono lì alle nostre spalle a rincuorarci. Noi, si tende a rimirare i grandi, a proporli a noi stessi come non li conosciamo; se poi qualcuno di noi ha velleità artistiche, è il benvenuto. Qualche esempio. Franca scrive poesie e noi le leggiamo insieme. Anche Gaetano ne ha tolte alcune dal cassetto e le ha presentate. Maria e Clara, dalla voce calda e affabile, sono le lettrici preferite.

Cenni sul percorso del Gruppo.

Marzo 2011 – Il Gruppo di Poesia nasce spontaneamente in occasione della Giornata Mondiale della Poesia 2011, per la quale Gaetano ottiene perfino la sponsorizzazione dell’UNESCO.

Giugno 2011 – Viene proposto un percorso di ricerca sui rapporti tra preghiera e poesia, ispirato dal libro di Henry Bremond. Gaetano inoltre ci illustra Pisacane, i Fratelli Bandiera, Nievo. Marta ci fa conoscere l’immensità di Emily Brontë, la fugacità di Emily Dickinson. Maria inizia ad occuparsi della catalogazione del materiale in vista di successivi incontri.

Settembre 2011 – Ci si ritrova ormai senza preavviso. Prende forma la serata “Risorgimento a memoria” organizzata per chiudere in bellezza l’anno del 150° dell’Unità; l’evento si tiene il 22/10 davanti al tricolore in Villa Daccò, un sentimento di fierezza aleggia nell’aria.

Febbraio 2012 – La Giornata Mondiale della Poesia 2012 è anche l’occasione per celebrare e il Centenario Pascoliano. Nell’evento viene presentata un’attenta relazione sulla Dickinson proponendo brani come “Non è vile la mia anima”, che ci lasciano senza parole; vengono recitate liriche di Tagore e Rilke; la figura del Pascoli è degnamente illustrata ed onorata. Intervengono poche persone, ma è come se fossimo in mille, – ci rincuora Gaetano: tante emozioni si sono intrecciate, e lieviteranno.

Aprile 2012 – “Cosa è la poesia” è il quesito che anima e sorregge il Gruppo. Si parla della possibile commemorazione di Elsa Morante. Si parla di libertà dell’individuo, nella visione di Corrado Alvaro.

Maggio 2012 – Poeta è chi vive momenti universali fuori dal tempo e dallo spazio? Il canto LXXXI dei Canti Pisani di Ezra Pound è un riferimento per Gaetano. Sua è anche la scoperta in biblio di un volume intitolato “Fallimento” di Mario Emari, scrittore gessatese… La forza del gruppo di Poesia sta nella ‘libertà delle tematiche’. Alcuni portano un poeta diverso ogni mese.

Giugno 2012 – Marta segnala l’uscita di un libro del critico-traduttore Silvio Raffo dal titolo “Lady Medusa… “  sulla degnissima e quasi dimenticata poetessa Amalia Guglielminetti”. Altri autori visitati: Alda Merini, Anna Maria Ortese, Derek Walcott.

Settembre 2012 – Viene presentato materiale di approfondimento sul poeta sloveno France Prešeren, nonché un articolo-recensione su Carmine Abate, fresco vincitore del Campiello.

Clara ci propone spesso la lettura di poesie composte dai suoi allievi in carcere la cui purezza e profondità appare sorprendente e induce a diverse riflessioni.

Sono solo alcuni dei molti argomenti trattati. Le riunioni degli amanti della poesia sono aperte a tutti.

Walter Visconti

 

ARTICOLI 2011

150 ANNI – UNITÀ D’ITALIA
Il percorso storico verso l’unità

Numero 1.2011

 

“Il Dialogo” ha deciso di partecipare alle celebrazioni del 150° anniversario dell’unità d’Italia con articoli che verranno pubblicati nel corso dell’anno e che rievocheranno alcuni degli episodi più significativi del Risorgimento.
È in atto, ultimamente, una rilettura critica di questo periodo storico vista da varie angolazioni (destra-sinistra, clericale-anticlericale, filo meridionalista-anti meridionalista…) nella quale non intendiamo addentrarci perché non abbiamo la presunzione di competere con gli specialisti della materia. Ci proponiamo con questa prima uscita, di farne una semplice presentazione, la più obiettiva possibile, affinché i nostri lettori possano meglio valutare quello che capiterà loro di leggere.


LE IDEE
Un aspetto alquanto dibattuto è quanto il Risorgimento sia stato un movimento di pochi intellettuali e quanto un movimento di popolo. Esistono numerosi studi in proposito; noi facciamo notare che le Cinque giornate di Milano, le Dieci giornate di Brescia, i Mille di Garibaldi, i volontari che affiancarono i soldati regolari nelle guerre di indipendenza, furono tutte manifestazioni spontanee di popolo ma constatiamo altresì che nel campo letterario vi è stato un fiorire di opere che hanno dato una veste politica ai semplici entusiasmi che venivano dal basso.
Tra le figure intellettuali dell’epoca spicca quella di Giuseppe Mazzini. Egli maturò una propria visione del problema italiano per il suo carattere repubblicano e per l’affermazione di un nesso inscindibile tra nazione e libertà. Il nazionalismo di Mazzini era anche caratterizzato da un senso etico-religioso e romantico. Il motto “Dio e popolo” racchiude la sintesi del suo pensiero.

La dottrina politica di Mazzini e particolarmente il suo romanticismo influenzano i cosiddetti poeti della patria che con il loro culto della libertà e il loro entusiasmo accompagnano le più belle e popolari imprese del Risorgimento. Ricordiamo Berchet, Mameli, Mercantini, autore de “La spigolatrice di Sapri” componimento notissimo (Eran trecento/eran giovani e forti/e sono  morti!) che fece parte a lungo del patrimonio culturale degli Italiani.

Più realistica, disincantata e scevra dagli abbandoni sentimentali tipici dei mazziniani è la poesia del Giusti, liberal-cattolico moderato che nella famosissima “Sant’Ambrogio” si abbandona a commossi richiami di fratellanza tra gli uomini.

Infine un’età contraddistinta da una così larga partecipazione alle vicende politiche da parte degli intellettuali ci ha dato anche tanti libri autobiografici in cui gli autori descrivono gli avvenimenti cui presero parte o dei quali furono spettatori. Ricordiamo Silvio Pellico con “Le mie prigioni”, Settembrini, Nievo, Tommaseo e Cesare Abba, autore di “Da Quarto al Volturno”, testimonianza dell’impresa dei Mille.

Una posizione di notevole originalità, all’interno del dibattito politico dell’epoca fu quella di Carlo Cattaneo, contrario sia al conservatorismo filo monarchico dei moderati che al rivoluzionarismo dei mazziniani. Egli concepiva il Risorgimento non come una missione di tipo quasi religioso ma come un progressivo sviluppo economico e civile fondato su basi più concrete e operative. L’importanza che egli dava alla libertà e all’autonomia superava la prospettiva unitaria di Mazzini e lo portava a immaginare l’Italia futura coma una federazione di stati simile alla Svizzera e agli Stati Uniti.

Accanto a queste figure di intellettuali risalta in tutta la sua grandezza lo statista italiano per eccellenza: Camillo Benso Conte di Cavour. Figlio di un proprietario terriero si dedicò allo studio dei classici del pensiero economico e politico europeo e viaggiò molto in Francia, Gran Bretagna e Germania. Tutto ciò contribuì a dargli competenza tecnica, modernità e apertura internazionale che ne fecero uno statista unico nel panorama politico italiano del tempo.

I FATTI
1815-1849   Da Carlo Alberto a Vittorio Emanuele II
Tra la disfatta di Napoleone e i moti del 1848 si sviluppa una fase storica caratterizzata dalla tendenza a ripristinare un ordine sociale e politico ispirato a quello esistente prima della rivoluzione francese. Tale ordine venne sancito con il Congresso di Vienna del 1815.
L’opposizione a questa restaurazione si basò su due temi strettamente collegati: le libertà costituzionali e la questione delle nazionalità. La lotta fu condotta, soprattutto nella fase iniziale, attraverso organizzazioni clandestine che si formarono nei vari stati: in Italia la Carboneria. 

I primi moti rivoluzionari iniziarono nel 1820 e si verificarono in Spagna, Portogallo, nel Regno delle Due Sicilie e, nel ’21, in Piemonte, protagonisti i giovani aristocratici all’opposizione. Il loro obiettivo era una riforma moderatamente costituzionale e il progetto, ancora politicamente assai vago, di muovere guerra all’Austria per conquistare l’indipendenza dell’Italia settentrionale. Il reggente Carlo Alberto concesse la costituzione ma poi ritirò il suo appoggio lasciando senza riferimento i patrioti lombardi che vennero arrestati.

Negli anni successivi una nuova fase di insurrezioni si verificò in varie parti d’ Europa: in Grecia, in Francia, in Belgio, in Polonia, nell’Emilia Romagna mettendo in crisi l’ordine imposto dalla restaurazione ed evidenziandone le contraddizioni che esplosero poi nel biennio rivoluzionario 1848-49. Nel giro di pochi mesi, tra il gennaio e l’aprile del ’48, in gran parte dell’Europa scoppiarono rivoluzioni che rovesciarono governi e troni.
La scintilla scoccò a Palermo in gennaio e subito il movimento dilagò nel cuore del continente: fu la volta di Parigi, in febbraio, e poi in marzo-aprile nella Confederazione germanica, in Prussia, a Vienna, a Milano (le Cinque giornate), a Venezia, Parma, Modena, Budapest e Praga.

A Milano si era costituito un governo provvisorio, guidato da aristocratici moderati, nel quale tuttavia vi era un gruppo di democratici che facevano riferimento a Cattaneo. Si profilò subito un conflitto tra le due fazioni sull’opportunità o meno di chiedere l’intervento militare del Piemonte, al quale Cattaneo era decisamente contrario. Il nodo fu sciolto direttamente da Carlo Alberto che, dopo parecchie esitazioni, dichiarò guerra all’Austria. Le deficienze militari dell’esercito sabaudo ed una strategia incerta e attendista portarono alla sconfitta di Custoza e alla negoziazione di un armistizio col quale i Piemontesi si impegnavano a ritirarsi oltre il Ticino. L’anno successivo, nell’intento di recuperare il prestigio compromesso, Carlo Alberto ruppe la tregua e riprese le ostilità ma venne definitivamente sconfitto a Novara e dovette abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II.

1849-1861     Il Regno d’Italia
Nonostante la sconfitta nella guerra del 1848-49, il regno sabaudo rimaneva l’unica forza in grado di porsi alla testa del movimento risorgimentale. Cavour fu il principale artefice della stagione riformistica degli anni cinquanta. Egli riteneva che il progresso economico e civile, la trasformazione del Piemonte in uno stato moderno al livello delle più avanzate nazioni europee, fosse la premessa indispensabile per assumere un ruolo dominante nella vita politica italiana e mettersi alla testa del processo di unificazione. La ricerca delle necessarie alleanze internazionali spinse Cavour a impegnare il Piemonte nella guerra di Crimea, con utili effetti propagandistici. Le manovre di Cavour ebbero infine successo: nel luglio del 1858 egli strinse con Napoleone III gli accordi di Plombières che impegnavano la Francia a entrare in guerra a fianco del Piemonte nel caso in cui quest’ultimo fosse attaccato dall’Austria; in cambio la Francia avrebbe ottenuto Nizza e la Savoia. Seguirono mesi febbrili durante i quali, accanto alle esitazioni di Napoleone III, timoroso di alienarsi il consenso dei cattolici francesi, vi furono da parte del Piemonte iniziative provocatorie nei confronti dell’Austria, tese anche a farsi interprete delle aspirazioni dell’opinione pubblica italiana. Fu l’Austria infine a rompere gli indugi dichiarando guerra al Regno di Sardegna. Iniziò così la seconda guerra di indipendenza.

Volontari accorsi da tutta Italia vennero inquadrati nel corpo dei Cacciatori delle Alpi, comandato da Garibaldi, che ottenne i primi successi conquistando Como e Varese, mentre l’esercito piemontese era vittorioso nella battaglia di Magenta e nei sanguinosi scontri di San Martino e Solferino. Ma Napoleone III si ritirò improvvisamente e unilateralmente firmando l’armistizio di Villafranca, in base al quale l’Austria cedeva la Lombardia alla Francia, che a sua volta la donava al regno di Sardegna, mentre il Veneto rimaneva agli Asburgo.

Grande fu la delusione di Cavour e dei patrioti italiani ma il processo unitario non si arrestò perché nel frattempo Toscana, Parma, Modena e le legazioni pontificie si erano ribellate, votando plebisciti di annessione al Piemonte per i quali Cavour riuscì a ottenere il consenso internazionale.

Ma nel 1860 fu l’iniziativa dei democratici a infiammare la situazione.

Giuseppe Garibaldi godeva di uno straordinario prestigio e la sua vita di combattente per la libertà aveva acceso la fantasia popolare. Convinto repubblicano decise comunque di muoversi al servizio del progetto monarchico di unificazione organizzando la spedizione dei Mille che, con una trionfale dalla Sicilia a Napoli, provocò lo sgretolamento dello stato borbonico, suscitando entusiasmi e ammirazione in tutto il mondo.

Cavour, che preoccupato per il carattere democratico e mazziniano dell’iniziativa e delle possibili reazioni internazionali aveva tentato invano di ostacolarla., inviò un corpo di spedizione che si impadronì dello stato pontificio, Roma esclusa.

Garibaldi non osò spingersi fino ad uno scontro con l’esercito di Vittorio Emanuele II e si piegò all’autorità del sovrano nelle cui mani consegnò le regioni meridionali che votarono con plebisciti l’annessione al Piemonte.
Il 17 marzo 1861 nasceva il Regno d’Italia, sotto Vittorio Emanuele II.

Roma Capitale – Trento e Trieste
Dal punto di vista territoriale, tuttavia, l’unificazione nazionale, intesa nel senso di portare i confini politici dello stato a coincidere con quelli geografici della penisola, non era compiuta in quanto mancavano le regioni del Triveneto, rimaste sotto la dominazione austriaca e Roma, soggetta al potere temporale del Papa. La questione Veneto fu risolta attraverso l’alleanza con la Prussia nella guerra vittoriosa che questa condusse contro l’Austria, nel 1866. In cambio della propria partecipazione, l’Italia poté annettersi il Veneto, ceduto dagli Austriaci ai Prussiani e da questi a Napoleone III che a sua volta lo consegnò all’Italia.

Più difficile da risolvere era il problema di Roma in quanto le possibilità di manovra del governo italiano erano limitate da una sorta di soggezione alla Francia, dato che l’unificazione era stata possibile anche grazie all’appoggio francese, e dalla presenza in Roma di una guarnigione transalpina a protezione del Papa. 

L’evento che sbloccò la situazione fu la sconfitta francese a Sédan ad opera dei Prussiani che determinò la caduta del Secondo impero. L’Italia procedette quindi all’occupazione militare della città il 20 settembre 1870 e Roma venne annessa al Regno d’Italia mediante il plebiscito del 2 ottobre.

Fu infine con la Grande Guerra  che si raggiunse il completamento dei confini geografici ad est.
Il conflitto fu terribile e segnò tragicamente una generazione ma contribuì a rinsaldare lo spirito unitario ancora molto fragile.

Alla disfatta di Caporetto, diventato sinonimo di disastro catastrofico, seguì la reazione sorprendente sul Piave e sul Monte Grappa fino all’offensiva di Vittorio Veneto. Alla conclusione delle ostilità, il 4 novembre 1918, l’ Italia si annetteva il Trentino-Alto Adige e l’Istria, con le città simbolo di Trento e Trieste.

Valter Gorla

 

 

Concerto d’Autunno 2011

Numero 3.2011

 

Quest’anno si celebra il 25° anniversario della Corale Ss Pietro e Paolo di Gessate. Per festeggiare un sogno che è realtà non c’è scelta migliore della testimonianza e della partecipazione… con grida…  evviva… e lodi, lodi, lodi…

Tutto ebbe inizio nel 1986: la corale era composta da circa 25 elementi. Costante Ronchi era uno dei coristi. Dal 1991 iniziò a dirigere la corale, e Mario, suo fratello, divenne Direttore artistico. La collaborazione con il Coro San Gervasio di Capriate San Gervasio ha inizio nel 1992, in coincidenza con il primo Concerto d’Autunno. Con il Concerto d’Autunno del 1994 i due cori riuniti sono ufficialmente denominati “Grande Coro”. La formazione si esibisce nelle occasioni importanti con l’orchestra Gaetano Donizetti, inizialmente sotto la direzione del maestro Giacomo Mologni, e in seguito, dal 2004, del maestro Pierangelo Pelucchi. Dal 2004 la Corale Ss Pietro e Paolo di Gessate si è resa autonoma dalla Corale San Gervasio di Capriate S.G. Attualmente la corale di Gessate conta da sola ottanta elementi.
Alla prova generale di sabato mattina del 15 ottobre 2011, giorno del 20° Concerto d’Autunno, nella chiesa parrocchiale c’è un gran fermento, il clima è agitato.
Quest’anno la prima parte del concerto verrà interamente dedicata alla Messa di Requiem K626 di W.A. Mozart. Si tratta di un punto di arrivo per la corale, al cui perfezionamento sono state dedicate tante serate di prova all’oratorio. Per questa esecuzione, e per la prima volta, il maestro della corale Costante Ronchi dirigerà anche l’orchestra.
Tento di calarmi nell’emozione dei coristi prima dell’inizio delle prove.
Marisa Genghi, soprano, corista dal 2000, non se la sente di esprimersi prima dell’evento ufficiale. Giusy Valenti è orgogliosa di poter cantare la Messa di Mozart: «Pensare che un musicista abbia scritto una cosa tanto bella a quell’età… adesso devo scappare perché sono già tutti schierati». Costante Ronchi, dal podio di direzione, prima dell’inizio si rivolge alla corale in un breve discorso: «È un anno speciale. Siamo stati affascinati fin dal primo giorno… Da parte mia, spero di essere all’altezza… ». Non manca qualche raccomandazione: «Fate attenzione ai sospiri dell’orchestra… D’ora in poi aprite la bocca solo per cantare…» Poi… via, è il momento.
Attacco di violini, poi, quasi subito, entrata del coro, un secondo movimento, un terzo, un quarto… un quinto, e avanti. Il maestro Pelucchi assiste dalla platea, si agita, collabora a distanza, con espressioni del viso e gesti della bocca invia consigli alla corale a implementare la direzione di Costante. Sesto brano: i solisti dialogano con l’orchestra. Settimo brano: corale sciolta in una dolce melodia. Ottavo movimento: è la famosa “Lacrimosa”, a voci dispari.
Alla fine la convinzione di potercela fare diventa palese. Ora l’atmosfera tra i coristi sembra più distesa. Ma l’ufficialità ancora manca. La tensione riaffiorerà fatalmente con passare delle ore. Cerco altre testimonianze tra i coristi.
Il nucleo storico della corale (quelli che cantano dall’anno della fondazione, il 1986), è costituito da nove persone, una delle quali è Sonia Zullato, soprano, che ricorda: «La prima trasferta importante venne effettuata a Volterra per cantare in Duono il 26 dicembre del 1992, faceva un gran freddo, dormimmo in un ostello, cantammo il “Te Deum” di Charpentier, Costante faceva il tenore, eravamo in trenta elementi della corale Ss Pietro e Paolo».
Un altro “anziano” è Rolando Tresoldi, nella corale dal 1990, un anno prima della svolta nella direzione di Ronchi. Invitato a ricordare le tappe salienti sceglie i seguenti eventi: il “Mefistofele” con il basso Carlo Zardo eseguito al Concerto d’Autunno a Gessate nell’ottobre 2000; il concerto in Aula Paolo VI alla presenza del papa Giovanni Paolo II nel novembre 2003 a Roma; l’esibizione al Wiener Koncerthaus di Vienna nel luglio 2009.
Conosco Roberto Fornoni, tenore, nella corale dal 1990 e conosco Angelo Bergamaschi, di Cassano, tenore, e conosco Norma Roman, soprano, di Vaprio, nella corale da 9 anni. Tutti mi offrono una testimonianza comune, così sintetizzabile: “Quest’anno è stata dura, specialmente negli ultimi tempi, però da tanta dedizione si ricava anche tanta soddisfazione”. Sulla dedizione Mario Ronchi mi fornisce qualche dato. Le sedute di prova nel 2011 sono state finora 65, eseguite con diligenza e meticolosità, quasi ogni lunedì e mercoledì, nelle sale dell’oratorio di via IV novembre. Ogni hanno si contano circa 80 sedute di prova, il che significa qualcosa come 2000 prove in 25 anni.
Il 20° Concerto d’Autunno non delude le attese. La prima parte vede una sublime esecuzione della famosa Messa di Requiem di Mozart alla quale il pubblico tributa un interminabile applauso. Il 25° anniversario della Corale coincide anche col 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Così, una lieta sorpresa attende il pubblico all’inizio della seconda parte: è un invito ad alzarsi in piedi per cantare tutti insieme l’inno di Mameli come a nessuno forse è mai capitato: accompagnato da una grande orchestra e da un grande coro. L’emozione è forte.
Si prosegue con “La gazza ladra” e “Dal tuo stellato soglio” di Rossini (1° brano lirico eseguito nel 1992 al 1° concerto).
Si conclude in piena apoteosi risorgimentale con tre arie di Verdi: prima la “sinfonia” per sola orchestra, a seguire  “Va pensiero” per coro e orchestra entrambe dal “Nabucco”, e da ultimo “Oh Signore dal tetto natio” da “I Lombardi”. Come bis finale viene proposto il un brano divino: l’”Intermezzo” dalla “Cavalleria Rusticana” per il quale non solo Mario Ronchi ma anche tutti gli affezionati del concerto hanno un debole. Il congedo finale come di consueto prevede l’”Alleluja” dal “Messiah” di Hendel. Nell’enunciare i saluti Mario Ronchi anticipa che nel 2012 Verdi verrà lasciato a riposo, per essere ripreso nella pienezza l’anno successivo, il 2013, quando cadrà il duecentesimo anniversario della nascita. L’incredibile percorso musicale continua. Il piacere dello stare insieme anche. Arrivederci.
Walter Visconti

ARTICOLI 2010

Sudafrica 2010 - dialogo sui Mondiali

Numero 4.2010

 

Sudafrica 2010 verrà ricordato come il Mondiale dei colori, delle eliminazioni a sorpresa e delle papere arbitrali.
É stato un torneo deludente per i nostri colori, inutile negarlo.
La Spagna si è aggiudicata il titolo perché è la squadra che ha saputo meglio cavalcare quel puledro selvaggio che è il Mondiale. È risultata la squadra con più meriti, si deve dire, ma col senno di poi, quando il dirlo è un’ovvietà.
I colpi di scena iniziano subito: Per l’Italia il puntiglio e la volontà di far bene non mancano, ma già nelle fasi di preparazione alcune cose girano storte: la forma precaria sconsiglia le convocazioni di Giuseppe Rossi, Fabio Grosso, Davide Santon. Totti si autoesclude per un gesto inconsulto nei confronti di Balotelli. Lippi, accecato, non coglie l’occasione per riprendere la situazione convocando proprio Balotelli, per la gioia delle mamme. Si aggiungono mosse infelici come la maleducata fuga da Venaria al Sestriere, la partenza da Malpensa per Johannesburg occultata a pochi tifosi. Infine appaiono i guai fisici di Pirlo, Gattuso, Buffon. Nonostante questi “segni” l’Italia gioca benino contro il Paraguay (1-1), raddrizzando una partita iniziata in salita per un madornale infortunio difensivo. Ricordo ancora la frase da me pronunciata la sera del 16 giugno dopo aver visto all’opera le 32 squadre: “finora mi sembra che i migliori siamo noi”.
Diciamo che sono stati fatti degli errori umani, dipesi da circostanze tecniche, ambientali, psicologiche. In ogni caso, l’errore umano appartiene al gesto sportivo.
L’unico fattore, non strutturale, secondo me imputabile, riguarda… “la rotondità della palla”. Un torneo mondiale è caratterizzato da una serie di momenti decisivi che andrebbero affrontati in un clima di giusta tensione all’interno del gruppo, pena l’incremento della possibilità di errore. Faccio un esempio: rivedendo Slovacchia-Italia, al 75’ si nota l’appoggio di Chiellini effettuato con leggerezza verso Marchetti, e l’intervento altrettanto affannoso del portiere che manda la palla in fallo laterale, dalla cui rimessa si determina il gol del 3-1. Il tutto mi ha ricordato il simpatico film “Sliding doors”, – ve lo ricordate? – , in cui si evidenzia come un banale “disguido” possa far deviare il corso di un’esistenza. L’insegnamento è che nulla va lasciato al caso. Il caso non è eliminabile, però è limitabile. Questo si ottiene con la responsabilità e l’applicazione. Occorre in pratica adoperarsi per rendere la palla più “quadrata” possibile. Questo a me sembra non sia stato fatto in Sudafrica. Il credo della ‘sfera’ che diventa ‘dado’, che poi ti può dare quasi sempre “sei”, appartiene all’Arrigo Sacchi del mondiale statunitense del ’94, dove peraltro mai l’Italia avrebbe raggiunto la finale senza la classe di Baggio, l’unico uomo fuori dagli schemi di Sacchi e suo salvatore.
Nella finale di Suadfrica 2010 troviamo di fronte Olanda e Spagna. Nel primo tempo si assiste a una lunga fase di studio in cui emerge l’inferiorità tecnica degli Orange che ricorrono a una serie di falli. Nella ripresa la partita si apre. La superiorità di manovra spagnola si accresce, tuttavia Robben viene liberato al tiro ben tre volte (45’, 62’, 83’) ma spreca, fermato da Casillas (deviazione in corner, parata di piede, uscita sui piedi). Nei supplementari la Spagna ha più birra, il destino inizia ad abbandonare l’Olanda, Heitinga si fa espellere, infine al 116’ Iniesta insacca il definitivo 1-0. La Spagna è campione.
Considerazioni tecniche. La continuità tra Germania 2006 e Sudafrica 2010 è rilevabile. Le attese stelle, come accadde quattro prima, non hanno brillato. Kakà ha fallito il secondo mondiale consecutivo, con lui Rooney e Cristiano Ronaldo; Messi è risultato funambolico, mai decisivo; Sneijder e Robben nella finale non hanno saputo incidere; lo stesso Torres non è stato impiegato. Sono mancati i veri leader. In una squadra di calcio moderna la qualità media dei giocatori deve essere elevata ma con bassa varianza. I picchi di alta classe da qualche stagione non determinano le vittorie nei tornei a forte intensità e competitività. Dunque, nel 2010, come nel 2006, ha vinto il “gruppo”, ha vinto la fame, la coesione. Non ha vinto lo strapotere di una squadra, o il virtuosismo di un singolo giocatore. Ma è stata la manovra, il collettivo della Spagna ad aver vinto: un grande portiere come Casillas, con la squadra unita davanti a manovrare. La Spagna ha fatto pochi gol, 8 in totale, di cui solo 4 nelle ultime quattro gare vinte per 1-0, in cui hanno segnato Villa (2), Puyol e Iniesta. A conferma che gli attaccanti di ruolo sono una specie sempre più in estinzione. Altre analogie con i campioni di quattro anni fa sono: i pochi gol incassati (solo 2, addirittura zero nelle ultime quattro gare); la supremazia mai schiacciante ma graduale; inoltre la Spagna ha eliminato la non irresistibile Germania in semifinale e ha superato nella finale la squadra che aveva eliminato il Brasile due turni prima.
Nel 2010, come nel 2006, ci sono stati diversi errori arbitrali, pure determinanti, ma tutti in buona fede, mentre le sudditanze psicologiche sembrano un ricordo, fortunatamente, dal mondiale di KoreaJapan del 2002. Nel complesso le squadre sono state ben tutelate dal punto di vista arbitrale.
Tornando a noi, dobbiamo riflettere. Un fatto è sintomatico: le partite trasmesse in TV hanno fatto registrare audience altissimi in Italia. Significa che le sensazioni e i colori del mondiale sudafricano sono stati apprezzati. Significa anche che la passione per il calcio è forte, autentica e incontenibile. Il calcio è anche un gioco, ma non uno scherzo, è una cosa seria, serissima, perbacco! A cui gli Italiani tengono. La storia del calcio nazionale scritta fino ad ora ci lusinga. La storia continua con alti e bassi. Non si può sempre vincere, bisogna considerare gli altri. Però ora occorre raddrizzare la storia del nostro calcio. 

Walter Visconti

 

Concerto d’Autunno 2010

Numero 5.2010

 

Diciannovesima edizione del Concerto d’Autunno, sabato 16 ottobre nella Chiesa parrocchiale, a chiusura degli eventi della Sagra di Gessate 2010. La chiesa è gremitissima, sono presenti più di mille persone per ascoltare la Corale Ss Pietro e Paolo in formazione completa.

Nella prima parte i tre brani di apertura sono di Mozart. Come di consueto l’inizio è riservato a un’esecuzione orchestrale (quest’anno l’Ouverture da “Il flauto Magico”), per preparare il pubblico all’entrata in scena della Corale, che avviene col secondo pezzo: ‘Laudate dominum’ tratto da “Vesperae solemnis de confessore”. Il terzo brano è un gioiello: la “Spatzen messe KV 220”, cioè ‘Messa dei passeri’, già cantato dalla Corale il 4 luglio di un anno fa in uno dei più prestigiosi teatri di Vienna, il Konzerthouse, esperienza indimenticabile e vanto supremo. Come secondo autore per la parte di musica sacra troviamo Handel, con quattro passi tratti dal “Messiah”; anche qui, prima ascoltiamo l’Ouverture per sola orchestra, poi, altri tre brani in cui la Corale ha modo di esprimersi sia in difficili fraseggi tra le sue voci, sia dialogando con l’orchestra.

La seconda parte, dedicata alla musica sinfonica, prevede arie di Verdi e di Boito. L’inizio è riservato alla notissima Sinfonia da “I vespri siciliani” con la trascendente melodia trionfale, che dapprima culla l’auditorio, per poi sospingerlo in un vortice di fremiti gloriosi. Ed ecco la Corale esprimersi nella sua completezza nel brano ‘Gerusalem’ da “I Lombardi alla prima crociata” e, a seguire, nel sussurrato ‘Gli arredi festivi’ dal “Nabucco”. Così il pubblico ha modo di gustarsi appieno il suo impareggiabile Verdi. Per terminare: Arrigo Boito col “Mefistofele”, di cui vengono proposti ‘Prologo’ ed ‘Epilogo’. Con scelta originale gli strumenti a fiato (tromba, trombone, basso tuba) vengono suonati sulla balconata alle spalle del pubblico a creare una stereofonia accentuata. Offerta fuori programma: Costante Ronchi si lancia a dirigere l’orchestra Gaetano Donizetti (che nulla ha da invidiare ai Wiener - sostiene) nella trascinante Radetzky Marsch, ottimamente eseguita, accompagnata dal tradizionale battimani del pubblico. Immancabile bonus a chiusura della serata, l’Hallelujah dal “Messiah” di Handel. Arrivederci.

Walter Visconti

 

Christmas in the world

Numero 5.2010

Per molte persone il Natale  non è solo una festa di commemorazione per la nascita di Gesù bambino, ma è anche un’occasione per rivedere amici lontani, parenti, fare ricche abbuffate e i bambini aspettano l’arrivo di Babbo Natale: questo per grandi e piccini, significa ricevere regali.

Nel periodo antistante il Natale che continua fino all’Epifania le gente è abituata ad allestire un bell’albero di Natale, ornato di palline, luci e ghirlande con in punta una stella cometa o un puntale. In memoria della nascita di Gesù nelle case è di tradizione fare un bel presepe.

Un altro aspetto del Natale sono gli acquisti: per gli adulti è un momento di shopping sfrenato. Per le grosse cene tra parenti e amici, la gente compra molti dolci natalizi quali pandoro, panettone, biscotti, torrone e tronchetto.

Nei periodi natalizi la scuola sospende le sue lezioni!!!!!!!!!
La notte di Natale molti bambini piccoli aspettano con impazienza il momento del risveglio quando, sotto l’albero, riescono ad intravedere i loro amati regali e, con una rapidità incredibile, li scartano.
Un’altra festa importante è l’Epifania, dove i bambini ricevono altri regali dalla Befana, una vecchietta che va in giro su una scopa portando dolcetti ai bimbi buoni e carbone a quelli cattivi.
Gli adulti, secondo noi, sono troppo impegnati a preparare il Natale e quindi non riescono a viverne del tutto le magia perciò consigliamo loro di fermarsi un attimo a godersi il calore della famiglia che, a Natale, è sempre più forte. Per noi ragazzi il Natale è un periodo di relax dagli impegni scolastici. Molti di noi vanno a svagarsi all’oratorio, che offre una miriade di giochi e di attività, non solo spirituali. C’è invece chi preferisce sciare su montagne innevate o concedersi una vacanza dove preferisce.

La magia del Natale influenza tutto il mondo, dall’Italia alla Nuova Zelanda.
In Trentino Alto Adige San Nicola va a bussare in tutte le case per portare regali ai bambini buoni, mentre i marahones, “mostri” che sono impersonati dai ragazzi del paese mascherati, secondo la leggenda fanno scherzi e spaventano i bambini cattivi. In Veneto anche il 6 dicembre viene festeggiato con entusiasmo: San Nicola porta, oltre che regali, dei dolci per i bambini che cantano canzoncine in dialetto.
Negli Stati Uniti si hanno pressappoco le stesse tradizioni italiane, con Santa Claus che indossa un abito rosso, suona il piffero, e ha una slitta e tante renne.
In Washington D.C., un albero enorme viene esposto cerimoniosamente e, quando Obama pigia un bottone ed accende le luci dell’albero, tutta la zona viene invasa da gioia e felicità. In America, la cena di Natale tradizionale è costituita da un tacchino arrosto con vegetali e salse. Per dolce si usa mangiare la christmas cake.
In Australia, per il fatto che è nell’emisfero australe, il Natale cade in estate, per cui molte persone usano trascorrerlo al mare. La macedonia di frutta è sempre presente sulle tavole di festa australiane e conclude il pranzo del 25.
In Russia e Scandinavia la tradizione vuole che una vecchietta chiamata nonna Babouscka, dopo aver saputo che era nato Gesù Cristo, sia andata in tutte le parti del mondo a portare doni a tutti bambini. Si dice che ancora oggi sia in viaggio per cercare Gesù. Nel frattempo i bambini russi e scandinavi aspettano, la notte di Natale, Nonno Gelo, il loro Babbo Natale.
In Africa le famiglie si riuniscono attorno agli anziani, e tutti i conoscenti, senza far distinzione tra i culti, sono invitati a partecipare alla cena della vigilia. In quella sera, vige infatti l’abitudine di lasciare aperto l’uscio di casa per far sì che chiunque si senta il benvenuto. La tradizione vuole che ci si scambi regali, spesso consistenti in cibi sia crudi sia cotti. Oltre ai doni alimentari, corre l’uso di donar vestiti, specie se i destinatari sono dei bambini. Nei giorni che precedono il Natale sono le ragazze che vanno di casa in casa, ballando e cantando accompagnate da tamburi.
In Asia la festa più importante del lunario cinese è il Capodanno, che cade intorno al 28 gennaio del calendario solare. I festeggiamenti durano una settimana e comportano vari fuochi, scambi di doni e riti propiziatori che coinvolgono soprattutto i bambini, i quali affidano al nuovo anno i migliori propositi mettendo sotto il cuscino un sacchettino rosso.
DA EST A OVEST IL NATALE È SEMPRE LO STESSO      

Articolo tratto da “L’ECO DELLO STUDENTE”, n° 2 di febbraio 2010, periodico della scuola secondaria di Gessate a cura degli allievi del laboratorio

Filippo Ronchi
Fabio Saracino
Jacopo Fossen

 

Università e ricerca - La riforma Gelmini

Numero 5-2010

Da qualche tempo è caos nelle università italiane. I tagli voluti dal ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini, si stanno abbattendo sugli atenei, che non sembrano più in grado di gestire la situazione. Lezioni ed appelli sospesi, cattedre vacanti e studenti che rischiano di non laurearsi nei tempi stabiliti. Una condizione comune da Nord a Sud, e che rende difficile pensare ad un futuro positivo per l’università italiana.

I ricercatori si stanno mobilitando per difendere la dignità dell’Università, fortemente messa in discussione dai sempre più pesanti tagli. I ricercatori, in prima persona, sono toccati da questi tagli che portano alla chiusura di ogni concorso, precludendo la possibilità di carriera ai numerosi cervelli meritevoli presenti nei vari Atenei. La protesta dei ricercatori si concretizzerà nell’astensione dai compiti didattici sino ad ora svolti al di là del proprio ruolo accademico, sospendendo l’insegnamento e l’assistenza nello svolgimento degli esami e nella compilazione delle tesi di laurea. Alcuni Professori inoltre si stanno impegnando a non coprire gli incarichi vacanti.

I ricercatori sono stati usati come docenti a basso costo, impedendo loro, oberati da carichi didattici, di svolgere il proprio lavoro di ricerca. Un ricercatore ha come primo compito quello di fare ricerca. Le loro difficoltà a fare ricerca derivano, inoltre dalla mancanza dei fondi necessari. La protesta dei ricercatori è un aspetto di una protesta unitaria e diffusa dell’Università.

Come da tradizione, nella storia della scuola italiana, anche questa riforma, è stata seguita da un lungo strascico di polemiche, condite da proteste parlamentari, scioperi e agitazioni di piazza.

Notizia degli ultimi giorni, lo stanziamento di un miliardo per l’università grazie all’emendamento al ddl stabilità.
“Ci sarà un miliardo per l’università”. Questo l’annuncio del ministro Giulio Tremonti, ricordando appunto un emendamento presentato dai finiani: “270 milioni per l’università. Noi abbiamo risorse, o comunque il fabbisogno è di un miliardo. Quindi perché fare meno: penso che nell’emendamento ci sarà un miliardo per l’università”.
Il nuovo emendamento garantirà dunque più risorse per gli atenei che potranno cosi cercare di far fronte ad una crisi che sta seriamente mettendo in ginocchio l’attività formativa del Paese.

Nonostante le rassicurazioni di Tremonti, tuttavia, non si fermano le proteste di studenti, ricercatori, docenti universitari nelle piazze e negli atenei italiani. Le nuove dichiarazioni della Gelmini e l’ipotesi chiusura di alcuni atenei dettata dalle regole assurde della Riforma dell’Università, potrebbero gettare, ancor di più se possibile, benzina sul fuoco della protesta, spingendo anche molti rettori, che finora si erano tenuti alla larga dall’esprimere qualsiasi opinione sulla riforma dell’università della Gelmini, a “scendere in campo”.
Pare dunque che l’autunno caldo dell’università italiana non sia ancora concluso, anzi.

Milano 17-11-2010
Simona Quadri

 

Gruppo Artisti Gessatesi alla Sagra 2010 Il livello si alza
Numero 5.2010

Ennesima rassegna del Gruppo Artisti Gessatesi domenica 3 ottobre 2010, in occasione della Sagra. Il Gruppo, ormai affermato e in continua ascesa, come associati, opere e produzioni, è ormai una splendida realtà culturale. Le accoglienti sale dello “Stalun” rimangono la sede ideale per le esposizioni: anche se un po’ defilata la struttura è tuttavia vicinissima al centro storico di piazza Roma. Per il pubblico la deviazione è d’obbligo, o il mattino dopo la messa, o nelle ore del pomeriggio dopo le coreografiche manifestazioni della sfilata e della corsa del palio.
Gli espositori presenti in questa rassegna sono quattordici. Dedico un breve tracciato a ognuno di loro corredandolo con le immagini di alcune opere esposte.

  1. Claudia Brambilla Lei dice di essere alle prime armi, ma non sembrerebbe. Predilige il tema paesaggistico. Le piace emulare gli impressionisti francesi, e ci riesce bene. Grande sicurezza e delicatezza nei colori. Olio su tela con pennello e spatola. Risulterà in seguito la vincitrice del concorso abbinato alla mostra “Dipingo una poesia”.

  2. Valeria Perversi, pittrice e decoratrice, creatrice di immagini e situazioni propositive. I suoi dipinti appaiono come insiemi di concetti che domandano spazio e riflessione, senza pretese abnormi, però sospingono il pensiero, lo educano allo sviluppo, talvolta lo sconcertano inducendolo a una prova impegnativa. La tecnica è solitamente acrilico o vernice all’acqua su legno. Stile alquanto deciso e affermato. Molteplici i riconoscimenti. www.valeriaperversi.it

  3. Iwona Potrac Paesaggi e luoghi idilliaci, frutti di ricordi e passioni, si concentrano nei suoi tocchi leggeri come un soffio di vento. Le piace raffigurare l’anima della natura. Villaggi, boschi, fiori. L’incanto della campagna si sviluppa nel chiarore soffuso dalla tenue luce di colori delicati. Prevalenza di acquerello.

  4. Elisa Frigerio Ricerca senza fine. Tentativi continui di tradurre e comunicare emozioni. Pittura che esprime esuberanza e continuità di accostamenti, tonalità, forme, movimenti, in continua evoluzione. Talvolta i risultati degli studi comunicano sensi di incompiutezza, di cui è sempre imputabile la ricerca. La pittura astratta è rilancio di un mondo in una visione personale, un modo per offrire opportunità di scoperta. Lungo il suo curriculum espositivo in mostre personali e collettive.

  5. Vincenzo Corti Sempre produttivo e vivace nel suo inconfondibile stile manieristico, dedito principalmente a raffigurare la natura. Le rappresentazioni dei paesaggi sono rigorose e in esse colpiscono il perfetto utilizzo dei chiaroscuri e la ricchezza di particolari nello studio. Si intravedono tracce di romanticismo. Olio su tela.

  6. Leontina Dala Rara e particolare interprete e traduttrice dell’Arte di Gobelin. È la magia del quadro celebre che si materializza attraverso uno schizzo che riproduce il disegno originale su una tela ricamata a mano. Il procedimento di tessitura è lo stesso utilizzato per la realizzazione degli arazzi, e prende il nome dallo storico laboratorio francese “Manufacture des Gobelines”. Nelle riproduzioni di dimensioni ridotte è fondamentale la manualità e la scelta dei colori dei filati. Gli effetti sono sorprendenti.

  7. Roberto Villa Conoscenza ormai compiuta e affermata nel panorama pittorico del borgo gessatese. La sua produzione è assidua e richiesta. Sviluppa temi di tutti i generi: ritratti, paesaggi, interni, animali, nature morte. Usa colori dai toni decisi ed è attento interprete del gusto popolare. Pittura classica. Olio su tela.

  8. Marta Ferroni Espone tavole ispirate al film “Sogni” di Kurosawa. Dona impressioni di figure scandite da tratti lievi e precisi, coinvolte da colori tenui e delicati, nel rispetto di una regola e di uno stile coerente, ricercato. Una solista espressiva, dai tocchi lievi e precisi. Sembra che lacrime si sciolgano sulle opere amatissime. È l’autrice del Palio 2010.

  9. Antonio Brambilla È lo scultore di opere lignee in bassorilievo. Notevolissima quella esposta che emula “Il Quarto Stato”. Di primissima levatura il modulo d’incisione adottato. La purezza dell’intaglio scultoreo prefigura a un’ambitissima evoluzione della sua opera.

  10. Manuela Bianchi Giovane pittrice autodidatta, in attesa di definire il proprio stile, si pronuncia per ora in riproduzioni di opere di autori celebri, quali il Caravaggio o i pittori fiamminghi. Visto il risultato ottenuto con la divina copia de “La ragazza dall’orecchino di perla”, direi che i presupposti sono ottimi.

  11. Mariangela Mineo Opere ben sintonizzate con un contenuto di elementi e di tecnica elevati. Evidenti sforzi di conquista di uno spazio proprio. La donna come tema preferito. Lascia intravedere rituali di seduzione. Incisività e plasticità di immagini in movimento. È una pittrice affermata, avendo partecipato a varie rassegne e concorsi. Hanno scritto di lei i critici: Fusi, Pelati, Valentini, Valerio. Olio su tela e carboncino.

  12. Luisa Necchi Ceramista e pittrice affermata, con opere di qualità eccelsa. Lo splendore della porcellana dipinta rappresenta per lei un sogno infinito, da rincorrere sempre. Perfezione produttiva e tecnica raffinata. Dipinti classici. Le colorazioni calde, dalle tonalità uniche, sono ottenute tramite particolari tecniche di cottura. L’incisività ottenuta con la pittura su porcellana è davvero eccezionale.

  13. Oscar Visconti Pittore di sicuro impegno e stile personale. Ama ritrarre scene di ispirazione liberatoria e dai contenuti fantastici, di incitamento al sogno. Si manifesta con tratti decisi, colori forti e scanditi, senza tralasciare sottili segnalazioni e contenuti sottintesi. Si direbbero quadri pensanti. La presenza della donna è costante, suggerita nelle molteplici condizioni e forme. La visione dei suoi quadri cattura, così da renderne difficile il commiato. Impressionista figurativo.

  14. Enzo Leoni Spazia dai paesaggi del territorio a lui familiare alle sperimentazioni più diverse. Ultimamente si cimenta in prove di astrattismo. L’ispirazione talvolta è un nulla che prende forma per incanto. Dopo periodi di inattività ha ripreso con solerzia la produzione. Ha uno stile velato e intenso, didascalico, usa colorazioni morbide, pastose. I suoi dipinti appaiono illuminati da un’aureola avvolgente.

«Non dimentichiamo la eccezionale bravura di tutti i componenti del Gruppo Artisti Gessatesi, autori che “fanno e spaziano” in cose diverse e hanno molto da offrire a chi guarda con attenzione». Con queste parole Valeria Perversi intende sottolineare la valenza e l’ampiezza dei contenuti della proposta artistica dell’Associazione di cui è vice presidente.
Si possono citare:
Luisa Necchi ha partecipato a numerose mostre ottenendo diversi premi, alla XI  edizione della  “Convention Azzurra” tenutasi  a Palazzo Gallio - Gravedona (Co) lo scorso maggio 2010,  ha ottenuto un ulteriore riconoscimento.
Roberto Cristina Reggiani e Vincenzo Corti hanno partecipato ad esposizioni con i Pittori di Via Bagutta.
Mariangela Mineo è affermata e ha molti riconoscimenti al suo attivo. Con lei, Luisa Frigerio, Iwona Potrac, Roberto Villa, la stessa Luisa Necchi e la stessa Valeria Perversi hanno partecipato a due rassegne di MArteSana a Villa Castelbarco.
Oscar Visconti, pittore figurativo impressionista, ha esposto alla Galleria d’Arte Modigliani a Milano, con presentazione critica dello scultore Romano Pelati.
Roberto Villa è il pittore più ‘presente’ e ‘richiesto’ a Gessate.
Rita Moretti, gessatese doc, pittrice da sempre, scultrice di statuine in cartapesta per i carri del carnevale e la sagra del paese.
Valeria Perversi: una sua opera, scelta tra moltissime pervenute ai curatori della mostra, è stata esposta a Rovereto in località Colle di Miravalle presso il Monumento della Campana dei Caduti nell’ambito dell’importante mostra HUMAN RIGHTS tenutasi dal 18/9 al 17/10/2010 imperniata sul tema dei diritti umani e che ha raccolto opere di artisti da tutto il mondo.
Walter Visconti

 

Percorso nella Sagra 2010

Numero 5.2010

La Manifestazione Storica del sabato sera (2 ottobre)
La novità di quest’anno sta nell’originale ambientazione sul verde prato dei giardini di Villa Daccò. Ed è anche un felice ritorno al Bonesana, si direbbe “ il più amato dai Gessatesi”. La rappresentazione in notturna è impostata in forma “modulare”. I molteplici palcoscenici naturali allestiti in punti diversi del vasto spiazzo sono la scelta vincente. Il pubblico, disposto a semicerchio, vi assiste numeroso provando gioiose sensazioni all’accendersi delle diverse scenografie.
La parte introduttiva si recita sulla suggestiva collinetta dell’albero gigantesco, con l’aureola dalle austere sagome dei tronchi illuminati dai riflettori.
La lettura finale della sentenza avviene al centro del prato, contornato dal popolo ansioso. I costumi sono ricchi, gli ambienti ricreati con cura. La recita è si dimostra incisiva e piacevole. Il pubblico riconoscente applaude soddisfatto.
Alla fine l’offerta di “pan gialt e lac” risulta gradita a mitigare i brividi indotti dall’aria frizzante della sera.

La messa domenicale al mattino (3 ottobre)
Nella mattina di domenica 3 ottobre, nel giorno della Madonna del Rosario, assisto alla messa solenne che si tiene nella gremita Chiesa parrocchiale dei Ss Pietro e Paolo. C’è attesa per il momento della benedizione del palio, come per l’omelia di padre Eugenio Brambilla, gradito ospite dalla diocesi milanese, di cui riporto alcuni passi: «La Madonna del Rosario è la “Madonna della Vittoria”, la vittoria dei Cristiani contro i Musulmani nella Battaglia navale di Lepanto del 1571. È la festa in cui Maria diventa nostra madre, di questo tempo, di questo mondo. Abbiamo bisogno dell’aiuto di Maria per credere. Una preghiera semplice: il rosario. Un auspicio: che la nostra comunità possa incamminarsi su percorsi di conoscenza! Maria ci aiuta a vincere la paura. Ci chiede di svegliarci. Ci insegna una testimonianza quotidiana e continua di forza».

Va detto che quando c’è la Corale, la messa è diversa. Oggi è presente anche il Coro Primavera ad ampliare l’offerta canora donando freschezza e fluidità alle sequenze. L’attesa per i brani cantati è palpabile. Quale sarà il Sanctus? Poi ci sono gli stratosferici “Amen”, elargiti in conclusione alla messa, attimi autentici di brivido e passione. Compiuto l’atto benedetto, ecco un dono tanto atteso: un preludio di note sommesse evoca una struggente melodia, tra il pianto incontenibile dei presenti: “La Madonna Nera di Czestochowa”, con cui la Corale dà l’arrivederci all’ormai vicino Concerto d’Autunno.
 

Per le vie del borgo nella domenica pomeriggio (3 ottobre)
Nel pomeriggio clemente, per una volta senza pioggia, alle 15:00, via Badia s’affolla per incanto d’un popolo in attesa della Sfilata Storica in costumi d’epoca. Avanti il palio con le ancelle, a seguire prima le coppie in abiti nobiliari, poi i protagonisti della vicenda del Bonesana, poi la gente in armi, infine i popolani a chiudere il corteo. A dare novità, quest’anno è la scelta indovinata del Paolo Leoni di scandire col megafono a piena voce, le fasi della sfilata, fatti, luoghi, note sui costumi e sulla contesa del Palio del Pane, gara che viene disputata subito a seguire. La gente s’aiuta sentita e commossa d’avere tanto garbo e tanta parte, in una simile piccola città. Ma questo può la voglia e la costanza, ed altro. Dopo l’esibizione degli Sbandieratori, arriva il ‘rompete le righe’ e tutti s’affollano nel parco della Villa per un breve riposo e un assaggio generoso di “Pan gialt e lac”. Poi si passa dal giardino alla Sala Matrimoni dove si ammira una ricca Mostra fotografica. Finalmente, tornati in via Badia, si va a passeggio lungo il viale a sbirciare le Bancarelle degli Hobbisti, verso piazza Roma, ove attendono altri eventi di notevole richiamo. Il visitatore incuriosito trova infatti la piazza ricolma di messaggi d’arte, cultura e amore. Notevoli le dimostrazioni di sapienza e maestria degli Antichi mestieri: il calligrafo, il fabbro, il tessitore e altri protagonisti del passato: autentici “filosofi” delle arti perdute.

In posizione attigua, all’interno della Chiesa dell’Addolorata, al visitatore si offre l’imperdibile opportunità di ammirare la mostra, ricca ed esaustiva, dedicata allo splendido portale della cattedrale di Santiago De Compostela denominato “Portico della Gloria” e alla sua storia quasi millenaria.

Una deviazione è d’obbligo per visitare la mostra di pittura organizzata dal Gruppo Artisti Gessatesi (di cui parliamo a parte) nei saloni dello Stalun, una struttura ampia ed accogliente situata a pochi metri da piazza Roma, in via Cittadella 14. 

Walter Visconti

ARTICOLI 2009

Contenuti e valori nelle poesie di Gino

Numero1.2009

 

È stato recentemente pubblicato il volumetto “POESIE di GINO”, disponibile in biblioteca e presso l’ufficio URP del Comune. Contiene 36 poesie. Propongo un breve percorso alla ricerca di contenuti e valori scorrendone alcune. 

“Ombre… sogni… illusioni” – Ci sono momenti in cui il pensiero dipinge immagini fantasiose e profonde. Qui Gino rimprovera l’ombra di seguirlo perennemente, di approfittare della sua titubanza, che purtroppo è umana: l’ombra è sinonimo di inganno, rappresenta le forze del male e finisce per indispettirlo (E tu o insistente ombra che alle spalle mie ti diletti | perché non sei sincera fino in fondo | io lo so, della mia titubante incertezza ti diverti).

“Perché anche tu Signore non hai voluto veder morire tua madre?” – È una delle poesie più drammatiche, in cui Gino parla apertamente dell’avvicinarsi della morte, rivolgendosi al Signore per implorare conforto (Quando questo avviene, | dà a tutti i figli la forza di sopportare: | Perché io lo faccio male, | anche se tento di reagire, | lo faccio molto molto male). Nel divino fraseggio, Gino rileva amorevolmente una struggente scelta che rende il Signore più umano, avvicinabile, amico, al cui solo pensiero si sente immensamente consolato: ‘Anche tu, Signore, non hai voluto vedere morire tua madre!’

“Perché non mi torna il conto” – Cuore, fegato, polmoni, ogni organo del maiale appena macellato, sono ‘meraviglie senza fine’. Il ricordo dell’evento della macellazione, di cui il maiale è l’autore, definito ‘mistero irrisolto’, seppure lontano, lo ‘folgora’, e ‘non è del tutto inabissato’ nella mente ‘affannata e in declino’. Nonostante si tratti di un animale, ciò che ancora ‘non gli fa tornare il conto’ è l’apparente contrasto tra la vista di organi perfetti (con un contenuto irrazionale e divino) e la logica offuscata e venale (dell’uomo) che porta alla loro distruzione.

“Quanto sei piccola o Terra” – Momenti di profonda umiltà e di ispirata elevazione. Cosa sono le ‘Severe tacite sedi’ invocate da Gino? Sono le meditazioni e le induzioni a Dio? Il consiglio dato all’uomo è quello di ‘sperare’. L’umiltà è definita saggia. La poesia denuncia la rivendicazione ‘arrogante’ e ‘maestosa’ dell’uomo nei confronti del suo regno (che poi ‘suo non è’), e finisce con la triste constatazione della mancata capacità di portare qualsiasi cosa nell’aldilà e di dover ‘abdicare’ prima di accedervi. Appare in definitiva come una sconfitta dell’uomo davanti a Dio. Ma all’uomo è data la possibilità di accedere alle ‘Severe tacite Sedi’, e rifugiarvisi per ‘trovare il silenzio, il pacato e umile silenzio di chi non ha più voce’, per un’ultima estrema consolazione.

“Quella strana quiete” – È una struggente testimonianza. Si intravedono il dolore e la nostalgia per la vita che se ne va. La prova triste e dolorosa diventa tuttavia motivazione per la ricerca di conforto e speranza. Felice l’accostamento usato per raffigurare il momento della chemioterapia vissuta in simultanea da dodici pazienti definiti ‘personaggi in cerca d’autore’. Il farmaco è il ‘sostentamento’ iniettato come ‘piccole e benefiche gocce di rugiada’. Gino, impotente, si sente parte di una ‘assemblea molto speciale’ nella quale ‘è duro il contestare’, nella quale ‘tutto sembra fuori luogo’, nella quale peraltro alla fine ammette di provare ‘una strana quiete mai sentita prima’. Quale può essere la conclusione di  una simile esperienza se non l’acquisizione di una grande coscienza del valore della vita?

“Stalun” – Bella e significativa l’immagine scelta da Gino per iniziare a parlare della più famosa corte di Gessate: ‘La parola STALUN giunge al mio orecchio | come l’eco lontana di un canto soave, | dove storia e poesia si fondono | richiamandoci a ricomporre il tutto come in un conclave’. Gino nell’intento di fondere storia e poesia, usa il termine ‘trambusto’ (a significare l’animazione della corte) e scomoda il termine ‘conclave’ (per attribuire un carattere fermo e rispettoso alle quotidiane discussioni che vi si accendevano).

“Una domenica indimenticabile” – Viene celebrata l’elegia della campagna nel ricordo di momenti irripetibili. È un incedere di efficacia descrittiva dovuta alla genuinità, all’azione prorompente, al ricordo della forza giovanile: ‘E fu proprio così, io ero specialista a far covoni | con gioia imbellettai anche il buon cavallo | e con tutta l’energia dei miei 15 anni iniziammo il lavoro.’

Profondere immagini, a volte semplici, a volte complesse, e con esse donare spunti di riflessione. Questo interessa a Gino. Il suo intento è di riflettersi nell’altrui pensiero in qualità di donatore, l’affidare allo scritto messaggi di vita, sensazioni personali, ma non per questo esclusive, bensì trasformabili ed elaborabili da chiunque voglia attingere alla sua cordialità e gentilezza.

Walter Visconti

 

Vincitori del concorso “La vetrina più bella”

Numero 1.2009

Anche quest’anno si è svolto il concorso “La vetrina più bella”. Sono risultati vincitori a pari merito i negozi: La macelleria di “Cremonesi Luigi” in via Badia e “EBI Service, ricambi per elettrodomestici” sotto i portici all'angolo tra via De Gasperi e via S. Pancrazio.

“La Macelleria Cremonesi” in via Badia

Quelle che seguono sono parole e concetti espressi da Alessandro Cremonesi.
Primo: “É un negozio tradizionale. Non facciamo concorrenza alla grande distribuzione ma ne siamo l’alternativa”. Questo è il principio ispiratore dell’attività. 
Secondo: Il signor Alessandro si definisce un “negoziante”, non un “commerciante”. Il termine “commerciante”, identifica un’attività di scambio indispensabile per la collettività collocabile in un quadro economico. Il vocabolo “negoziante” dà l’idea di un rapporto più diretto col cliente, di un ‘servizio’ in cui entrano in gioco la ‘compromissione’ e l’apertura (il signor Alessandro dice che nei suoi prodotti ‘ci mette la faccia’). 
Terzo: “La conduzione del negozio si svolge a livello famigliare”. Sono tutti coinvolti. È uno dei pochi negozi storici di Gessate. La famiglia Cremonesi gestisce il marchio dal 1895, ossia da quattro generazioni. Opera nella continuità. La metamorfosi è la seguente: il bisnonno Luigi era allevatore e contadino nel territorio. Poi il nonno Felice, tra le due guerre, iniziò a fare il macellaio, e tramandò l’attività ai quattro figli, nell’ordine: Isaia, Luigi, Natale, Carlo, tutti macellai, i quali hanno gestito vari negozi. Luigi, in particolare, ha proseguito l’attività nel negozio di Gessate in via Badia, ora condotto dal figlio Alessandro. Anche la madre di Alessandro proviene da una famiglia di salumieri: possedevano un salumificio e diversi negozi a Milano. Dunque, tutto in famiglia.

“Il nostro motto è: Naturalmente naturale. Vede, – mi spiega Alessandro, – questo è il cosiddetto ‘libro del cliente’, che contiene tutte le certificazioni. Dal 1895 la mia famiglia si prende cura dell’alimentazione dei clienti cercando, di generazione in generazione, di tramandare i segreti che rendono i nostri prodotti genuini. Ancora oggi manteniamo inalterata la cura di sempre, nel trattare ogni singolo ingrediente, nel rispetto delle regole della natura. Cerchiamo di lavorare il più ‘naturalmente’ possibile”.

Altra considerazione: “Il supermercato è una cosa statica. Al supermercato lei non può parlare dei problemi dei figli o della moglie; in un negozio storico può farlo. Se una persona viene nel mio negozio ad esternare un problema riguardante la sua famiglia, da un punto di vista sociale, sa che può farlo”. Ancora: “Nel momento in cui i clienti vedono nel logo il nostro nome sanno che non hanno a che fare con un’azienda giuridica, ma semplicemente con una persona”. Di nuovo emerge l’alternativa alla grande distribuzione.

Come si opera. Le carni e gli alimentari come pasta, confetture, sott’oli, biscotti, mostarda e quant’altro provengono da aziende certificate. I prodotti per la lavorazione e la gestione vengono reperiti con attenzione verso l’ecologia. Perfino i detergenti per la pulizia dell’esercizio vengono approvvigionati ‘alla spina’ all’EBI Service di Gessate (l’altro negozio premiato che vedremo di seguito).

“Sinergia”. È un’altra grande parola per Alessandro: “Noi non abbiamo preconcetti sui fornitori. Se un’azienda lavora bene mi faccio mandare un campione. Il cliente può sempre giudicare e contribuire al miglioramento del prodotto. Tutto procede a misura d’uomo, nuovamente. I prodotti non vengono “costruiti” bensì “preparati”.

Alessandro parla con passione. Altre sue affermazioni: “I punti di rottura sono i muri eretti dalle persone”. “Occorre non essere mai prevenuti”. “La catena non termina col dare al cliente”. “Rimango sempre in attesa di un ritorno con cui potermi migliorare”. Tutto mi trova consenziente. È proprio vero. Nel negozio di qualità, in fondo alla catena, c’è sempre una responsabilità, non un modulo da compilare, come nel grande magazzino.

Una sua presunzione per il futuro: che tanti singoli negozi non molto distanti tra loro diventino una rete di servizi, differenziandosi dai grandi magazzini, favorendo così anche chi vuole risparmiare tempo (e denaro).

Osservo le statuine del presepe esposto in vetrina. “Hanno 107 anni” – mi informa Alessandro. Lo saluto compiaciuto. “Arrivederci e auguri”. Fa un grande freddo. Non siamo ancora a San Mauro.

 “EBI Service, ricambi per elettrodomestici”
 angolo via De Gasperi–via S. Pancrazio

È una rivendita autorizzata di ricambi dei maggiori marchi di elettrodomestici presenti sul mercato. Inoltre vende piccoli elettrodomestici, prodotti vari per la casa; effettua riparazioni su piccoli elettrodomestici. L’attività all’inizio è stata aperta dai genitori, ora è gestita dalle tre figlie: Bianca, Sara, Nadia. Tra loro l’affiatamento è completo. Subito una simpatica curiosità. Una storia d’amore tenne a battesimo l’apertura dell’attività nel lontano 1984: il primo tecnico riparatore che si presentò in negozio divenne il marito di Bianca. Forse per questo quando la gente entra e chiede: “voglio parlare col tecnico”, allora è lei a farsi avanti.
Dalla cordiale conversazione con Nadia emergono le linee guida che animano l’attività del negozio.

Pimo tema: l’affidabilità.
“I prodotti vengono testati da noi, nel possibile (90%). Se alla prova risultano non buoni, non vengono posti in vendita”, – mi spiega la mia interlocutrice, e prosegue: – “Noi diamo giudizi sulla funzionalità e indirizziamo la clientela. Ci teniamo a commercializzare prodotti di qualità a prezzi convenienti. Inoltre, assicuriamo un’ampia disponibilità di ricambi. Fornire, negli ultimi tempi, è diventato più difficile, perché con i prezzi del ‘made in China’ tanta gente dice: “ma l’ho visto a 10 €…”. Allora occorre stimare se conviene riparare un apparecchio da 50 € e tenerselo. Nelle valutazioni vanno presi in considerazione due aspetti spesso trascurati dal compratore: sicurezza e affidabilità. Insomma, noi diamo consigli, così ci mettiamo in gioco, per questo siamo considerati. Ormai, – asserisce sconsolata, –  prevale la società del consumismo, si tende a buttare tutto. Però, a volte risulta conveniente conservare il ‘bello’, in quei casi noi lo segnaliamo”.

Secondo tema: l’ecologia.
Il motto che anima l’attività di ’EBI Service’ è: “Non si getta alcunché quando non è necessario. Noi teniamo molto al discorso ecologico – sottolinea Nadia –. Presentiamo una gamma completa di accessori e prodotti detergenti per la casa. Le scaffalature sono ricolme di bagni schiuma, ammorbidenti, sgrassatori, shampoo, prodotti da una ditta italiana, non molto reclamizzata, ma che lavora bene. Inoltre all’EBI Service si trovano i detergenti cosiddetti ‘alla spina’. Proprio per un discorso ecologico, non sprechiamo plastica! È sufficiente venire qui con le bottiglie vuote. Una bilancia che fa la tara, il recipiente si riempie del detersivo voluto: ce ne sono di tanti tipi (tutti liquidi). Gessate tiene molto all’ecologia, per questo noi ci sentiamo in piena sintonia col Comune. Abbiamo clienti sensibili al problema ecologico che arrivano dai paesi limitrofi”.

Nadia mi mostra un ‘gasatore’ di acqua. Chi è affezionato alle bollicine può attingere l’acqua dai rubinetti di casa, – tra parenesi quella di Gessate è molto buona, – addizionarla di anidride carbonica mediante tale apparecchiatura, ottenendo così un duplice vantaggio: risparmio sull’acquisto di acqua minerale e riduzione dei consumi di plastica.

Terzo aspetto: l’assistenza. Il filo conduttore che guida la gestione del negozio è la bontà del servizio in tutti i sensi. “Molta gente entra semplicemente per chiedere consigli su prodotti e apparecchiature da acquistare. Vorremmo sottolineare che, riguardo agli elettrodomestici, l’analisi preventiva menzionata all’inizio, da noi condotta, ci permette di seguire meglio il discorso del ‘post-vendita’. Un evento ormai comune riguarda la gente che compra negli ipermercati e viene abbandonata nel momento in cui si manifesta un problema: l’assistenza è prevista ma il cliente deve attivarla da solo. Noi invece ci prendiamo in carico il cliente dal momento in cui vendiamo l’apparecchio, o il ricambio stesso. Se c’è qualcosa che non va siamo sempre a disposizione”.

Dunque, qualità e tutela del compratore, salvaguardia dell’ambiante come contributo, soddisfazione nel compimento del servizio. È un bel profilo per una attività onesta e onorevole. Complimenti e auguri.

EBI Service
Principali tipi di apparecchiature poste in vendita:

Spremiagrumi
Robot da cucina
Ferri da stiro
Aspirapolveri
Fon
Friggitrici
Bilance
Impastatori
Macchine da caffè
Gasatori di acqua

Inoltre:
Vendita ricambi di ogni genere e marca
Vendita detersivi alla spina
Riparazioni di piccoli elettrodomestici
Recapiti di tecnici per uscite a domicilio per riparazioni

Walter Visconti

Parliamo un po’ dei Rioni di Gessate

Numero 2.2009

 È una sorpresa apprendere che i Rioni di Gessate non sono una istituzione antica. Risalgono infatti a solo ventiquattro anni fa.

Le origini
Da secoli esistevano agglomerati di case o nuclei abitativi, per lo più attorno al centro storico, che si distinguevano per nome, origine e caratteristiche. Senza la realtà remota di questa progenie urbanistica mai si sarebbe addivenuti alla definizione dei “rioni” attuali. Per individuare tali “zone” occorre fare alcune considerazioni. Lo sviluppo urbanistico di Gessate va da nord a sud. Fin dal XV secolo il borgo era attraversato da una strada che collegava Villa delle Fornaci con  Bellusco. Questo ha fatto via via assumere al centro una forma allungata. Oltre alle abitazioni, anche chiese e cappelle sono sorte lungo la via principale. Va ricordato che un tempo (si parla dei secoli IX-X) la chiesa principale era dedicata a San Pietro apostolo e sorgeva al posto dell’attuale chiesa dell’Addolorata. Attorno all’attuale piazza Roma esistevano un castello, un cimitero e diverse abitazioni. Fino al XV secolo la popolazione viveva aggregata attorno al centro storico, e tale situazione si è mantenuta sostanzialmente fino a pochi decenni fa. Analizzando una planimetria del 1866 (pubblicata a pg. 70 del libro su Gessate di Federico Bertini) si distinguono chiaramente quattro agglomerati di cui tre gravitano attorno al centro storico mentre uno è decentrato: 1° zona “Castellaccio” (attuali piazza Roma, via Monte san Michele, via ai Boschi): 2° zona “Badia” (attuale via Badia); 3° zona “Cittadella” (piazza e via Cittadella); 4° zona “Malcantone” (attuale via Montello).
Un importante motivo di polarizzazione, assolutamente da non tralasciare è quello della disponibilità dell’acqua, ovvero dell’ubicazione dei pozzi. Ad eccezione di poche abitazioni padronali che avevano pozzi propri, ogni zona o “antico rione” ne aveva uno.

Dal medioevo ai nostri tempi
L’esigenza attuale dei rioni è emersa in un preciso momento, in tutta la zona. Non solo a Gessate, ma in tutta Italia a metà anni ’80 si registrava l’evoluzione dei rioni. Allora a Gessate si promuoveva solo la Sagra della Paciarèla, che stava morendo, aveva circa vent’anni, poiché era nata nel 1972. I rioni sorsero anche per interessare un po’ la gioventù. All’inizio fu istituito il “Palio dei rioni”: nei primi quattro-cinque anni il “Palio” veniva vissuto con diverse manifestazioni durante l’arco dell’anno, a punti, e alla fine chi aveva più punti vinceva, non un palio come adesso, bensì un piatto. Le competizioni in cui i rioni rivaleggiavano erano: i carri in occasione del carnevale, una caccia al tesoro estiva, i presepi in occasione del Natale, e una gara finale in occasione della Sagra della Paciarèla. Lo scopo era appunto quello di creare una gustosa rivalità tra le zone del paese accentuando l’attenzione della popolazione su un costruttivo spirito competitivo. E pochi anni dopo, proprio sulla scia della creazione dei “rioni”, fu possibile rinverdire la vecchia Sagra della Paciarèla con le iniziative attuali: infatti nel 1989 furono istituiti il “Palio del pane”, la “Manifestazione storica” e la “Sfilata storica”.
Dalla storia sono invece stati estrapolati i nomi assegnati ai rioni, sulla cui origine peraltro si registrano versioni anche contrastanti.

CASTELLACCIO
In una pergamena dell’anno 957 viene citato un “castello”. Si dice che a Gessate si fermarono alcuni feudatari provenienti dalla Germania, i quali fecero costruire un forte - castello con vestigia di torri (dal depliant ”Perché la Sagra”). Comunque si ha ancor oggi testimonianza di una fortificazione eretta a difesa del lato nord del paese i cui resti si trovano all’interno del cortile denominato “Scartalasc” in via ai Boschi n° 6. Il Castellaccio ha rappresentato per secoli il vero centro dell’agglomerato urbano. Lo stemma adottato dal rione rappresenta per l’appunto un castello.

BADIA
Un certo Bellebuono di Trezzo nel 1135 donò alcuni possedimenti di Gessate ai monaci di Chiaravalle. Da qui si originò il nome “Badia” che significa convento (secondo quanto scritto nel depliant ”Perché la Sagra”). Un’altra versione fa risalire il nome a un insieme di casali e stalle di proprietà di un’abbazia (badia) dell’ordine benedettino. Occorre rilevare che i monaci di Chiaravalle non erano Benedettini (ma Cistercensi), mentre l’attuale stemma adottato per rappresentare il rione è chiaramente ispirato a San Benedetto fondatore dell’omonimo ordine.

CITTADELLA
 L’origine del nome è abbastanza difficile da spiegare. Il termine “cittadella”, come fa notare il Bertini, sembrerebbe indicare un polo fortificato e autonomo, il che testimonierebbe la presenza di una dimora centrale nobiliare. Potrebbe anche trattarsi di un agglomerato di case contadine, autosufficienti, da cui il nome “Cittadella”. Secondo un’altra ipotesi, – a mio avviso non molto credibile, – il nome “Cittadella” prenderebbe spunto da un nucleo di case costituitosi attorno alla villa Beccaria (dunque in epoca molto più recente, siamo agli inizi del 1800). È certo che la zona Cittadella si sviluppò verso l’attuale via Beccaria e acquistò importanza (nel 1771 contava 330 abitanti pari al 30% della popolazione di Gessate). Lo stemma adottato dal rione, riproduce quello della famiglia Beccaria.

SAN PANCRAZIO
L’origine del nome è inequivocabile. Deriva dall’omonima chiesa medievale collocata nella zona sud dell’abitato la cui datazione viene dai più collocata nel 1600, ma ci sono affermazioni che fanno risalire la sua origine al 1200 (o addirittura tra il X e il XII secolo).

Come nascono i moderni rioni
Nel 1985, per iniziativa della Commissione Cultura e Tempo Libero di allora, con l’assessore Capitanio, il paese venne suddiviso in quattro rioni in base a documentazioni storiche e alle tradizioni. Questo arduo lavoro fu affrontato con grande impegno da parte della Commissione che però commise qualche errore non centrando bene le tradizioni e attribuendo alcune vie che gravitavano su un rione a un rione diverso.
Nel frattempo il paese è cresciuto. Nuove vie hanno preso nome. Qualche confine andava spostato. Occorreva un lavoro di riordino. Il risultato è stato una delibera di fine settembre 2008 in cui appunto si promuoveva l’impegno alla rideterminazione dei rioni. Quindi per quanto riguarda la parte interna del paese alcune vie sono state ricollocate. Per la periferia, che si è allargata progressivamente, l’assegnazione in alcuni casi era scontata, mentre in altri casi bisognava dare un senso ai nuovi insediamenti (ad esempio la zona a ridosso di via Verdi a cavallo tra Badia e Cittadella in cui è sorto un mezzo paese tra i campi è stata assegnata al rione Cittadella). A seguito di tali decisioni è stata redatta una piantina con la nuova suddivisione in rioni. È in corso di elaborazione una catalogazione delle vie, delle famiglie, e degli abitanti per rione di appartenenza.

Riferimenti
Molte di queste considerazioni e citazioni emergono da una conversazione con Paolo Leoni. Altre notizie sono tratte dalla rilettura di depliant e locandine della Sagra. Infine, importanti riferimenti sono tratti dal libro “Gessate, un popolo e la sua storia” di Federico Bertini, che rimane a tutt’oggi il documento più completo sulla storia di Gessate, disponibile presso la nostra biblioteca.

LE “ZONE” DI GESSATE
Le antiche zone di Gessate, che costituivano i nuclei abitativi più significativi, erano:

- Zona Castellaccio (attuali via Monte san Michele, piazza Roma, via ai Boschi)
- Zona Badia (ultimo tratto di via Badia)
- Zona Cittadella (via e piazza Cittadella e via Beccaria)
- Zona Malcantone (via Montello)
Lo sviluppo di questi “rioni” è da collocare presumibilmente in età medioevale.
Vedi: “Gessate un popolo e la sua storia” pg. 69

 

XXXVIII SAGRA DE “LA PACIARÈLA”

Numero 2.2009

Alcune nuove
Quest’anno sarà una sagra all’insegna del risparmio. Alcune iniziative saranno ridimensionate per questioni economiche. Ci sono stati tagli non indifferenti da parte di sponsor e inserzionisti, di conseguenza i miracoli non si possono fare. Bisognava fare delle scelte anche se dolorose. Così la “Cena rinascimentale” è stata abolita (aveva un’incidenza negativa di circa 1400-1500 euro).
“Già l’anno scorso erano stati tagliati “Pane, Salame e Paciarèla”, – ricorda Paolo Leoni – e si era puntato sulla distribuzione del “Pangialt e Lacc”, ed è stato un successo perché la tradizione derivante dal famoso lascito del dottor Pirogalli dell’anno 1556 è molto sentita.
Il laboratorio del costume c’è, continua a funzionare, quest’anno ha prodotto due nuovi costumi, per una coppia, sempre del periodo storico del tardo 1600. La disponibilità del Comitato è ora di sedici costumi nobiliari. Si potranno ammirare durante la Sfilata Storica di domenica 4 ottobre.
Avremo poi, come di consueto, la XXI edizione del Palio del Pane, domenica 4 ottobre al pomeriggio.
Interverranno gli sbandieratori della Contrada San Luca di Ferrara, uno dei gruppi più quotati d’Italia. È la seconda volta che partecipano alla nostra Sagra. Ci vogliono anni per poterli avere. Sia nel singolo, sia nella coppia sono veramente ad alto livello.

XXI Edizione della “Manifestazione Storica”
Parliamo ora della Manifestazione Storica di Gessate, che merita un plauso. Quest’anno cade il ‘ventennale fisico’ (1989-2009), il che rappresenta un notevole traguardo.
In particolare, vogliamo ricordare che la Manifestazione Storica si svolgerà nella nuova veste imperniata sulla vicenda di Cesare Beccaria, che, essendo partita l’anno scorso, vede quest’anno la seconda edizione. Diciamo che la prima è stata una prova generale. Ora si fa sul serio. Va sottolineato che lo sforzo di produzione non è stato indifferente, sia come organizzazione, sia come abnegazione da parte dei recitanti.
Ricordiamo per passi ciò che sta avvenendo. Forse ancora qualcuno non sa che dallo scorso anno la manifestazione ha voluto rinnovarsi nella totalità. La Manifestazione Storica tradizionale che rievocava la disputa tra il conte Carlo Bonesana e i cittadini di Gessate nel lontano 1685-86 era giunta alla sua XIX edizione nell’ottobre del 2007. Si era evoluta e perfezionata durante le varie edizioni. All’inizio si svolgeva nei cortili delle cascine storiche di Gessate, ultimamente era diventata itinerante lungo i luoghi classici del borgo.
Dallo scorso anno, il 2008, si è dunque voluto introdurre questa novità cambiando radicalmente il tema della manifestazione, sia per rinnovare l’attenzione dei Gessatesi, sia per offrire un ulteriore motivo di orgoglio.
Puntando sul fatto che Gessate ha legami con la famiglia Beccaria e con le famiglie Verri e Manzoni a loro volta legate e imparentate, e soprattutto sul fatto che ha ospitato per lunghi periodi estivi Cesare Beccarla, si è deciso di rievocare in veste teatrale i fatti che lo videro assurgere alle altezze dei meriti e della notorietà. 
Ciò non significa, beninteso, che si voglia seppellire il passato o una tradizione cara ai Gessatesi. Nulla vieta di ripristinare in futuro entrambi i temi ad anni alterni, dipenderà dalla volontà dei cittadini.
C’è comunque una continuità storica tra le due vicende, la vecchia e la nuova, rappresentate. Infatti nel 1740, con la morte di Cesare Bonesana, figlio del conte Carlo Bonesana protagonista della famosa disputa secentesca con i Gessatesi (tema appunto della manifestazione per diciannove edizioni), si estingue la dinastia e i possedimenti passano alla famiglia Beccaria (Cesare Bonesana è prozio di Cesare Beccaria).
La Nuova Manifestazione prende spunto proprio dalla vita del personaggio storico Cesare Beccaria che tocca il punto più alto con la pubblicazione del famoso libro “Dei delitti e delle pene”. L’impostazione teatrale dell’allestimento offre un punto di vista scenografico di notevole attrattiva, l’espressione recitativa - evocativa risulta efficace e puntuale. La rappresentazione della vicenda consente inoltre di spaziare su argomenti attuali come la giustizia e i diritti umani, offre spazi di espressione a personaggi gustosi nel più puro stile goldoniano.
Dunque, l’anno scorso si è avuta la prima edizione della Manifestazione Storica rinnovata. Sia perché l’evento non si è svolto in forma itinerante per le vie cittadine come la popolazione era abituata a recepire, sia per il fatto della novità, sia per la scarsa sponsorizzazione, pochi Gessatesi vi hanno partecipato. Ad ogni modo, il consenso tra il pubblico presente è stato unanime.
Quest’anno si vuole riproporre l’evento per la seconda volta sperando in un maggiore successo.     
Diciamo che la rappresentazione, per come è congegnata, consente agli attori di esprimersi appieno. La gente può godersi uno spettacolo scorrevole per circa un’ora e mezza. Si possono ammirare i costumi rigorosamente d’epoca (seconda metà del 1700). Da segnalare la partecipazione del gruppo “La contraddanza” di Rodano che si esibirà in due balli durante la manifestazione.
Aspettiamo dunque la cittadinanza la sera di sabato 3 ottobre al Cine Teatro Don Bosco alle ore 21:00 per assistere allo spettacolo dal titolo “Fate che le leggi…”. Ci sono anche dei piccoli vantaggi: andare in scena al coperto… e con entrata libera. La manifestazione avverrà comunque, in barba alla pioggia. Arrivederci.

Walter Visconti

 

La crisi economica a Gessate

Numero 3.2009

 

Nel periodo che va da settembre 2008 a gennaio 2009 si è avuta la devastante esplosione di una crisi mondiale che covava da tempo. La gran parte delle aziende italiane sono state investite da un tornado violentissimo. Gli ordinativi sono calati. Gli utili si sono ridotti o sono spariti. Le banche non hanno erogato nuovi finanziamenti. Tutto il sistema produttivo ha rallentato. Le aziende hanno dovuto operare tagli drastici nella produzione, di conseguenza la forza lavoro è risultata in esubero. I primi lavoratori a risentire della crisi sono stati i lavoratori “atipici”, cioè quelli con contratti a tempo determinato. Le aziende hanno fatto ricorso in maniera massiccia agli ammortizzatori sociali, la CIG (Cassa Integrazione Guadagni) e la “mobilità”, per salvare il salvabile.
Sul nostro territorio sono presenti molte aziende, che coprono tutti i settori dell’economia: l’industria, l’agricoltura, il commercio, il terziario, l’edilizia.
La aziende di medie dimensioni sono quelle con 30-40 dipendenti, quelle con 80-100 sono già definite grandi. Diciamo che le medie-grandi imprese presenti a Gessate sono circa 50. Per piccole intendiamo quelle sotto i 15-20 dipendenti.
Molte aziende agricole e edili sono di piccole dimensioni. Poi ci sono gli esercizi privati, cioè i negozi, gli studi tecnici, medici e notarili; molti sono a conduzione famigliare, possono contare anche un solo dipendente.
Per misurare lo stato di salute del territorio di Gessate ci occuperemo dell’industria in generale (meccanica-chinica-tessile) e dell’edilizia, poiché questi settori sono i più rappresentativi della produttività.
Ebbene, di queste, più della metà hanno visto la loro produzione calare progressivamente dall’inizio della crisi mondiale. con riduzione progressiva del 30-40 %, fino a punte dichiarate del 60-70 %. La maggior parte hanno fatto ricorso alla cassa itegrazione per 6-9-12 mesi a parrtire dagli inizi 2009, e ne stanno ancora usufruendo. Alcune purtroppo hanno chiuso o sono in procinto di farlo. Infine, poche, solo un 10-20 %, sta sopportando la crisi e non ha fatto ricorso agli ammortizzatori sociali. In base alle rilevazioni che faremo più avanti, a novembre 2009, a un anno di distanza dall’inizio, possiamo dire che la crisi perdura, e la fine appare lontana. Vediamo più da vicino la situazione sul territorio di Gessate, descritta attraverso le testimonianze dei funzionari dei sindacati del lavoro.

SETTORE METALMECCANICO
Stefano Bucchioni (FIOM CGIL)

“La crisi a Gessate sta colpendo in maniera pesante. Quasi tutte le aziende sono in difficoltà. Quindi ci sono tanti lavoratori coinvolti. Magari non saranno residenti a Gessate ma il territorio colpito è quello. E il problema è che soluzioni non se ne vedono”.
Passiamo in rassegna una lunga lista di situazioni di crisi. Alcune aziende purtroppo hanno chiuso e sono attualmente in liquidazione, il che significa che sono state aperte le procedure di mobilità. In altre le trattative hanno avuto successo nel senso che la dirigenza è stata convinta a rinunciare alla mobilità e ad accettare la CIG straordinaria per un anno al termine del quale verrà verificato l’andamento e in base a quello si deciderà cosa fare.
Nella maggioranza dei casi la situazione è drammatica. I sintomi sono quasi sempre gli stessi. Contrazione di ordini. Forte riduzione del fatturato. Vediamo qualche esempio concreto mantenendo l’anonimato.

– Primo caso: “È un’azienda che avrà continuità. Per ora si sta facendo ricorso pesante alla CIG ordinaria (13 settimane per quattro cicli per un massimo di 52 settimane nel biennio). Siamo già alla terza richiesta. La cassa riguarda sostanzialmente tutti i dipendenti (ca. 70) a rotazione. Al termine bisognerà verificare le nuove condizioni. Nel momento in cui riprenderà la produzione occorrerà procedere a una razionalizzazione delle figure. Per ora non sono stati dichiarati esuberi”.

– Secondo caso: “Qui la contrazione non è così grave. Non hanno sufficienti ore di lavoro per tutti. In pratica si effettua una riduzione di orario. Per alcuni giorni della settimana stanno tutti a casa. Si spera che il lavoro torni ai livelli normali. La CIG ordinaria è utilizzata da tutti i dipendenti (stiamo parlano di circa 60 lavoratori)”.

– Terzo caso: “La situazione è molto critica. C’è un grosso calo di lavoro. Anche qui siamo a un utilizzo massiccio della CIG. E siamo già al quarto ciclo. In questa azienda i pochi ordini arrivano all’improvviso. Quando arrivano bisogna evaderli. Quindi si alternano momenti in cui si riesce a lavorare a momenti di mancanza di lavoro. La proprietà si augura di poter proseguire l’attività in futuro, di andare avanti, rinnovandosi, ma non è semplice”.

– Quarto caso: “È una situazione alquanto particolare. Una difficoltà imprevista ha procurato una situazione economica grave. Ma c’è la possibilità di una società che subentra. Si creerà cioè un nuovo gruppo per rilanciare l’azienda. Con il nuovo piano di riassetto, le mobilità dovrebbero rientrare e passare alla CIG straordinaria, dal cui bacino si dovranno ripescare gradualmente, in due anni, i lavoratori per ripartire. Poi non è detto che tutti accettino di restare. In ogni caso il processo dovrebbe mantenere i dipendenti legati alla società. L’intento è sempre quello di far lavorare tutti. Si parla di una sessantina di dipendenti delle varie sedi. L’intendimento guida è quello di mantenere un tessuto industriale in Italia, altrimenti, finita la crisi si rischierà di non avere più né imprese né lavoratori”.

Poi Stefano Bucchioni tocca un argomento scottante: estendere gli ammortizzatori sociali. “Perché in tutte queste realtà, là dove c’erano lavoratori interinali, sono stati i primi ad aver perso il posto di lavoro, in silenzio. Nessuno li vede, nessuno sa che esistono. Non hanno la possibilità di utilizzare la cassa. Le imprese prima di utilizzare la cassa eliminano i lavoratori interinali. Tanti hanno perso il posto di lavoro e lì c’è un grosso problema”. “Nonostante gli interinali costino più dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, le aziende li utilizzano per superare la possibilità di licenziare. Avevano cercato di mettere in discussione l’articolo 18. Non ci sono riusciti. Di fatto l’hanno cancellato utilizzando il precariato”.
“Sulla ‘ripresina’ annunciata da molti?”
“Magari sta avvenendo qualcosa nel mondo economico, ma i lavoratori non vivono nel mondo economico. I lavoratori vivono dello stipendio. A livello occupazionale la ripresa non si vede. Gli imprenditori dovrebbero dire: Se ieri guadagnavo 10 e oggi guadagno 8, sto sempre guadagnando”.

Fabio Crepaldi (FIM CISL)

“Nella zona Martesana, nei comuni limitrofi di Gessate la situazione è di una crisi profonda. Ci sono pochissime aziende dove non si vede questo, perché hanno mercati non europei, ad es. in Sudamerica. Nel settore metalmeccanico c’è una situazione di ‘CIG ordinaria’, di ‘CIG straordinaria’ e di ‘mobilità’, che sono poi i licenziamenti collettivi. Questi sono i tre ammortizzatori in essere. Poi c’è anche la ‘CIG in deroga’. Della CIG in deroga ne beneficiano quei dipendenti che non hanno diritto agli ammortizzatori sociali classici previsti dalla legge perché le aziende non hanno fatto i versamenti all’Inps. La cassa in deroga, - meno male che c’è -, è uno strumento per cui l’attuale governo ha messo a disposizione 9 miliardi di €. La cosa è venuta avanti ad aprile-maggio di quest’anno. In deroga perché? Perché a fronte di questa crisi stratosferica, il governo, regione per regione, ha stanziato dei fondi, ha fatto accordi con le parti”.
Fabio Crepaldi passa a illustrare la situazione, assai analoga, di due aziende.

–  Prima azienda: “È una multinazionale tedesca. Ha due stabilimenti, uno a Gessate con circa 50 dipendenti, e un altro in un vicino comune. Ha aperto una procedura di mobilità su entrambe le unità produttive. I lavoratori, alla fine della procedura durata 75 giorni avrebbero perso il posto. È stato importante far cambiare idea al datore di lavoro (in Germania gli ammortizzatori sociali non ci sono, non c’è la CIG), trasformando la mobilità in una cassa straordinaria, per un anno, a rotazione, ratificata a Roma. È stato un primo passo buono sperando che poi il tempo riesca ad aggiustare le cose”.

–  Seconda azienda: “È una multinazionale americana. Tutte le unità produttive (circa 500 dipendenti) sono coinvolte nella crisi. A Gessate i lavoratori sono circa 130. Era partita con una CIG ordinaria. Poi ha voluto riunire tutte le aziende con la cassa staordinaria, di 12 mesi. Anche qui si è dovuti intervenire a livello ministariale. Non tutti i lavoratori purtroppo riescono a fare la rotazione. Se alla fine della CIG straordinaria il problema non sarà rientrato, si parlerà purtroppo di esuberi per la legge 223/91, con tutte le difficoltà”.

Crepaldi spiega che durante questo periodo di crisi, capita che alle aziende arrivino ordini, ma sono ordini momentanei. Allora richiamano i lavoratori dalla cassa, gli fanno fare una, due settimane, poi ritornano in cassa. Si lavora male, perché bisogna produrre in fretta. Qui si parla sempre di dipendenti a tempo indeterminato, perché gli interinali sono già stati dimessi. Da novembre 2008 a novembre 2009, sostanzialmente non ci sono segnali di ripresa. La crisi sarà a lama di seghetto, avrà un andamento altalenante e si protrarrà per molto.

Crepaldi poi sostiene che è scandaloso che sugli ammortizzatori sociali si debbano pagare gli oneri sociali del 5,84% e in più il 23% di trattenute irpef sul rimanente. “Perché uno deve pagare circa il 28% sui soldi della CIG? Tu, Stato, mi dai i soldi per sopravvivere e poi te ne riprendi una parte? È  incomprensibile. E l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, se non sbaglio. Oltretutto, questi soldi non arrivano subito. La cassa integrazione viene approvata dall’INPS in circa 6 mesi. Se l’azienda per problemi di liquidità non dà l’anticipo il lavoratore aspetta 6 mesi prima di prendere i soldi”.

Il settore metalmeccanico nell’area del milanese è al  700% di ricorso alla CIG rispetto ai passati periodi di normalità.

Completiamo il quadro dei meccanici con qualche iniezione di fiducia. Da questo bollettino di guerra risultano escluse due società rilevanti che nominiamo: parliamo di ‘Gruppo Aturia’ (circa 80 dipendenti nella fabbrica di Gessate, produttrice di pompe e sistemi di pompaggio) e di ‘Ronchi Mario’ (sistemi di riempimento, dosaggio e tappatura). Entrambe queste ditte non soffrono situazioni particolari.

SETTORE ENERGIA MODA CHIMICA E AFFINI 
Domenico Frustagli (FEMCA CISL)

“Il settore più penalizzato è quello della gomma-plastica, mentre la chimica ne sta uscendo prima (nel senso che c’è qualche sentore di risveglio). Il periodo più negativo è stato aprile 2009. Da settembre si nota un lento miglioramento. Il 2010 si prevede difficile”. “Nel 2007 le aziende nel territorio in CIG erano 65. Nel 2008 il numero è raddoppiato. Nel 2009 (da gennaio a giugno) il numero è quadruplicato. Ad esempio, una ditta di Gessate ha chiuso utilizzando i seguenti ammortizzatori sociali: un anno di Cassa Integrazione più la mobilità (fino a 3 anni in base all’età) per 25-30 dipendenti”.
Il 60% delle aziende è sicuramente stato toccato dagli ammortizzatori sociali. Di queste il 90% come richiesta di cassa integrazione e il 10% come mobilità.
“Come licenziamenti, su Gessate finora non ne ho avuti, nemmeno per contratti di CoCoPro e contratti a termine. Nel senso che c’erano delle aziende che hanno approfittato di certe situazioni… Risultato: vertenza e giudicato favorevole al lavoratore. Abbiamo vinto dappertutto, ma la cosa più complicata è quando si parla di un lavoratore a termine, perché la legge dice: finito il termine di lavoro: ‘stai a casa’. Noi anche in quel caso abbiamo vinto dimostrando che il contratto è stato rinnovato più volte, il lavoratore a termine o a progetto è stato sfruttato oltre i limiti, pagando anche di più rispetto al lavoratore normale. Uno dovrebbe pagare di meno per far lavorare la gente. Invece le imprese hanno pagato di più di fronte alla crisi, utilizzaando i precari. Il lavoratore a termine costa di più, però poi lo possono lasciare a casa quando vogliono”.
“E c’è di più. Certe aziende medie pagano tre figure: il consulente (che prende dei bei soldini), l’associazione (che sarebbe il sindacato che difende il lavoratore), certe volte anche l’avvocato, e poi perdono anche le cause”.

SETTORE EDILE
Ezio Micheletti (FILCA CISL)

“La crisi ha colpito profondamente anche il settore edile, che ne ha risentito in modo ritardato. Lo si vede perché molti cantieri sono praticamente fermi, o hanno un andamento rallentato. Un dato provinciale ma significativo e adattabile a Gessate: l’anno scorso a luglio c’erano 34.000 ore di cassa integrazione (comprese le ore di pioggia per capirci). Quest’anno nello stesso periodo, a un anno di distanza, le ore usate sono state 154.000. L’incremento come si vede è del 450%. Le ragioni della crisi sono intuibili. I costruttori non procedono per il semplice motivo che hanno appartamenti invenduti, perché la gente è in difficoltà economiche, ha difficoltà ad accendere un mutuo. Molte persone hanno perso il lavoro o sono in situazione di cassa integrazione. Questa è una catena che alla fine è arrivata anche nell’edilizia. Il settore non è abituato in quanto da circa 10 anni non ha subito crisi di alcun tipo”.
“La ‘ripresina’ ancora non si vede. Questo settore è l’ultimo a entrare in crisi ed anche l’ultimo a riprendere, il che avverrà quando la gente ricomincerà ad avere un salario sicuro. Si spera in una leggera ripresa nel primo semestre 2010, soprattutto legata al fatto che inizieranno alcuni lavori pubblici importanti che toccheranno anche le nostre zone. Per esempio la Brebemi, opera già appaltata, porterà sicuramente del lavoro. A beneficiarne saranno i settori dell’edilizia legati alla costruzione delle strade. Altra cosa è la costruzione delle case dove il problema rimane. La prospettiva dell’EXPO 2015 dovrebbe far partire una serie di lavori, che però ancora non si vedono”.
“Per quanto riguarda Gessate, attualmente sul territorio ci sono una trentina di cantieri edili, ma sono imprese che vanno da un dipendente a 8-10 dipendenti. Addirittura ci sono piccole imprese artigianali che lavorano in proprio o magari hanno un solo dipendente. Il totale dei dipendenti di queste imprese impegnate è di una settantina”.
“La crisi è globale. Qualche imprenditore dice: io sarei interessato a iniziare quest’opera però non ho la copertura finanziaria perché la banca in questo momento non fa nessun tipo di credito. Poi ci sono imprenditori che hanno fatto soldi a dismisura in questi anni. Io credo che in Italia le banche non siano più brave che all’estero. Le banche spesso non collaborano”.

Marian Casuta (FILLEA CIGL)

“Per quanto riguarda l’edilizia, Gessate è un po’ ferma. La differenza tra quello che c’era in corso d’opera nel 2008 e quello che c’è in corso d’opera adesso è notevolissima. Il segnale di crisi è che non si aprono cantieri nuovi. Per quanto riguarda i privati, che prima tiravano, si vanno completando i lavori in corso, con molti sforzi da parte del committente, e poi si spera di vendere le case. Rimangono in corso solo piccoli lavori di ristrutturazione”.
“Anche gli appalti pubblici danno un immagine della crisi. A Gessate sono tre. C’è il cantiere pubblico della scuola fermo. I lavori sono bloccati da sei mesi. Non so bene i motivi, anche perché l’azienda è sparita. Alla scuola materna di via Moro invece si lavora. Mentre i lavori al cimitero sono fermi. La crisi ha coinvolto non solo le aziende ma anche i comuni”.
“Ripresina? No assolutamente. L’edilizia, che per me è quella che traina l’economia rimane ferma. E se non ripartono i cantieri adesso, non ci saranno case in vendita nel 2010 e 2011. Si venderanno ancora le case costruite nel 2008, rimaste invendute”.
“Il mercato crolla come vendite, ma non come prezzi. Non si vogliono abbassare i prezzi. Perché si vede che non ci stanno, o che falliscono, non so…”
Casuta proegue: “Tragico! Non ho mai visto una situazione così da 10 anni. I lavoratori dei cantieri per il 50% sono stranieri. Recentemente sono aumentati moltissimo gli artigiani. Per riuscire a stare nel mercato, smettono di fare i dipendenti, aprono una partita iva, si mettono in proprio con la speranza che qualcuno gli dia il lavoro. Molti stranieri aprono le partite iva ma non sanno come impostare una vera impresa, hanno idee strane o approssimative. Si fa la cosiddetta elusione, cioè si omette e ci si illude che le cose vadano al meglio”.
“Ma vorrei dare un segnale sociale a tutta questa faccenda della crisi. Tantissimi stranieri rimangono senza copertura INPS in quanto risultano ‘dimessi’. Le ditte, al momento dell’assunzione utilizzano un foglio bianco che fanno firmare al lavoratore e che alla fine della fiera, quando hanno bisogno di licenziarlo, compilano con ‘il sottoscritto rassegna le dimissioni’, e all’INPS lui risulta come una persona che si è dimessa. E lo stato non lo copre perché è un lusso dimettersi quando c’è la crisi. In edilizia è molto utilizzato questo sistema. La crisi non è solo materiale, è una crisi morale. Dopo la caduta del ‘muro’ è nata la mentalità che i soldi si possono fare a palate e in poco tempo. I sogni sono belli solo quando vengono raccontati”.
“Comunque, tornando a Gessate, la vicinanza del metrò e i progetti di futuri allacciamenti stradali e di altre infrastrutture, come la Brebemi che doveva già partire, e la Est Est Esterna, danno la possibilità che qualche sviluppo avverrà ancora”.
Alla fine di questo slalom nella ‘crisi’ conservo la speranza in un futuro migliore alimentata dal fatto che nelle persone conosciute ho riscontrato preparazione e abnegazione encomiabili. Tutte intendono il loro lavoro come una missione da compiere. E questo mi conforta.

Le frasi
Stefano Bucchioni: “Occorre considerare: se ieri guadagnavo 10 e oggi guadagno 8, sto sempre guadagnando”.
Fabio Crepaldi: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro - ricordiamolo -”.
Domenico Frustagli: “L’agenzia interinale non può essere usata sulla produttività”.
Ezio Micheletti: “…ma ci sono imprenditori edili che hanno fatto soldi a dismisura in questi anni”.
Marian Casuta: “I sogni sono belli quando vengono raccontati”.

Si ringraziano per la gentile collaborazione
FIOM CIGL MILANO – sez. Gorgonzola – (Federazione Impiegati Operai Metallurgici) – nella persona di Stefano Bucchioni
FIM CISL MILANO EST – sez. Gorgonzola – (Federazione Italiana Metalmeccanici) – nella persona di Fabio Crepaldi
EMCA CISL MILANO – sez. Gorgonzola – (Federazione Energia Moda Chimica ed Affini) –  nella persona di Domenico Frustagli
FILCA CISL – sez. Gorgonzola – (Federazione Italiana Lavoratori Costruttori e Affini) – nella persona di Ezio Micheletti
FILLEA CIGL – sez. Gorgonzola – (Federazione Italiana dei Lavoratori del Legno, dell' Edilizia, delle industrie Affini) – nella persona di Marian Casuta

Walter Visconti

 

ARTICOLI 2008 - 2° SEM

Le Cascine di Gessate

Numero 5.2008

 

È inutile, credo, cercare documenti nuovi per approfondire un tema già ampiamente trattato nel volume “Gessate, un popolo e la sua storia” di Federico Bertini. Dunque ci limitiamo alla sua ripresa (in pratica al riassunto del capitolo sesto), sempre affascinante, per proporlo alla nuova popolazione che ha fatto superare di recente quota 8000. Voglio citare anche il volume “La cascina milanese” edito dal Comune di Milano (biblio di Melegnano) e “Cinquecento anni del naviglio Martesana” edito dalla Provincia (disponibile presso la nostra biblioteca).

Le prime cascine
Sin dal 1500, attorno al nucleo abitativo del “centro” di Gessate, si svilupparono vari insediamenti completamente staccati, denominati “cascine”. Alcune non esistono più e rimane solo il nome del luogo in cui sorsero. Altre, seppure ricostruite, conservano l’antica struttura.
Le prime cascine di Gessate risalgono alla prima metà del 1500. Una grave crisi demografica dalle cause molteplici (epidemie, guerre) investe Gessate verso la fine del 1400, che rischia addirittura di farla scomparire. Dalla seconda metà del 1500 si ha una rinascita probabilmente dovuta a investimenti in terreni da parte dei nuovi ricchi. Si registra una ripresa economica che dà inizio a un periodo di floridezza. Nasce la “nuova Gessate”. Gli insediamenti periferici permettono l’accesso diretto ai terreni da coltivare con nuove colture, più intensive e redditizie. Le cascine sono veri distaccamenti del paese, quasi completamente autonomi, dove vivono intere famiglie contadine. Comprendono case, stalle, fienili, aie, pozzi, orti, spesso forni, talvolta piccole chiese. Lo schema dell’edificio si sviluppa solitamente a forma rettangolare. Un’ampia entrata centrale immette nel cortile e divide la costruzione in due ali; una riservata alle stalle per gli animali, a seguire un porticato adibito a fienile, ricovero degli attrezzi, raccolta dei prodotti agricoli; l’altra ala comprende un’ampia stanza al piano terra con cucina e solaio al piano superiore al quale si accede con scala esterna, seguono poi varie stanze al piano terra e, sopra, le camere da letto a cui si accede con scala esterna separata. In questa ala si  trovano anche il pozzo, il forno, il pollaio. È possibile vi sia anche un locale con il torchio, e cantine dove si conserva il vino in botti o contenitori di ceramica. È spesso testimoniata l’esistenza di piccole cappelle, nonché di affreschi a carattere evangelico.

Storia cronologica

1457 – Il duca di Milano Francesco Sforza promuove la costruzione del naviglio della Martesana. Il naviglio è pensato inizialmente solo per irrigare. È costruito a tempo di record entro il 1463. Dal canale, attraverso numerose “bocche” vengono attinte acque per irrigare campi e tenute soprattutto verso sud (la pianura digradante verso la valle del Po). Tuttavia, è ricavata la Roggia Crosina a nord della Martesana che attraversa la parte sud del territorio di Gessate, permettendo l’irrigazione dei terreni e quindi colture più intensive.
1471 – La Martesana è già in funzione e determina un incremento delle attività di Gessate  legate a Milano. Il canale è utilizzato anche come via d’acqua navigabile per collegare Milano all’Adda (e al lago di Como). 
Inizi 1500 – Sorge il porto fluviale dove si caricano le merci nella località denominata Le Fornaci (e successivamente Villa Fornaci). La località prende questo nome dai forni per produrre laterizi (calcina e mattoni). La nascita dell’intero insediamento è comunque direttamente collegabile alla costruzione del naviglio. Qui convergono le merci da Gessate e dai paesi limitrofi a nord e a sud per essere trasportate a Milano. Già nel 1481 la strada che collega Bellusco a Gessate e alle Fornaci viene ampliata.
1500-1515 – Sorgono le prime cascine, Crosina (oggi non esiste più) e Panè.
1550-1570 circa – I proprietari milanesi Cattanei fanno costruire la Trombettina. Forse non è un caso che queste tre cascine (assieme all’insediamento portuale di Villa Fornaci) siano le più vicine alla Martesana.
metà 1500 – Sorgono Pirogalla e Casara (tra le più vecchie), e anche Monticello un poco più a nord della Crosina. La Pirogalla prende il nome dal dott Giovanni Francesco Pirogalli che eredita ampi terreni incolti distanti dal centro di Gessate e fa costruire la cascina che comincia ad essere adeguatamente sfruttata dal 1550 dopo il superamento della crisi demografica. Il Pirogalli, alla sua morte lascia in eredità la cascina e i terreni ai Padri di San Dionigi di Milano, che vi si insediano. Esiste una cappelletta privata fatta costruire ai tempi del Conte Pirogalli. Si parla dell’esistenza di un passaggio segreto (l’entrata sarebbe murata), che partendo dalla cascina Pirogalla giungerebbe fino all’Assunta. 
La Casara prende nome dalla signora Barbara Casata che la fa costruire: la struttura odierna è ancora la stessa di allora. Monticello deriva invece il suo nome della località “Montexxello” situata lungo la strada che collega Gessate alle Fornaci.

Le cascine del seicento

Fioriscono gli insediamenti sparsi sul territorio a contatto con i terreni da coltivare. Così si aggiungono altre cascine alle sei citate in precedenza. Hanno una torretta nel corpo centrale (forse a significare la dimora padronale), alla cui base si apre un portico che consente l’accesso al cortile. Le ali hanno una disposizione a “L”.
1620-1640 – Con tutta probabilità l’origine della Bellana è databile in questi decenni. È costruita da membri della famiglia Bonesana. Il nome potrebbe derivare dal toponimo del territorio, a sua volta derivante da una divinità celtica rurale “Beleno”.
1675-1670 – La cascina Bonesana viene costruita dalla omonima famiglia quasi sicuramente in questi anni, e, come la Bellana, si trova al centro di estesi possedimenti di diverse centinaia di pertiche (una pertica milanese corrisponde a circa 650 mq).
metà 1600 – Anche la cascina San Pancrazio (di piccole dimensioni, detta per questo “Cassinello”) si fa risalire a tale periodo. Non ne rimane però traccia. Si posizionava vicino alla attuale omonima chiesetta.
1680 circa – La cascina Assunta (o Cascinello) è fatta costruire da don Giuseppe della Torre. Alla morte di quest’ultimo è abitata dalle Monache del Monastero di San Filippo Neri di Milano.
fine 1600 – La cascina Gnocco, risale probabilmente a questo periodo, è situata in località Villa Fornaci, ma in posizione un poco decentrata, a nord della statale 11. È di forma anomala, non a “L”. Il suo nome deriva da quello dei terreni sui quali sorge, detti appunto “Gnocchi”.

Le cascine del settecento

Si registra una continuità rispetto al secolo precedente. Sorgono altri insediamenti isolati. Le coltivazioni si intensificano. L’incremento demografico di Gessate prosegue. L’ambiente tipico della cascina perde la peculiarità del corpo centrale più elevato, a significare forse che i proprietari, quando visitano le campagne, preferiscono abitare nelle ville. Le cascine riacquistano l’aspetto di edifici esclusivamente rurali.
metà 1700 – Verso la metà del secolo i nobili Del Conte fanno costruire la cascina Santa Maria, (o Malpensata) per coltivare una zona alquanto decentrata, molto ampia e in parte boschiva. È l’unica cascina del nord-ovest.
1772-1777 – è il periodo in cui sorge il Rogolino, situato in aperta campagna, in una zona esclusivamente boschiva che inizia ad essere messa a coltura. È l’unica cascina nel nord-est del territorio. Il nome deriva dalla fitta presenza di roveri (in dialetto ‘rugura’).
seconda metà 1700 – In questo periodo è fatta costruire dall’omonimo proprietario la piccola cascina Maderna, in località Fornaci, nei pressi del confine con Inzago. È stata recentemente abbattuta.

Ultima evoluzione tra ’800 e ’900

In quasi un secolo dal 1770 al 1860 la popolazione di Gessate raddoppia. E questa tendenza continua anche successivamente fino ai primi del ’900. Il risultato è che le cascine aumentano il numero di abitanti ma non perché serve più lavoro, semplicemente perché necessitano più abitazioni. Sorgono anche nuove cascine, ma abitate da borghesi oltre che da contadini, e per comodità si posizionano lungo le strade principali già tracciate.
1840-1860 –  Sorgono cascina Sartirana (angolo via Garibaldi via Manzoni) e Cascina Bertelli (incrocio via Manzoni Villa fornaci).
1900 circa – Attorno a questa data sorgono cascina Gerosa in via Manzoni, e cascina Cagnola verso Masate.
1930 – A questa data troviamo registrate sulle mappe catastali altre cascine: la Benpensata lungo la strada per la Bellana, la San Giuseppe (o Gera) sulla strada per Pessano, la Vimercati sulla statale 11 a Villa Fornaci, la San Paolo in prossimità della chiesetta di San Pancrazio sulla strada principale.

La realtà oggi di alcune cascine di Gessate

Due sono le cascine in cui oggi si opera la commercializzazione di prodotti della campagna e si propone un’offerta di relax.
Casara: Abitata dalla famiglia Cecchi dal 1962. Hanno mantenuto mucche da latte fino al 1985/1986. Poi monocoltura, mais, frumento, orzo. Allevano manzi, vitelli, maiali, con macellazione diretta fatta sul posto. Dal 1997 gestiscono uno spaccio per la vendita di carni e salumi. La cascina è stata ristrutturata nell’86. L’azienda è a conduzione famigliare: il sig. Cecchi, il fratello, il nipote. In totale la cascina è abitata da sei famiglie, di cui tre di discendenza Cecchi. 

Mentre chiacchieriamo, la signora Cecchi porta in tavola un piatto contenente una ‘collinetta’ di orecchie di maiale bollite, ancora fumanti, che emanano un vapore corposo. “Oggi mangiamo alla paesana, – mi spiega il signor Cecchi, – cotechino, orecchio e lenti, mentre aspettiamo i figli assaggiamo qualcosa”. 
Assunta (Cascinello): è stata ristrutturata completamente, ci abitano circa 18 famiglie (circa 38 abitanti). Dal 1897è sede di una trattoria, che dal 1970 è denominata “Antica trattoria dei tigli”, attualmente gestita dalla simpatica famiglia di Costanzo Giuseppe.
In un insediamento staccato dalla cascina Assunta, un centinaio di metri più a nord, un’altra famiglia, quella dei Fossati, si è specializzata nella produzione di latticini: gestisce un’azienda con allevamento di mucche da latte per la produzione e la vendita diretta di formaggi: taleggio, primo sale, ricotta. Davanti alla fattoria, in una zona tranquilla, sono disponibili ampi spazi, sia all’aperto sia al coperto, per ritrovi e pic-nic. Il signor Fossati, cordialissimo, mi invita a trattenermi, ma è tardi, devo andare: tornerò.

Walter Visconti

 

CONCERTO D’AUTUNNO 2008

Numero 5.2008

XVII edizione del Concerto d’Autunno. Appuntamento da non perdere per gli amanti della musica sinfonica, che chiude come ogni anno le manifestazioni legate alla Sagra di Gessate.
La prima parte è dedicata come sempre alla musica sacra. Un brano per sola orchestra, una sinfonia tratta da “Il diluvio universale” di Gaetano Donizetti introduce la giusta aspettativa negli 80 elementi della corale, che devono prepararsi alla impegnativa performance che seguirà. Ci siamo. È una esecuzione-sfida, un brano alquanto complesso, costato mesi di preparazione: la “Messa di gloria” di Giacomo Puccini, a onorare il Maestro nel 150° anniversario della nascita. L’intera esecuzione richiede circa 50’: Kyrie, Gloria, (l’applauso dopo il Gloria serve ad aumentare l’impegno), Credo, Sanctus, Benedictus, Agnus De, durante i quali il coinvolgimento della corale è notevole. Alla fine, la prova è superata a pieni voti. Ora questa “messa”, sulla cui scelta il Maestro Costante nutriva inizialmente qualche dubbio, fa parte del repertorio: la risposta è venuta attraverso una caparbia tessitura protrattasi per 90 sedute di prova. 

La seconda parte, al solito, è più “pirotecnica”. Il brani scelti per questa edizione sono tipici del repertorio. Si apre con la notissima sinfonia da “La gazza ladra” per sola orchestra, aria dai toni scoppiettanti, finale in crescendo ossessivo e trionfale. Lungo applauso di riconciliazione con la musica melodica e orecchiabile. A conclusione viene riproposta l’opera verista “La cavalleria rusticana”, di Pietro Mascagni, nei quattro momenti più famosi. “Preludio e siciliana”: brano capolavoro per intensità e ricchezza di spunti, il cui finale apre al dramma della vita, con dolcezza struggente. “Gli aranci olezzano”: campane e violini in entrata, gioiosità e vita, ritmo incalzante, sussurri del coro che toccano il cuore. ”Intermezzo”: dolce fraseggio orchestrale, a suggerire propositi e speranze in toni mistici e accorati. “Inneggiamo, il signore è risorto”: qui soprano, coro e orchestra assurgono a potenza soverchiante non a travolgere la vita, bensì a sua elevazione. In quest’ultimo brano si esibisce per la prima volta al Concerto d’Autunno il soprano Nicoletta Ceruti. Bravissima. Una menzione particolare va alla giovane arpista di 16 anni. Si chiude come di consueto con l’Hallelujah di Friedrich Haendel. La gente di Gessate è sempre più fiera della sua Corale. Arrivederci.

Walter Visconti

La Nuova Manifestazione Storica

Numero5.2008

La “Nuova Manifestazione Storica” imperniata sulla vicenda del Beccaria, personaggio illustre profondamente legato a Gessate, ha preso finalmente corpo, dopo un anno di intensi preparativi, il 4 ottobre 2008 al Cine teatro Don Bosco con una rappresentazione teatrale dal titolo “Fate che le leggi…”.
Tracciamo qui di seguito tracciare una fedele evocazione dello spettacolo.

Primo tempo.
È la storia di un uomo. È la storia di un libro. La scena si apre con l’intervista a un Cesare Beccaria moderno che spiega il suo passato. I ricordi si indirizzano subito ai giovani Cesare Beccaria e Teresa Blasco: storia di due innamorati. Lo zio Nicola e il padre Giulio Saverio ostacolano il matrimonio (“non s’ha da fare”), in quanto i Blasco sono nobili di serie B. Il colonnello Blasco (un azzeccatissimo Roberto Caspiati), difende la figlia. Dopo una struggente supplica, Cesare convince il padre a cedere. Si celebrano le nozze. Un minuetto danzante ben interpretato dal gruppo “La Contraddanza” (con splendidi costumi) evoca lo sposalizio. Cesare e Teresa sono poveri, abbandonati dalla famiglia, tutto sembra perduto. Ma interviene Pietro Verri (ben interpretato da Rolando Tresoldi), a salvare la situazione, con l’ideazione della famosa “commedia a sorpresa”.
Si cambia scena. Viene proposto l’intimo e tumultuoso ambiente de “L’accademia dei pugni”. Alessandro Verri (Ambrogio Mantegazza), in una delle riunioni del Gruppo, propone a un annoiato Cesare Beccaria di indagare l’argomento della giustizia. Questi, come folgorato, inizia a scrivere il libro “Dei delitti e delle pene” i cui contenuti rimarranno nella storia: “occorre giudicare con gradualità; ci vuole proporzionalità tra delitti e pene; si apostrofa la lentezza dei processi (fino a 10 anni)”. “Fate che leggi… è un famoso incipit. Vengono intercalati commenti in chiave moderna. L’apprezzamento all’opera del Beccaria è ben raffigurato.

Secondo tempo.
“Dei delitti e delle pene” è subito un best seller. Il rumore è grande. Lo Stato Pontificio lo mette all’indice. Cesare ha paura. La responsabilità è troppa: la fama può scatenare l’invidia dei nemici. Gli illuministi francesi lo vogliono a Parigi. Pietro Verri fa grandi progetti per lui. Ma il Beccaria è preoccupato. Alla fine accetta di recarsi nella capitale francese con Alessandro Verri. Il 2 ottobre del 1766 i due partono per la Francia, patria di grandi filosofi: Voltaire, Montesquieu, Russou. E la moglie Teresa? Già a Novara Cesare inizia a soffrire di melanconia e ipocondria. Non può sopportare la lontananza della moglie. Durante il viaggio, Cesare manda lettere in cui dichiara di non poter resistere al tormento. La vezzosa Teresa, di rimando, lo informa che il Calderara, suo accompagnatore ufficiale, ha il mal di denti. Lione: in una drammatica lettera Cesare confida a Teresa il suo pentimento. Il viaggio prosegue tra mille incertezze. Dalla capitale Cesare scrive: “Cara Teresa, Parigi è immensa. Quanti elogi per la mia opera!”. Teresa risponde che prova melanconia e che va in campagna a distrarsi col Calderara. Cesare è ormai deciso a Tornare. Pietro cerca di farlo desistere da una tale assurdità rassicurandolo: “Tua moglie sta benissimo. Le tue bambine stanno bene, non hanno bisogno di te”. In realtà è proprio così: “Teresa non si è mai divertita tanto come dopo la partenza di Cesare” – scrive Pietro al fratello Alessandro. Ma tutto è inutile. Cesare, il 12 dicembre rientra a Milano, mentre Alessandro, da solo, prosegue per Londra. Oppone mille giustificazioni, ma aveva perduto  la serenità. Un’angoscia senza paragoni lo possedeva. Pietro Verri è furibondo e disperato per quello che considera un fallimento. Come conseguenza, l’amicizia tra i due si incrina irrimediabilmente. L’Accademia dei pugni si scioglie. La rivista “Il caffè” cessa le pubblicazioni.
Un colloquio conclusivo tra Cesare e Pietro induce a non poche riflessioni: un grande sogno si è interrotto a causa di Teresa, così deliziosamente volubile e allegra; Parigi e Londra sono al centro del mondo, ma “io” nel mio piccolo sto bene e mi sento felice anche a Gessate, perché no?
Ma qualcosa di immenso è sorto da questa vicenda. Le parole e i principi esposti da Cesare Beccaria sono il fondamento degli stati moderni. L’intento degli illuministi era, fin da allora, di dare credibilità allo Stato.

Fine. Ovazioni e applausi per tutti.
Molto azzeccata si è rivelata la scelta strutturare la vicenda con tre forme parallele di illustrazioni: la serie di interviste introduttive a un Cesare Beccaria moderno; la recita delle scene; la proiezione di immagini con didascalie a scopo illustrativo.
Un importante ruolo è quello della serva veneta di casa Verri, interpretato magistralmente da Sonia Zullato: è una voce di critica popolare che si inserisce con gustose battute e rappresenta la realtà di vita vissuta nei vari contesti.
Alla fine di un’ora e mezza di spettacolo ben congegnato, divertente, denso di attrattive e di significati, tutti sono usciti soddisfatti e informati. Tuttavia è serpeggiata un po’ di delusione per la scarsa partecipazione (155 persone! E pensare che era stato predisposto perfino uno schermo nel cortile dell’oratorio). Ma sicuramente l’anno prossimo l’affluenza sarà di gran lunga superiore.

Walter Visconti

ARTICOLI 2008 - 2° SEM - Pietro Verri - Cesare Beccaria

Verso la Nuova Manifestazione Storica
Personaggi illustri a Gessate
Numero 4-2008

Prosegue il percorso di avvicinamento alla nuova Manifestazione Storica parlando di due personaggi illustri legati a Gessate, Pietro Verri e Cesare Beccaria, le cui esistenze appaiono inscindibili, che hanno profondamente inciso sull’evoluzione del pensiero dalla seconda metà del settecento. Le vicende si stagliano in Lombardia, a Milano e dintorni, con estensioni europee.

La fonte principale delle notizie è il libro della Boneschi “Quel che il cuore sapeva”, edito Mondadori nella collana degli Oscar, inoltre cito l’edizione de “Dei delitti e delle pene” della collana ET Classici Einaudi con un’ampia raccolta di lettere e documenti a cura di Franco Venturi. Per chi volesse saperne di più propongo di acquistare “Otto lettere inedite di Alessandro Verri a Pietro Verri” a cura di Luca Frassineti, edizioni ETS, e anche “Attualità dell’Illuminismo milanese: Pietro Verri e Cesare Beccaria” di Gianfranco Dioguardi, Sellerio Editore Palermo. Sono tutti volumi acquistabili alla libreria Hoepli di Milano, non costosi.

Pietro Verri (cronologia)

14 febbraio 1728 – Il conte Gabriele Verri, padre di Pietro, e la contessina Barbara Dati della Somaglia si sposano. Il matrimonio è naturalmente combinato ma sembra che i due fidanzati si piacciano. Lui ha 33 anni, lei 20.
12 dicembre 1728 – Nasce Pietro Verri, primogenito di una nidiata di undici figli, di cui otto sopravvissuti (e purtroppo molte sono femmine). La situazione è la seguente:
1732 – Nasce Anna Clara che diventerà monaca.
1733 – Nasce Teresa Maria che sposerà il nobile Ottavio Castiglioni.
1736 – Nasce Francesca Maria che sposerà certo Auricledo Vimercati.
1740 – Nasce Girolama Antonia che andrà suora.
1741 – Nasce Alessandro, che diventerà avvocato.
1743 – Nasce Carlo, e per lui è programmata la carriera ecclesiastica.
1745 – Nasce Giovanni, e per lui è previsto il cavalierato di Malta.
1733 – A cinque anni, Pietro si ammala di vaiolo ma guarisce.
1735-1745 – Per circa 10 anni Pietro non fa che cambiare insegnanti e istituti, nei quali viene trattato da ribelle fannullone piuttosto che da allievo. Subisce ogni tipo di angherie, anche perché spesso è il padre a richiedere un trattamento severo per “raddrizzarlo”
20 ottobre 1746 – A 18 anni entra nel collegio dei nobili di Parma, dove sta per arrivare Cesare Beccaria (a 8 anni circa). Qui trova un ambiente adatto alla sua intelligenza e al suo carattere: si guadagna il riconoscimento di “Principe dell’accademia”.
14 agosto 1749 – Torna a Milano. Parte con la famiglia per la vacanza estiva a Biassono. Medita: è abbastanza colto, primogenito, erede del patrimonio, futuro capo della famiglia. Suo padre Gabriele però è un tiranno, pretende sottomissione. Ma Pietro è tenace, caparbio, reattivo, forte dei nuovi principi.
1752-1753 ? – Partecipa all’Accademia dei Trasformati dove pronuncia un discorso ’illuminato’ dal titolo “La filosofia alla moda”.
1752-1757 ? – Pietro Verri si innamora e frequenta per circa quattro anni la duchessa Maria Vittoria Ottoboni Boncompagni, una gentildonna romana sposata ventenne nel 1741 al duca Gabrio Serbelloni, “non bella, ma generosa, colta e socievole”.
1758 – Maria Vittoria si innamora ben presto di un cugino e lascia bruscamente Pietro, il quale, dapprima è sconsolato, poi si riprende e si immerge negli studi. Poco dopo Pietro si invaghisce di un’altra dama: la contessa Barbara Corbelli, 20 anni, sposa dell’aristocratico Francesco D’Adda di Sale.  
1758 – All’Accademia dei Trasformati, Pietro Verri (30 anni) e Cesare Beccaria (20 anni, appena rientrato da Pavia dopo la laurea in giurisprudenza) si conoscono, stringono amicizia, condividono ideali. Sono fortemente critici verso i padri. Ne fa parte anche Giuseppe Parini (29 anni).
1759 – Pietro Verri non ha le idee chiare sul suo futuro. Decide di intraprendere una nuova via arruolandosi nel reggimento del marchese Clerici.
5 maggio 1759 – Pietro Verri (mentre Barbara Corbelli è incinta) lascia la Lombardia alla volta di Vienna per prendere parte alla ‘guerra dei sette anni’ scoppiata nel ’56 tra Austria e Francia da una parte e Prussia e Inghilterra dall’altra per il possesso delle Slesia. A Vienna conosce il pittoresco e intelligentissimo consigliere di Maria Teresa, Kaunitz von Rietberg.
14 luglio 1759 – Il capitano Verri si dirige verso il fronte in Lusazia. Qui entra in contatto con il vero ambiente militare, giudica tattiche e strategie, visita la città di Dresda, assiste al culto calvinista che apprezza per la sobrietà, partecipa a qualche scaramuccia. Apprende che il 6 agosto a Milano è morta la sua adorata Barbara Corbelli per le conseguenze del parto. È disperato, non sa darsi pace.  
7 marzo 1760 – Pietro Verri è ricevuto da Maria Teresa, viene ammesso a corte col compito di gran ciambellano. Qui ha modo di conoscere più da vicino la sovrana che ammira per la spiccata vitalità: “una bella e fresca signora di 42 anni, che sebbene corpulenta, balla svelta”.
14 gennaio 1761 – Pietro Verri ha finito di partecipare alla Guerra dei sette anni. Torna a Milano dove trova l’amico Cesare Beccaria agli arresti domiciliari (perché pretende di sposare Teresa De Blasco). Nel frattempo i Verri hanno acquistato un palazzo signorile di tre piani nella contrada del Monte di santa Teresa (dal 1808 prenderà il nome di Montenapoleone).
1761 – Primavera-estate. Pietro Verri scrive “Sul tributo del sale nello stato di Milano” in cui denuncia miopia della giurisprudenza e invoca la riforma fiscale. L’opera viene spedita a Firmian (plenipotenziario austriaco a Milano). Nulla.
1761 novembre – Pietro finisce la prima parte di “Considerazioni sul commercio”. Si descrive il declino dell’economia lombarda durante i 172 anni di dominazione spagnola. Proposta: sfoltire le leggi, limitare il potere ai giuristi, incoraggiare le manifatture, ridurre le tasse, liberalizzare il commercio, abolire le corporazioni. L’opera viene presentata a Firmian. Freddo e gelo.
19 maggio 1762 ­– Pietro Verri è l’ideatore della “commedia a sorpresa” attraverso la cui recita Cesare Beccaria e Teresa De Blasco ottengono dal padre la riammissione in famiglia (Pietro ha 34 anni, un carattere energico, adora il teatro e in particolare la commedia, che per lui rappresenta l’espressione massima, in chiave artistica, della realtà della vita).
1762 inverno-primavera – Pietro e Alessandro Verri danno vita alla Accademia dei Pugni. Vi partecipano molti intellettuali lombardi dell’epoca, tra i quali Cesare Beccaria, Luigi Lambertenghi, Giuseppe Visconti di Saliceto, Giambattista Biffi. In seguito si aggiungeranno l’abate Alfonso Longo e il barnabita Paolo Frisi. Il luogo di ritrovo è la stanza della stufa a pianterreno di casa Verri.
1763 - maggio – Fine della terza parte di “Considerazioni sul commercio”. L’intera opera viene inviata a Vienna a Luigi Giusti, capo del dipartimento d’Italia, con richiesta di inoltrarla al cancelliere Kaunitz.
1763 estate – Pietro scrive “Meditazioni sulla felicità”, uno schema filosofico alquanto impegnativo sull’analisi della felicità: la sua dimensione, la provenienza, le effettività determinate su di essa dalla legislatura e dalla società.
1763 estate – Scrive anche “Orazione panegirica sulla giurisprudenza milanese”, una satira sulla resistenza di Milano all’innovazione.
9 gennaio 1764 – Pietro Verri è convocato da Firmian. Verrà istituita una “giunta per la rettifica delle leggi della Ferma”, di cui anche lui farà parte.
20 novembre 1764 – Viene istituito il Supremo consiglio dell’economia con il compito di proporre riforme fiscali. Pietro Verri è uno dei 9 consiglieri.  
1765 – Verri, Beccaria e i loro amici leggono, scrivono, discutono, lanciano idee. Pietro, attivo e curioso, frequenta la casa Beccaria di Brera, tiene un occhio vigile e tenero su Giulia, la bambina che ha contribuito a sottrarre alla miseria e all’isolamento.
1766 – Pietro Verri viene incaricato dal marchese padre Giovanni Saverio Beccaria di negoziare il matrimonio della figlia diciannovenne Maddalena. Pietro, che frequenta assiduamente la casa di via Brera è un po’ innamorato della ragazza. Vorrebbe sposarla lui. Si confida con l’amico Cesare ma questi lo sconsiglia: afferma che la sorella ha un carattere scostante. Allora Pietro desiste. Pensa che tutto sommato, per intrattenere una relazione non è necessario un matrimonio, anzi da amante si hanno meno guai. Dunque preferisce restare libero e corteggiare Maddalena. Accetta di condurre la trattativa e la conclude.
12 maggio 1766 – Maddalena Beccaria sposa il cavaliere Giulio Cesare Isimbardi.
1766 ottobre-dicembre – Sulle ali del successo di “Dei delitti e delle pene”, il riluttante Cesare Beccaria (con Alessandro Verri) intraprende un viaggio a Parigi per incontrare i filosofi francesi. Pietro Verri tiene una stretta corrispondenza con entrambi al fine di incoraggiare Cesare a portare a termine la missione, cosa che purtroppo non accade. Si incrina l’amicizia tra i due.
1767 gennaio – Pietro fa una dichiarazione d’amore a Maddalena Beccaria ma lei è titubante, nonostante detesti il marito burbero e violento.
1767 giugno – Pietro finalmente è ricambiato da Maddalena Beccaria.
1768 – La relazione tra Pietro Verri e Maddalena Beccaria prosegue “fedelissimamente”.
1769 – I rapporti tra Cesare Beccaria e Pietro Verri si deteriorano ulteriormente. Pietro è invidioso della cattedra di Cesare alle Scuole Palatine. Cesare rinfaccia a Pietro di voler divulgare la notizia che sia lui il vero autore de “Dei delitti e delle pene”.
1773 – Pietro ha 45 anni, varie avventure alle spalle, una posizione pubblica, ma nessun affetto veramente suo. Vorrebbe crearsi una famiglia vera. C’è una persona in casa Verri che ispira Pietro. È la nipote Marietta, orfana dall’età di sette anni della sorella Teresa Verri e di Ottavio Castiglioni. Ha trascorso nove anni in collegio, poi è stata accolta in casa Verri. È carina, gentile, mite, ha diciannove anni. È sorvegliata a vista dalla nonna Barbara. Pietro non può nemmeno avvicinarla.
1774 – Pietro controlla a distanza l’ex amico Cesare. Già dai primi di quell’anno, quando le condizioni di salute di Teresa de Blasco non davano più speranze, nota che Cesare è a caccia di una moglie. Così scrive di Cesare al fratello Alessandro a Roma: “Bel tempo per cercare una moglie, caro Sandrino”.
1775 – Riguardo alle mire sulla cugina Marietta, Pietro all’inizio è sconsigliato dal fratello Alessandro col quale si confida. Pietro è dibattuto, ma alla fine non sa resistere alla dolce attrazione. Si decide prima a congedare Maddalena Isimbardi di cui, dopo nove anni, è ancora cavalier servente. Poi, con cautela vuole ammorbidire l’ambiente familiare che ovviamente è ostile al progetto.
21 febbraio 1776 – Superati tutti gli ostacoli, Pietro e Marietta si sposano nella cappella dei marchesi Corbelli.   
2 marzo 1777 – Marietta partorisce Maria Teresa. Pietro Verri, secondo i più moderni dettami, annuncia: niente fasciature strette, niente crudeltà per soffocare i pianti, niente balia di campagna. Ricorda che la moderna medicina afferma che il latte materno è più sicuro. Pietro racconta di aver assistito sua moglie durante il parto. Naturalmente le critiche si sprecano, ma lui tira dritto e commenta: “il bene senza i latrati della invidiosa ignoranza non si è mai fatto”. 
29 giugno 1778 – Marietta partorisce Alessandro, che è fragile e malaticcio, e muore all’età di un anno, esattamente il 28 giugno del 1779.
3 agosto 1778 – È il giorno dell’inaugurazione del nuovo teatro alla Scala. I Verri e i Beccaria condividono un palco. Le rispettive mogli Marietta e Anna diventano amiche. È un segnale di riavvicinamento tra le famiglie. “Cesare è ingrassato a dismisura” - riporta il Verri. 
1779 inizi – Marietta si ammala. I medici non capiscono. Si tratta di tubercolosi. Pietro spende ogni energia per lei.
1780 – Un gruppo di spensierati cadetti usa riunirsi da qualche tempo nelle stanze al piano terreno del palazzo Verri di contrada Monte san Michele. Pietro Verri giudica gli incontri frivoli e chiassosi (solo un tentativo di parodia del “Caffè”). Le riunioni sono animate da Giovanni Verri, Giuseppe Gorani, e da diversi rampolli della Milano bene: i ragazzi della famiglia Arese, le ragazze Incisa, le sorelle Imbonati, e dall’autunno 1780, anche Giulia Beccaria, appena uscita dal convento.
27 maggio 1781 – Marietta muore. Pietro le è stato vicino fino all’ultimo confortandola con ogni delicatezza. 
1781 fine – Pietro scopre una clamorosa trama ordita nei suoi confronti dall’astioso padre e nemico Gabriele e dallo zio Antonio: vogliono intarsiare il quadro familiare ammogliando il cadetto Giovanni e dirottare su di lui il patrimonio del casato escludendone Pietro (danno per scontato che non avrà figli maschi). Per parare questo colpo Pietro progetta di riprendere moglie al più presto. 
13 luglio 1782 – Seconde nozze per Pietro. Con l’ausilio della marchesa Maria Corbelli (madre di quella Barbara Corbelli d’Adda che era morta durante la partecipazione di Pietro alla guerra dei sette anni), viene individuata la ventenne Vincenza Melzi d’Eril, attualmente in convento. Pietro la va a trovare. Si piacciono e si sposano.
1782 – Contemporaneamente alle proprie nozze, Pietro Verri si impegna nella trattativa per il matrimonio di Giulia Beccaria con Pietro Manzoni (che viene celebrato il 20 ottobre).
Conoscendo bene l’esuberanza di Giulia e l’ipocrisia dei tempi, Pietro reputa preferibile darle copertura consegnandola a un nobile maturo, permissivo e moderato (e onesto, come si vedrà), piuttosto che lasciarla indifesa, nubile e innamorata di uno spiantato cadetto (Giovanni Verri), che comunque potrà sempre continuare a vedere.  
12 settembre 1782 – Muore Gabriele Verri. La successione non favorisce Pietro, perché viene divisa tra i quattro maschi. Si scatena una guerra tra fratelli (Giovanni è a Milano, Carlo è a Venezia per studiare la pittura veneta, Alessandro studia letteratura a Roma ancorato alla moglie Margherita).
6 gennaio 1784 – Muore lo zio Antonio Verri, che inaspettatamente lascia tutto a Pietro (che ha 56 anni). Pietro dedica ogni cura alla prima figlia Teresa (a sette anni legge, scrive, conosce italiano, francese, tedesco).
3 marzo 1784 – Nasce Anna Maria, prima figlia di Pietro e Vincenza.
1786 – Pietro Verri trova sempre meno spazio nella carriera politica. Non rientra nel nuovo governo della città. Viene congedato con una modesta pensione perché gli mancano pochi mesi al venticinquesimo anno di anzianità. È afflitto anche dalla sordità che avanza. Nella casa di Monte san Michele rimangono lui, Vincenza e una figliolanza in aumento.
1787-1794 – Nascono nell’ordine Paolina, Ippolita, Antonia, Barbara, Fulvia, Luigia.
6 maggio 1796 – Pietro Verri assiste al passaggio del ciclone napoleonico e sentenzia: “ Tra pochi anni l’Italia sarà una famiglia sola probabilmente”.
20 luglio 1796 – Finalmente nasce l’erede maschio, Gabriele, a consolare Pietro dalle delusioni della politica.
1797 – Con attenzione e interesse, nonostante gli acciacchi, assiste al formarsi della Repubblica cisalpina.
25 giugno 1797 – Viene invitato a pranzo di corte a Mombello dal generale Buonaparte che rende onore ai suoi meriti di politico e filosofo.

28 giugno 1797 – Durante una pausa tra le sedute della municipalità nel palazzo del Broletto si sente male e non riesce a riprendersi. Muore, a 69 anni, tra le braccia della moglie Vincenza, chiamata con urgenza. Fino all’ultimo è stato franco, fermo e deciso, sempre animato da nobili principi.

La crisi è dei forti

Uno dei momenti di profonda crisi di Pietro Verri (ne vivrà altri) è quando nel gennaio 1761 deve tornare a Milano dopo aver partecipato (per un anno e otto mesi circa) alla cosiddetta guerra dei sette anni. Gli sembra d’essere duro di cuore, ma questa sua “virtù” è contraria alla aspettativa che ha di se stesso. Teme di aver acquisito tale eredità dalla famiglia e di non poter disfarsene come invece vorrebbe. È severo con se stesso, ma è anche in crisi con se stesso. È circondato da un mondo che vorrebbe rivoltare, e da cui finora non è stato accettato. Gli altri gli chiedono (a Milano) cose insulse, banali. Vorrebbe invece stupire il mondo con le sue idee rivoluzionarie sia economiche, sia morali, ma non è facile: perché mancano le condizioni, che forse si creeranno, anche a breve, – come sembra a tratti suggerirgli l’intuito, – ma è ancora presto, occorre aspettare. Ciononostante, con la sua decisione riesce a trascinarsi avanti, a non fermarsi, a non soccombere. Questa è la situazione di Pietro alla fine dell’esperienza austriaca di guerra e di corte. Sa che a Milano lo aspettano le “solite seccature domestiche”, i soliti pregiudizi mondani.

Effetti benefici della “commedia”

19 maggio 1762 – È il giorno della Commedia a sorpresa. A ben vedere, gli effetti provocati da questa vicenda sui destini della discendenza di Cesare Beccaria sono enormi: si pensi alla collocazione nobiliare della nascitura Giulia Beccaria, alla sua introduzione nei salotti dei Verri, al suo futuro amore per Giovanni Verri, al concepimento di Alessandro Manzoni, al matrimonio forzato con Pietro Manzoni, alla relazione con l’Imbonati, all’esistenza stessa del Manzoni mirabilmente pilotata dalla madre. Si può ben dire che Pietro Verri è l’artefice dei destini dei Beccaria.

Gabriele e Barbara Verri: genitori litigiosi e intolleranti

L’aria che tira in casa Verri è di intransigenza e ignoranza. Niente affetto, solo durezza e rimproveri. “Per i genitori dell’epoca non è importante instaurare confidenza quanto imporre autorità e allontanare i figli dal male che è in loro. Un capriccio infantile non è sintomo di disagio ma prova della presenza di satana nella piccola anima indifesa in pericolo”. Con gli anni cresce l’accanimento dei genitori contro i figli che devono essere educati secondo tradizione. Pietro dirà del padre: “Il solo principio predominante in lui è un timore pusillanime. Perciò egli diventa schiavo di chi ardisce comandargli, così lo è della moglie e del fratello”. Della madre afferma che “è un carattere duro, violento e nemico del riposo. La sua smania è dominare e distinguersi”.

Il primo amore di Pietro

La duchessa Maria Vittoria Ottoboni è il primo amore serio per Pietro. Il padre Gabriele teme che Pietro venga distolto dalla carriera. Perciò, incitato dall’ignorante moglie Barbara, tenta in tutti i modi di convincerlo a interrompere la relazione, ma senza successo. Gabriele si appella allora al governatore Gianluca Pallavicini, per il quale prepara un memoriale, nell’intento di far rinchiudere Pietro al Castello. La duchessa Maria Vittoria si infastidisce per l’intrusione: occorre tener conto che è la nipote di Papa Benedetto XIV, nonché moglie del duca Serbelloni. Uno scandalo danneggerebbe tutti. Gabriele Verri desiste e tiene il memoriale nel cassetto. Pietro e Maria Vittoria vincono la partita e continuano la relazione.

La Milano dei “lumi”

Dagli inizi degli anni sessanta Pietro e Alessandro Verri, Cesare Beccaria e i loro amici sentono che l’ambiente nel quale sono cresciuti è “soffocante, irrespirabile, artificioso”. Importanti innovazioni vengono via via introdotte come l’entrata in vigore del nuovo catasto. Si discute su come modificare il sistema giudiziario, il sistema scolastico, si pensa di smantellare le corporazioni di arti e mestieri, di cambiare le regole del commercio. Inizia il dibattito sulla questione femminile. Il problema sta nel fatto che le donne non ricevono adeguata istruzione. Non bisogna dimenticare che la “Signora dei Lombardi” è Maria Teresa d’Austria, donna che possiede grandi doti e virtù. La società va resa più libera e laica.

La sfida infinita tra Pietro e Gabriele

Nel 1772 la lotta incessante tra Pietro Verri e il padre Gabriele sembra volgere a favore del primo, il quale scrive orgoglioso al fratello Alessandro: “ Egli è dimenticato dalla Corte, dal Ministero, il mio rango è uguale al suo, anch’io nel diploma sono ‘magnifico’, quanto è ‘magnifico’ lui, Egli ha 13 mila lire, io 14 mila di stipendio; io sono invitato a Corte, egli non lo è”.
Walter Visconti


Cesare Beccaria (cronologia)

15 marzo 1738 – Nasce Cesare Beccaria nel palazzo di via Brera 6, da Giulio Saverio, burbero ma buono, e da Maria Visconti, donna mite e servizievole.
1740 – Entra in casa Beccaria l’eredità di un prozio, Cesare Bonesana, che porta diversi beni immobili ma anche molti debiti, e un vitalizio di 12000 lire annue per la vedova Caterina che si dimostrerà più longeva del previsto.
1746 – Cesare, a 8 anni, entra nel collegio dei Nobili di Parma, una delle istituzioni più rinomate per la formazione dei giovani maschi.
1754 – Il “Piccolo Newton”, a 16 anni, si diploma a Parma. Entra nell’università di Pavia per studiare giurisprudenza.
12 settembre 1758 – Cesare Beccaria si laurea all’università di Pavia.
1758 – Tornato a Milano prende parte all’Accademia dei “trasformati”, un’istituzione sostenuta da Giuseppe Maria Imbonati, uno dei più ricchi patrizi di Milano. Qui conosce Pietro Verri e Giuseppe Parini, un insegnante brianzolo, borghese.
1760-1761 – Sono anni importanti per le idee e per i sentimenti di Cesare, che “Abbraccia con foga quelle ‘nuove idee’ considerate dagli anziani un verme corruttore della gioventù, mentre a lui trasmettono l’effetto vivificante di un soffio d’aria nuova”.
1760 – Nell’estate Cesare Beccaria e Teresa De Blasco si incontrano a Milano in casa del maestro di cappella Monzino, dove sono entrambi invitati a un’accademia musicale.
1760 – In autunno la famiglia Beccaria è a Gessate dove possiede fondi, poderi e villa, e i De Blasco sono ospiti di amici a Gorgonzola. Cesare e Teresa si rivedono dunque in campagna. Sboccia un tenero amore tra i due (si vedono di nascosto nelle “strade rimote” tra Gessate e Gorgonzola, si scambiano biglietti, si promettono eterno amore). Il coriaceo marchese Giovanni Saverio Beccaria, padre di Cesare, non ne vuole sapere.
1760  – A fine novembre Giovanni Saverio chiede al duca Francesco III d’Este, governatore del ducato di Milano, di intervenire (i figli che non rispettano le ingiunzioni dei padri possono essere privati della libertà). Cesare viene praticamente consegnato in casa.
14 gennaio 1761 ­– Pietro Verri torna a Milano reduce dalla guerra dei sette anni e va a trovare Cesare agli arresti domiciliari.
4 febbraio 1761 – Cesare scrive al padre di voler fermamente sposare Teresa. É pronto a sopportare ogni conseguenza.
20 febbraio 1761– Cesare viene liberato. Giovanni Saverio è adiratissimo. I De Blasco sono soddisfatti. Il contratto di matrimonio viene firmato.
22 febbraio 1761 – Viene celebrato il matrimonio tra Cesare e Teresa. Vanno a vivere in affitto in un appartamento di contrada Rovello a Milano. “Da primogenito di buona famiglia con pochi doveri e molti diritti, diventa uno spiantato ai margini della società”.
1761Pietro e Alessandro Verri fondano l'Accademia dei Pugni.
1761 – Estate. La giovane coppia è oppressa dai debiti, vive in povertà. L’unico a frequentarla con regolarità è Pietro Verri. Occorre trovare una soluzione.
1762 – Marzo. Cesare Beccaria scrive a Karl Joseph Firmian, influente politico e referente di Vienna, per presentargli l’opera “Del disordine e de’ rimedi delle monete nello stato di Milano nel 1762” (c’è una crisi monetaria in atto da fronteggiare non con la repressione, secondo il Beccaria, ma con una riforma). L’iniziativa viene osteggiata dai nobili. Da  Firmian nessuna risposta. Nel frattempo un figlio sta per nascere dalla coppia. Due mesi dopo sarà Pietro Verri a trovare la soluzione, ispirato dalle battute delle commedie goldoniane.
12 maggio 1762 Cesare Beccaria e Teresa de Blasco si presentano all’improvviso davanti alla famiglia Beccaria riunita per il pranzo (a quell’epoca si pranzava verso le 4 del pomeriggio) inscenano una ”recita” con la quale implorano perdono e chiedono di essere riammessi in famiglia. Il tentativo ha successo. Avviene la clamorosa riabilitazione. Cesare con la moglie Teresa che attende la piccola Giulia, si stabiliscono nella casa paterna dove vivono in buona pace coi parenti.
1762 estate – Cesare legge a Pietro Verri “Il contratto sociale”, fresca opera di Jean Jaques Rosseau.
21 luglio 1762 – Nasce Giulia in un momento di serenità per la famiglia Beccaria, nel palazzo di via Brera 6, lo stesso dove era nato Cesare nel 1738.
1763 giugno – Teresa frequenta sempre più assiduamente la corte. Cesare è in crisi di indolenza. Il suo amore per Teresa si è affievolito. Tuttavia sente il risveglio di nuove idee in lui che lo appagano. Sta già scrivendo “Dei delitti e delle pene”.
1763 – Teresa è frivola e leggera. Spazia in società accompagnata assiduamente da Bartolomeo Calderara.
14 luglio 1764 – Arrivano a Milano le prime copie de “Dei delitti e delle pene”. L’opera era iniziata nel marzo del 1763 e si conclude nel gennaio del 1764. È ricopiata in bella copia da Pietro Verri, viene inviata in Toscana per essere stampata a Livorno. La prima edizione è anonima. La seconda è firmata e dedicata da Cesare all’amico filosofo Pietro Verri. Si compone di 47 capitoli. Circola in Toscana e Lombardia. “Questo è il primo libro che sia stato scritto in Italia a favore dell’umanità” - scrive Paolo Frisi a Gianrinaldo Carli il 1 gennaio 1765. 
1764 inverno – Teresa de Blasco è corteggiata dal duca di York, figlio del re d’Inghilterra. Per un breve momento Pietro Verri stesso si invaghisce di lei, ma subito svanisce l’infatuazione, resta il rancore tra i due. Pietro inizia a detestarla.
1764 – Esce la rivista “Il caffè”, la voce dell’Accademia dei Pugni. È il momento più fertile della battaglia per accendere  “i lumi” in Lombardia.
1766 – Nasce la secondogenita di Cesare, Maria, detta Marietta; è fragile di salute, forse con dei difetti congeniti. Viene praticamente “dimenticata” in casa - spiega la Boneschi,
1 ottobre 1766 – È il giorno della partenza alla volta di Parigi. Cesare Beccaria vi è stato chiamato a gran voce dai filosofi e pensatori francesi per discutere sui contenuti del suo libro. Pur riluttante e impaurito, spinto a forza dall’amico Verri, non può esimersi dall’intraprendere il viaggio. Pietro non lo segue perché è impegnato nella riforma della legge della Ferma, ma lo fa accompagnare dal fratello Alessandro, istruito a prestargli assistenza e conforto. Inizia una travagliata avventura bruscamente interrotta dopo circa di circa due mesi e mezzo, che purtroppo non sortirà gli effetti sperati.
16 dicembre 1766 – È il giorno del mesto rientro a Milano di Cesare Beccaria dalla trasferta parigina. Cesare, in preda ad angosce, pentimenti e paure, preoccupato e ingelosito per il comportamento lascivo di Teresa, decide alfine di sospendere la “missione”.  
20 agosto 1767 – Nasce Giovanni Annibale Beccaria, che sopravvive solo pochi giorni. Secondo un calcolo di Pietro Verri, a cui nulla sfugge, il figlio non può che essere stato concepito da Teresa col Calderara durante il soggiorno parigino di Cesare. “La frivola Teresa ha punito Cesare per il suo distacco francese con una pena ‘non proporzionata’ osserverà ironico l’abate Ferdinando Galiani”.
1767 autunno – Cesare Beccaria declina definitivamente l’invito della zarina di Russia Caterina di recarsi a Mosca. Non vuole allontanarsi da Milano perché sa che si sta istituendo la cattedra di economia alle scuole Palatine (in concorrenza con l’università di Pavia).
1 novembre 1676 – Viene proposta a Cesare Beccaria la nomina di professore di “scienze camerali” alle scuole Palatine. Si insedia con un discorso molto apprezzato dal folto pubblico (compreso Firmian).
1769-1772 – Teresa de Blasco intensifica la sua presenza a corte. Offre i suoi favori con leggerezza, trascura sempre più le figlie. La tensione tra lei e Pietro Verri (che vigila su Giulia) aumenta. Pietro prova per lei sdegno profondo.  
1772-1774 – Per la marchesina Teresa inizia un triste declino. È affetta da sifilide, malattia che la condurrà alla morte
14 marzo 1744 – Muore Teresa de Blasco. Negli ultimi giorni l’amato Calderara è al suo capezzale. Cesare è attonito, quasi incredulo. Nella sua mente scorrono i ricordi degli anni di passione. Tuttavia, “Teresa non ha mai avuto un pensiero per le figlie”. Cesare, in preda alla disperazione e allo sconforto, forse al rimorso, vuole consolare le figlie, soprattutto Giulia, alle quali promette che lascerà tutto ciò che era della madre.
22 marzo 1744 – Il Beccaria è presente assieme a Pietro Verri alla seduta del “Magistrato camerale”, un’istituzione della quale entrambi fanno parte. Si mostra “non solo tranquillo, ma brillante”. Cesare è già proiettato verso un nuovo matrimonio.   
25 aprile 1744 –
Cesare firma il nuovo contratto di matrimonio con Anna Barbò, 22 anni, figlia unica, che porta ricca dote. C’è una clausola importante: il padre Giovanni Saverio Beccaria abbandonerà l’amministrazione del patrimonio di famiglia lasciandola a Cesare. In pratica se ne occuperà la nuova marchesina Anna, alla quale non le mancano capacità e senso pratico. 

4 giugno 1774 – Anna e Cesare si sposano quaranta giorni dopo la morte di Teresa. È una svolta nella vita di Cesare. Anna è civettuola, gli conferisce sicurezza. Le finanze di casa Beccaria migliorano, i debiti vengono risanati, si passa all’utile. Cesare abbandona gli studi. Si dedica agli affari personali (e all’agiatezza).
1774 o 1775 – Giulia Beccaria viene mandata nel collegio annesso al convento di San Paolo. 
11 giugno 1775 – Nasce Giulio Beccaria, primogenito maschio di Cesare e Anna.  Con la nascita dell’erede, la coppia vive in completa armonia.   
1777 –
Cesare “svende” la sua biblioteca. Ha chiuso un capitolo. Non è più malato di nervi. Il sogno del burbero padre Giovanni Saverio (che voleva per il figlio una moglie buona, brava e ricca) si è avverato quattordici anni dopo. Tutti sono contenti (tranne Giulia in collegio). Cesare Beccaria è un signore grosso e trasandato (definito da Vincenzo Monti). Pietro Verri rileva che Cesare “non è più abbracciabile”.

1777 – Viene approvata la Riforma monetaria in Lombardia, basata sui principi esposti dal Beccaria nel testo del 1762 che non aveva trovato spazio. PietroVerri riflette: “Gli scritti dei filosofi restano senza ricompensa ma non senza frutto”.
1778 – Cesare Beccaria entra far parte della Zecca e della commissione per la riforma delle monete. L’anno successivo è nominato conservatore del Tribunale di Sanità.
1779-1780 – Pietro sollecita Cesare a togliere Giulia (che ha 17 anni) dal convento. Occorre trovarle un marito. Ma Cesare non sa cosa fare. Da un lato vorrebbe che Giulia si accasasse. Da un altro lato non vuole impegnarsi nella ricerca di un marito. Lui non vorrebbe sborsare soldi. La taccagneria di Cesare è nota in tutta Milano.
14 maggio 1781 – Muore Giovanni Saverio Beccaria. Cesare rimane finalmente solo e ha mano libera su tutto (anche su come sistemare la figlia). Giulia probabilmente rientra in famiglia durante la villeggiatura a Gessate nell’autunno del 1781.
1786 – Prosegue la carriera di Cesare Beccaria nella riforma della giustizia. Entra nel Consiglio di Governo, proprio quando Pietro Verri viene mandato in pensione. In questo anno, il Granduca di toscana, Leopoldo, ispirandosi al Beccaria, abolisce la pena di morte.
19 gennaio 1788 – Muore Marietta Beccaria, la sorella minore di Giulia, rimasta sempre nascosta perché malaticcia, forse handicappata.
1789 – Cesare è nominato alla Giustizia. A Milano si compie il primo passo verso le riforme. Vengono istituiti tre gradi di giudizio.
1791 – Cesare entra nella Giunta per la revisione del sistema giudiziario civile e criminale e nella Commissione per la riforma del diritto penale.
1792-1793 – Cesare si dedica a studiare l’industria della seta lombarda e il sistema scolastico.
28 novembre 1794 – Cesare Beccaria, a 56 anni, dopo una lauta cena, si sente male e muore per un colpo apoplettico. Cesare Cantù, storico, letterato e patriota afferma: “Appena l’Europa si accorse che era un grand’uomo egli si tacque”.

Ma se vogliamo scegliere un tratto emblematico a ricordo del Beccaria, conviene rifarsi alla frase finale della prefazione del “suo libro” in cui il gran Cesare dice: “Me fortunato se potrò ottenere… i segreti ringraziamenti degli oscuri e pacifici padri della ragione, e se potrò inspirare quel dolce fremito con cui le anime sensibili rispondono a chi sostiene gl’interessi dell’umanità”.

Come nasce il libro “Dei delitti e delle pene”

  1. Da una lettera del Beccaria a Gianbattista Biffi (è un Beccaria affranto e appassionato, non più innamorato di Teresa, bisognoso di aiuto, tuttavia sognatore e prolifico di idee – ha iniziato la stesura della sua opera dallo scorso marzo)

[Gessate, estate 1763]
Carissimo Scipione,
Le nuvole si sono dissipate, e la tranquillità e la calma sono succedute alle tempeste. La mia malinconia non procedeva che da queste due cagioni, le seccature che mi circondano, e il trovare il mio cuore vuoto da ogni passione. Il mio animo ha bisogno di un moto continuo che lo tenga in vigore, altrimenti la noia ed il dolore di vedermi avvilito e confuso nella folla degli spiriti comuni mi opprimono. Ma qual mezzo di sortire da questa letargia che mi tormenta se io non sono né ambizioso, né innamorato? … Così parmi di non esser più atto a concepir amore per alcuna persona. Quello che portavo alla mia stimabile compagna si è cambiato in una stima sincera, in una vera amicizia, ed in una tenerezza inesprimibile. Ma voi sapete, amico, che le passioni soddisfatte fanno perdere al loro oggetto quel bello d’imaginazione, e quella dolcissima illusione, che fa distingue l’amore dai bisogni naturali.  T. P. Attico.

  1. Da una lettera di Beccaria a ignoto (Si può intuire che Beccaria scrivesse parti del libro a Gessate e le spedisse man mano per posta al Verri per le correzioni).

[Gessate], 19 luglio [1763]
Cariss. Amico,

…Io non verrò a Milano più tardi di quindici giorni, e spero di aver di molto avanzato il mio libro sulle pene; credo che Verri vi farà vedere quanto gli scrivo.  Amico C. B. B.

III
Da una lettera di Beccaria a Pietro Verri (La prima edizione del libro è già uscita nel luglio 1764. Beccaria collabora assiduamente col Verri, non può fare a meno delle revisioni accurate dell’amico, anzi auspica aggiunte e ritocchi)

Gessate, 13 dicembre 1764
… Eccoti le aggiunte e le correzioni che ho fatte finora, e che arrivano fino alla pagina 68; ve ne sono delle buone e delle mediocri, ma tutto insieme può passare… Ti prego di rivedere esattamente l’ortografia, e di leggere correzioni e confrontandole sempre col luogo indicato sul libro, e di osservare se tutto è spiegato chiaramente, perché lo stampatore non faccia dei disordini… Circa le correzioni del libro, ed al libro medesimo, togli, aggiungi, correggi liberamente, ché mi farai un gran servizio e piacere… Addio, conservami la tua preziosa amicizia.

IV
Lettera di Pietro Verri agli amici milanesi (nella quale il Verri svela come nacque l’idea del libro)

Milano, 1 novembre 1765
Prima di chiudere vi soddisferò sul proposito del libro”Dei delitti e delle pene”. Il libro è del marchese Beccaria. L’argomento gliel’ho dato io, e la maggior parte dei pensieri è il risultato delle conversazioni che giornalmente si tenevano tra fra Beccaria, Alessandro, Lambertenghi e me. Nella nostra società la sera la passiamo nella stanza medesima, ciascuno travagliando. Alessandro ha per le mani la “Storia d’Italia”, io i miei lavori economici-politici, altri legge, Beccaria si annoiava e annoiava gli altri. Per disperazione mi chiese un tema, io gli suggerii questo, conoscendo che per un uomo eloquente e d’imagini vivacissime era adatto appunto. Ma egli nulla sapeva dei nostri metodi criminali. Alessandro, che fu ‘protettore dei carcerati’, gli promise assistenza. Cominciò Beccaria a scrivere su dei pezzi di carta staccati delle idee, lo secondammo con entusiasmo, lo fomentammo tanto che scrisse una gran folla d’idee, il dopo pranzo si andava a passeggio, si parlava degli errori della giurisprudenza criminale, s’entrava in dispute, in questioni, e la sera egli scriveva; ma è tanto laborioso per lui scrivere, e gli costa tale sforzo che dopo un’ora cade e non può reggere. Ammassato che ebbe il materiale, io lo scrissi e si diede un ordine, e si formò un libro. Il punto stava, in una materia tanto irritabile, il pubblicare quest’opera senza guai. La trasmisi a Livorno al signor Aubert che aveva stampate le mie “Meditazioni sulla felicità”. Il manoscritto lo spedii in aprile anno scorso e da me se ne ricevette il primo esemplare in luglio 1764. In agosto era già spacciata la prima edizione senza che in Milano se ne avesse notizia, e questo era quello ch’io cercavo. Tre mesi dopo solamente il libro fu conosciuto in Milano, e dopo li applausi della Toscana e d’Italia nessuno osa dirne male. Eccovi soddisfatto. Vi abbraccio e sono.

“Dei delitti e delle pene”

Il libro è conciso, chiaro: un’opera che va in fretta. Subito vi si rimarca il fatto che la odierna giustizia è basata su avanzi di leggi di popoli antichi: tavole di Giustiniano, risalenti al sesto secolo, infarcite di riti longobardi, in più con l’aggiunta di oscure e private interpretazioni: ecco come è formata quella che il Beccaria chiama “tradizione di opinioni” che assume tuttavia il nome di ”leggi”. 

Tutto è da rivoltare, da ripensare. Il concetto varato con precisione è: occorre distinguere tra “peccato” spirituale e “delitto” reale. Il delitto è un danno portato alla società, che deve essere risarcito. Dunque la pena va concepita come risarcimento equo, e non decretata su base emotiva.
Cesare Beccaria è lucido e sensibile: “la pena deve essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima possibile nelle date circostanze, proporzionata ai delitti, dettata dalle leggi”.
Beccaria attacca anche le leggi della famiglia sulla primogenitura (maschile) e sulla potestà del capofamiglia.
“Dei delitti e delle pene” è un’opera rivoluzionaria. Molti la leggono. Pochi, pochissimi non la conoscono. La Milano dei “benpensanti” è subito ostile all’opera e la nobiltà evita il Beccaria, lo tratta con distacco, tenta di isolarlo. D’altra parte il successo all’estero è strepitoso. Le traduzioni, specie quella francese, procurano apprezzamenti, discussioni e… inviti. L’eco in Europa è enorme. Cesare Beccaria rimane come abbacinato dalle conseguenze della sua opera. Ne è fiero ma anche impaurito. Sicuramente la sua indole, sostanzialmente debole, subisce un trauma irreversibile. Il suo carattere, già fragile, cambia, si affievolisce, cessa di emettere fulgore.

Il viaggio a Parigi

Sulla scia del successo de “Dei delitti e delle pene” i philosophes invitano Beccaria a Parigi. Pietro Verri è galvanizzato dall’idea di poter internazionalizzare l’illuminismo milanese. Cesare è timoroso, non vuole sconvolgere la sua esistenza. Pietro non lo può accompagnare perché è preso da impegni per la rettifica della legge della Ferma. Così sarà il più giovane Alessandro a seguire Cesare in trasferta. La riluttanza di Cesare si tramuta da subito (già a Novara) in un delirio misto a piagnisteo. Inizia a scrivere ripetutamente a Pietro per prepararlo al suo ritorno adducendo ragioni di salute fisica e di sentimento. Pietro, duro e fiero, lo incita a continuare il viaggio. Alle insistenze di rinuncia di Cesare finisce per stizzirsi. Ed è qui che si intacca il cordone dell’amicizia che unisce i due. Cesare è angosciato: sopravvive al solo pensiero di tornare. Per quanto riguarda Teresa, le scrive che per lei ha in serbo uno splendido dono francese… un vestito. Teresa gli risponde che anche lei è afflitta, ma più altro per il mal di denti del Calderara, così rimane sola coi suoi lugubri pensieri… In una successiva lettera Teresa gli annuncia che si recherà in campagna col Calderara, per distrarsi un poco, poiché i parenti sono in procinto di partire per la villeggiatura autunnale a Gessate. Poi raccomanda a Cesare di… farsi valere, e se possibile di… cercare qualche impiego. Cesare le risponde da Lione di baciare le sue carissime figliole, soprattutto Giulietta, che è in età di conoscerlo (ciò dimostra una certa tenerezza paterna nei confronti di Giulia).

A Parigi, l’atteggiamento di Cesare si contrae ancor più. Nel parlare della sua opera non evidenzia il sostegno di Pietro Verri, evita di menzionare il gruppo del “Caffè”. In un mese e mezzo di permanenza a Parigi gli omaggi all’autore Beccaria si susseguono con intensità, mentre l’obiettivo di allargare gli orizzonti filosofici ai pensatori milanesi fallisce. Ma ormai la decisione è presa. Cesare fa ritorno a Milano mentre Alessandro prosegue da solo per Londra.
Il Beccaria, anche se non prova per Teresa i sentimenti di un tempo, non tollera che abbia un cavalier servente, è eroso dalla gelosia, non sopporta il fatto di starle lontano, è tormentato dalla di lei malcelata indifferenza nei suoi confronti. Questa condizione, che lui stesso definisce “malattia incurabile”, è la causa principale dello “sviamento” del viaggio in terra francese.
Alla fine, Pietro Verri si consola: “Forse è un tratto di ottima politica il ritorno sollecito del Beccaria: non ha lasciato il tempo che si stancassero di lui”

Cesare segue la via del cuore

1762 – Quando il marchese Giovanni Saverio viene a sapere della relazione tra Cesare e Teresa va su tutte le furie poiché non la reputa conveniente: i De Blasco non sono nobili altolocati, non ricchissimi, la dote di Teresa non sarà copiosissima, e non potrà contribuire a sanare i debiti crescenti, Teresa sarà solo una dama in più da mantenere. Teresa propone a Cesare un matrimonio clandestino (il decreto “Tametsi” del Concilio di Trento prevede la validità di un’unione se viene pronunciata la formula in presenza di un prete e due testimoni). Qualcuno li dissuade. Cesare tergiversa, è dibattuto. In seguito sembra volerla lasciare. Alla fine ritorna sui suoi passi, decide di seguire la via del cuore e riprende il proposito di sposare Teresa.

Giulia contro Cesare

Giulia Beccaria, subito dopo la morte della sorellina Marietta avvenuta nel 1788, si propone di recuperare la parte di eredità della madre Teresa che le spetta, alla quale era stata costretta dal padre a rinunciare in occasione del matrimonio con Pietro Manzoni. Giulia chiede di sapere dove sono finiti i gioielli, gli abiti, gli oggetti della madre che il padre, disperato, aveva promesso di lasciare alle figlie. Cesare ora nega l’esistenza di quei beni. Giulia intenta una causa nei confronti del padre che dura cinque anni, fino al 1793, e si conclude con un compromesso che lascia tutti scontenti.
Nel 1795, dopo la morte di Cesare, il figlio diciannovenne Giulio (avuto dalla seconda moglie Anna Barbò), dichiarato emancipato, prende le redini della famiglia. Intende appianare le controversie lasciate in sospeso dal padre. Si deve quindi confrontare con Giulia che non intende rinunciare ai suoi diritti. Giulia compila un dettagliato promemoria in cui riassume fatti (promesse), pone quesiti (sulle sparizioni di beni della madre), elenca pretese (le spettanze). Giulia sa il fatto suo. Giulio è ragionevole, capisce che non v’è scopo di trascinare un litigio. Trova un’intesa con la sorellastra “corrispondente alla di lei condizione”. Giulia si sente finalmente risarcita.

La borsa stretta di Cesare

Nel 1782 Pietro Verri, su mandato di Cesare Beccaria, conduce le trattative per il contratto di matrimonio tra Giulia e Pietro Manzoni. Ma la scarsa disponibilità di Cesare per la dote di Giulia fa arenare i patteggiamenti. Pietro Manzoni non può abbassarsi a tanto. Cesare Beccaria escogita una soluzione truccata che va a danno della figlia: autorizza cioè Giulia a rinunciare alla sua parte di eredità della madre Teresa De Blasco, e non ancora fruita, a favore del padre. Solo a questa condizione Cesare apre un po’ di più la borsa aumentando la dote (che comunque poi pagherà solo in minima parte). E il contratto viene firmato.

La sera della cometa

La sera del 28 gennaio 1763, – registra puntualmente Pietro Verri, – accade che Teresa De Blasco si presenti a un ricevimento a corte nei saloni di Palazzo Ducale a Milano con in testa una splendente cuffia ornata di penne bianche, a forma di stella, proveniente da Parigi, confezionata da Madame Janneton. L’avvenimento crea scalpore. L’obiettivo di Teresa è quello di primeggiare: ha 18 anni, è sposata già da due, ha una figlia di 6 mesi, appartiene a una nobile famiglia, sfonda in società.
Walter Visconti

ARTICOLI 2008 - 1° SEM - Giulia Beccaria-Alessandro Manzoni

 

Verso la Nuova Manifestazione Storica
Personaggi illustri a Gessate

Numero 1-2   2008

Giulia Beccaria (cronologia)

21 luglio 1762 – Nasce Giulia Beccaria, figlia di Cesare e di Teresa De Blasco, nel palazzo di via Brera 6. L’infanzia e la giovinezza risentiranno del periodo dei “lumi”. La madre Teresa non è granché interessata alla bimba.
1766 novembre – Pietro Verri conduce con sé il fratello Giovanni a Gessate, dove sono ospiti dei Beccaria. In quei giorni il diciannovenne Verri ha occasione di vedere per la prima volta la piccola Giulia dai capelli rossi e gli occhi grigio verde. 1768 – Giulia osserva con curiosità ciò che avviene intorno a lei. La zia Maddalena è sposata con il cavaliere Giulio Cesare Isimbardi, tuttavia mantiene una relazione con l’amico di papà Pietro Verri. Giulia recepisce che Pietro è amico del padre, stimato dal nonno, intimo della zia, e nell’inconscio conclude: “Ogni dama di rango è sposata con un marito e si accompagna a un cavalier servente”.
18 febbraio 1770 – Mozart suona alla presenza della nobiltà milanese tra cui i Beccaria e i Verri. È possibile che la piccola Giulia abbia assistito alla vestizione della madre in occasione dell’evento e ne sia rimasta estasiata.
14 marzo 1774 – Muore la mamma di Giulia, Tersa De Blasco, a soli 29 anni, di sifilide.
1774 giugno – Giulia viene mandata nel collegio milanese annesso al convento di San Paolo.
1780 luglio –  Le monache informano Cesare che l’educazione di Giulia è completata. Giulia torna in famiglia probabilmente in occasione della villeggiatura autunnale a Gessate.
1781-1782 – Giulia partecipa ai ritrovi in casa Verri organizzati da Giovanni, con Giuseppe Gorani e altri rampolli (le ragazze Incisa, i fratelli Arese, le sorelle Imbonati). Giovanni Verri ne rimane estasiato. È un fine conversatore. Lei ha 19 anni, lui 36. Lei si innamora dello sfaccendato cadetto.
1782 febbraio – Nubi si addensano sul capo dell’ignara Giulia. Cesare Beccaria e Pietro Verri avviano una trattativa con Pietro Manzoni per la “sistemazione” di Giulia, per motivi diversi: “Cesare per non avere preoccupazioni, Pietro per difendere l’integrità del patrimonio”. Le nozze appaiono urgenti per evitare il pericolo che Giulia procrei un figlio da nubile, disonorando sia i Beccaria sia i Verri.
20 ottobre 1782 – Si celebrano le “nozze disuguali” tra Giulia e Pietro Manzoni nella cappella privata del palazzo Beccaria. Nessun parente della sposa è presente. La cerimonia è avvilente. Ma c’è un lato positivo, – fa notare la Boneschi: “Giulia passa dalla condizione di figlia imbarazzante a quella di signora e padrona di casa. Ora può ripercorrere la strada delle grandi dame milanesi”.
1783-1784 – La convivenza tra Giulia e Pietro Manzoni va subito in crisi. Lei ha l’animo aperto, ambizioso, esuberante. Lui è timido, pauroso, succube. Non c’è nulla che li leghi. Giulia mantiene la relazione con Giovanni Verri. Lui l’ha sempre nel cuore, però è un libertino, è fragile. Ha un legame con un’altra donna.
1784 settembre – Giulia è in stato di gravidanza. Le illazioni si sprecano.
7 marzo 1785 – Nasce Alessandro Manzoni nella casa di San Damiano. Viene “spedito a balia” in una località presso Lecco, non distante dalle proprietà dei Manzoni.
1791 marzo – Giulia è decisa a chiedere la separazione da Pietro Manzoni. La sua è una battaglia per la dignità e l’indipendenza, non certo per la convenienza.
1791 – Giulia è sola, abbandonata da Giovanni Verri, ma per la sua simpatia e vitalità è sempre al centro di conoscenze che la riabilitano. Matura un sentimento tra Giulia Beccaria e Carlo Imbonati, uomo aperto e generoso.
23 febbraio 1792 – I coniugi Manzoni giungono ad un accordo per la separazione. Giulia pretende solo chiarezza e puntualità nei pagamenti.
1793 gennaio – Giulia e Carlo Imbonati condividono idee politiche, filosofie, sentimenti, ideali.
1796 autunno – “Giulia e Carlo si allontanano da Milano per un primo viaggio a Parigi. Al ritorno, Giulia vive con Carlo nel palazzo Imbonati, in contrada del Marino. Nel successivo decennio, Giulia sarà poco presente a Milano.
9 luglio 1797 – Il ciclone napoleonico investe Milano. Si celebra la festa per la Costituzione della Repubblica Cisalpina nell’area dell’ex Lazzaretto. Giulia è lì perché “sente” la storia. Piange per la commozione. Nel suo cuore si accavallano pensieri di fierezza (ora ha un amore, una casa, una patria).
1800 – Giulia e Carlo vivono in Francia dove si sentono liberi. Qui conoscono una coppia altrettanto affiatata: Sophie de Condorcet e Claude Fauriel.
1805 inizi – Carlo Imbonati è malato: sente avvicinarsi la fine. Con somma intuizione, suggerisce a Giulia di invitare a Parigi il figlio Alessandro. Vuole conoscerlo e ricongiungerlo alla madre.
15 marzo 1805 – Muore Carlo Imbonati. A Milano viene aperto il testamento che fa la fortuna di Giulia, essendo nominata unica erede di un immenso patrimonio.
1805 luglio – Alessandro Manzoni parte per Parigi. Riabbraccia la madre e subito tra i due nasce un’intesa bellissima.
1806-1808 – Tra madre e figlio si sviluppa un tranquillo menage, che è come un idillio, una seconda vita per entrambi.
1807 settembre – Giulia nota certe manifestazioni di disagio del figlio Alessandro. Intreccia i fili di un progetto matrimoniale per lui. Si tratta della sedicenne Henriette Blondel, di famiglia ricca, calvinista. I due giovani si incontrano, si piacciono e in breve si sposano.
1808 maggio – La famiglia Manzoni vive a Brusuglio. Alessandro, con Enrichetta e la madre Giulia, si sente felice, non può desiderare altro. “Ha ottenuto una moglie senza perdere la madre” – osserva la Boneschi.
1808 giugno – Il richiamo di Parigi è forte. La famiglia Manzoni riparte. Trascorre gran parte dell’estate alla Maisonette con Sophie de Condorcet e Claude Fauriel. Alessandro vive di letteratura. Giulia vive di conversazioni. Madre e figlio finora snobbano la religione. 1810 – Enrichetta e Alessandro si risposano con rito cattolico. Enrichetta si converte al cattolicesimo. Sulla scia, anche Alessandro e la madre abbracciano un futuro di devozione.
1813 fine – I Manzoni acquistano un palazzetto in Contrada Morone a Milano. “Giulia vuole dedicare tutta sé stessa al successo del genio di Alessandro”.
14 settembre 1819 – Giulia coordina un nuovo viaggio a Parigi, voluto da Alessandro per “allargare gli orizzonti”. Si muove una carovana di undici persone.
1820 febbraio – La vita a Parigi si rivela più costosa del previsto. 1820 luglio – La carovana Manzoni riparte per Brusuglio.
1821 – Alessandro è in piena fase creativa. Il fertile periodo parigino dà i suoi frutti. Inizia la stesura del romanzo storico che diverrà poi “I Promessi sposi”.
15 giugno 1827 – “I promessi sposi - Storia milanese del XVII secolo” viene dato alle stampe. Il pubblico l’accoglie con entusiasmo. Manzoni ora pensa a una revisione linguistica, e perciò vuole recarsi in Toscana dove si parla l’italiano più pulito della penisola. Giulia predispone l’ennesima carovana per spostare la famiglia. I patrimoni Imbonati, Blondel e Manzoni sono quasi prosciugati.
1827 agosto – A Firenze, Alessandro vive intensamente incontri e iniziative con numerosi letterati. Giulia Beccaria soffre di angosce. Ha nostalgia di Milano.
1828 maggio – Inizia una fase discendente. I Manzoni sono a Brusuglio. Unica compagna: la tristezza.
1829 ottobre – Giulia è depressa. “Mentre Enrichetta vede la luce divina oltre l’esistenza, lei è diffidente in proposito”.
1831 maggio – Il cadetto Massimo D’Azeglio pianifica cinicamente di diventare cognato di Alessandro Manzoni sposando la primogenita Giulietta. Giulia si schiera a favore di Massimo per convincere la nipote a sposarlo. Si forma così una coppia “sbagliata”, tra una donna spontanea e un opportunista.
25 dicembre 1833 – Nel giorno di Natale, l’angelica Enrichetta se ne va al cielo, e lascia una voragine. La Boneschi tratteggia: “È una di quelle donne indispensabili che non si fanno notare”. Alessandro, Giulia e i figli sono nella disperazione. I Beccaria se ne prendono cura ospitandoli prima in via Brera e poi a Gessate.
20 settembre 1834 – Muore Giulietta Manzoni, maritata a Massimo D’Azeglio. Poco dopo, Giulia viene a sapere che Massimo la tradiva da tempo con Luisa Maumary. Ora capisce i patimenti di Giulietta. È furibonda. È stata giocata dal bellimbusto.
1836 – Giulia Beccaria è preoccupata per il futuro del figlio e dei nipoti che non vede come potranno rimanere soli senza di lei. Alessandro ha bisogno di sostegno, di compagnia. Giulia decide di procurargli una compagna. Ne parla con amici. Viene individuata Teresa Borri Stampa, 37 anni, vedova dopo un anno del Conte Stefano Devio Stampa. È piacente, dai bei modi, discretamente ricca, è quello che ci vuole. I futuri sposi si conoscono e si piacciono. Non ci sono ostacoli.
1837 – Appare chiaro che Teresa vuole ricoprire il ruolo di moglie (e non di figlia aggiunta come la docile Enrichetta). Giulia è spiazzata. Non è più padrona sia nella casa del Morone, sia nella Villa di Brusuglio. Prima aveva un colloquio con la nuora, ora non più. Giulia si arrocca in uno sdegnato silenzio.
1839 – L’amore tra Cristina Manzoni e Cristoforo Baroggi, contrastato dal padre di lui, trova sbocco grazie alla vitalità di Giulia, che ancora si fa sentire.
27 maggio 1841 – Cristina Manzoni, si spegne penosamente: era bella, giovane, felicemente maritata. Giulia è distrutta. Va in cerca di conforto, ma non trova confidenti.
26 giugno 1841 – Da questo giorno Giulia è a letto per inappetenza, tosse, debolezza.
29 giugno 1841 – Giulia recita ad Alessandro uno degli Inni sacri.
30 giugno 1841 mattina – Giulia fa chiamare la servitù. Vuole salutare tutti, a uno a uno. Morirà il 7 luglio.
Il filo conduttore di questa cronologia è tratto dal volume di Marta Boneschi dal titolo “Quel che il cuore sapeva” edito da Mondadori.

Giulia Beccaria: Una donna Emancipata

Giulia Beccaria rappresenta un esempio di donna forte e virtuosa, che ha saputo destreggiarsi nell’angustia del suo tempo. Ci sono figure che prevaricano il contesto storico nel quale si sviluppano. Giulia Beccaria è una di queste. Ella ha dominato la leziosità dei suoi tempi. Il destino, in parte l’ha subito, in parte l’ha creato, forte della consapevolezza, fiduciosa nelle capacità.
Giulia è apprezzabile in quanto ci offre testimonianze che vanno oltre i dettami di una fede “manipolata”, che non arriva a scuotere i cuori se non minacciandoli. Lei invece, la fede la accetta e la costruisce. Giulia ci mostra la vera fede nella vita, che supera le soglie, gli interessi, gli ostacoli. Per questo ci attira.
Ci piacciono le sue emozioni per i grandi avvenimenti (le lacrime di commozione alla proclamazione della Repubblica Cisalpina nel 1796 e la grande festa a Brusuglio per celebrare il suo ripristino nel 1800), le sue scelte coraggiose (la decisione di chiedere la separazione da Pietro Manzoni e la vita al fianco di Carlo Imbonati), la sua determinazione (la dedizione per il figlio, la conversione al cattolicesimo), infine i suoi dolori e le angosce per i tardivi errori (se così si possono chiamare), come l’incapacità di valutare la seconda nuora o la sciagura incombente sulla nipote Giulietta, incautamente spinta verso Massimo D’Azeglio. Tutti possono sbagliare. Perciò Giulia Beccaria è tanto umana, presente, partecipe.

 

Giulia madre di Alessandro

Quanto può aver influito Giulia Beccaria nell’affermazione letteraria di Alessandro Manzoni? Tentiamo di stabilirlo. La madre capisce i ritmi di Alessandro,asseconda il figlio in tutto, con mosse ispirate a una sorte meritata. Viste le paure e le fobie del famoso quanto rinunciatario padre, Giulia non vuole che al figlio capiti qualcosa di analogo. Innanzitutto pensa di sistemargli le pendenze del cuore, se non quelle dell’anima. Sceglie per lui una giusta moglie e lo esenta dalle responsabilità della famiglia, forse eccedendo, arrivando a suscitare alcune indifferenze in lui che poi stoneranno. Gli copre le spalle lasciandolo solo a spaziare indisturbato con la sua letteratura, fiduciosa che riconoscimenti e affermazioni verranno. E non sbaglia. Distinguiamo in lei tre età, che corrispondono ai suoi grandi amori: l’età della spensieratezza e del trasporto giovanile per Giovanni Verri, l’età della rivalsa e del fulgore coincidente con l’amore per Carlo Imbonati, infine l’età del sacrificio e della dedizione per la gloria del figlio. Notiamo che il primo amore le ha dato un frutto nascosto, il secondo le ha elargito ragione e sicurezza. Da ultimo, la provvidenza, che ancora non conosceva, le ha donato un terzo amore, inaspettato (e perciò tanto più gradito), che l’ha sollevata dai rimorsi: quello per il figlio Alessandro.
Alessandro, dal canto suo, è attore nella prima scena, è allontanato nella seconda, rientra dirompente nella terza. Si riappropria della madre, la  trascina con sé lungo la via della conversione (indicata peraltro a lui da Enrichetta). Lui è estasiato di lei, lei si prodiga per lui. Lei lo copre di lodi, lo fornisce di mezzi, lo asseconda nelle inclinazioni, lo esaudisce nei desideri. Giulia è dunque la puntigliosa “artefice” del Manzoni che noi percepiamo, che è poi quello più superficiale, ma anche quello essenziale. In fondo, con la sua intromissione Giulia Beccaria determina la “possibilità” del Manzoni poeta e scrittore.

 

Le tre età diGiulia

Distinguiamo tre età in Giulia Beccaria, che in fondo corrispondono ai suoi tre suoi grandi amori: quella della spensieratezza e della seduzione giovanile per Giovanni Verri, quella della rivincita e del fulgore coincidente all’amore per Carlo Imbonati, e infine quella del sacrificio e della dedizione per la gloria del figlio Alessandro.

Aneddoti e note su Giulia Beccaria

GIULIA IN RELAX A GESSATE
1782 primi di ottobre – Giulia, promessa sposa, trascorre qualche giorno di relax a Gessate nella Villa Beccaria. Bastano pochi giorni a Giulia per farsi voler bene, tanto che lo zio Giulio scrive a Cesare: “Per altro è stato di sommo rincrescimento tanto a me quanto a mia moglie la partenza di donna Giulia, poiché l’amavamo come fosse nostra figlia ed ella ha delle prerogative di farsi voler bene, e certamente il signor don Pietro è ben fortunato d’aver una sì amabile compagna”.

GIULIA SENSIBILE E SAPIENTE
Giuseppe Gorani la ricorda così: “… aveva uno spirito adornato da una grande varietà di conoscenze, contribuiva molto, per la sua conversazione illuminata e per le grazie delle quali era provvista, ai piaceri che ci procuravano i suoi discorsi amabili e istruttivi”.

GIULIA: CORTESIA E GENTILEZZA
Sono significative le parole che Sebastian Falquet-Planta usa per darne conto ai genitori: “…questa affascinante Giulia, figlia del celebre Beccaria, molto bella, molto istruita, molto amabile, molto buona…  Non credetemi innamorato…”.

NOTA DI GIULIA SULL’AMICA SOPHIE (ALLA QUALE SENTE DI SOGGIACERE):
“Se è crudele di non essere affatto amata quando si ama è altrettanto tormentoso di esserlo malgrado sé stessi, ecco precisamente il mio caso di fronte a questa donna affascinante e unica per la quale ho e avrò sempre la più viva tenerezza, visto che per l’amicizia ahimè! Occorre la reciprocità!”

Walter visconti 

 

Verso la Nuova Manifestazione Storica
Numero 3-2008

Prosegue la marcia di avvicinamento alla Nuova Manifestazione Storica con l’analisi dei personaggi illustri collegati alla vicenda del Beccaria. In questo numero l’approfondimento è dedicato ad Alessandro Manzoni, il grande poeta italiano figlio di Giulia Beccaria.

 

Alessandro Manzoni (cronologia)

Credo che, parlando del Manzoni, convenga soffermarci un po’ più a lungo, anche perché non so quando un’occasione simile riapparirà sulle pagine del Dialogo.

La presente cronologia è ispirata al bellissimo volume “Immagini manzoniane” scritto e illustrato dal bibliofilo Marino Parenti, stampato nel 1942 in 150 copie numerate, di cui una è custodita nella biblioteca di Gessate. Un altro libro interessante, da cui è possibile attingere informazioni di prim’ordine è il volume “L’Officina dei Promessi Sposi”, edito da Mondadori, anch’esso presente nella nostra biblioteca. E da ultimo, ancora, cito il volume rielaborativo ed essenziale, che ruota attorno alla figura di Giulia Beccaria, intitolato “Quel che il cuore sapeva” scritto con vena appassionata dall’ottima Marta Boneschi, edito da Mondadori, che consiglio ai lettori amanti di intriganti biografie.  
20 settembre 1782 ­– Don Pietro Manzoni (46 anni), rimasto vedovo di Margherita Arrigoni, accetta di risposarsi con Giulia Beccaria (20 anni). Il contratto di matrimonio viene steso con la mediazione di Pietro Verri, d’accordo con Cesare Beccaria.
1784 – Giulia Beccaria mantiene la precedente relazione con Giovanni Verri. Rimane incinta. Le illazioni si sprecano.
7 marzo 1785 – Nasce Alessandro Manzoni nella casa di via San Damiano n° 20. (oggi Visconti di Modrone 16). Si dà per certo che la paternità sia di Giovanni Verri. Pietro Manzoni riconosce il figlio Alessandro, che viene mandato a balia per due anni nella Cascina Costa, sopra Malgrate, dove è allattato da Caterina Panzeri. È compagno di giochi del nipote di quest’ultima, Luigi Spreafico.
1788-1790 – All’età di due anni Alessandro torna a Milano accolto dalla madre Giulia che lo accudisce insieme alla zia smonacata Paola. Durante le villeggiature estive alla villa del Caleotto (dal nome della località presso Lecco, attualmente in via Amendola), di proprietà dei Manzoni, compie scorribande nei campi, assimila il paesaggio del lago, i viottoli tra i muriccioli, il convento dei frati cappuccini di Pescarenico, il profilo dei monti.
1791 – Nasce un sentimento tra Giulia Beccaria e Carlo Imbonati.
13 ottobre 1791 –
A sei anni, Alessandro, viene affidato ai Padri Somaschi del Collegio di Merate.

13 febbraio 1792 – Giulia Beccaria ottiene la separazione da Pietro Manzoni.
1800 – Alessandro Manzoni va ad abitare con il padre a Santa Prassede, poi via Fontana 14.
2 giugno 1800 Giulia e Carlo danno una grande cena nella Villa di Brusuglio per festeggiare il ripristino della Repubblica Cisalpina. “Tra quegli alberi frondosi, Giulia rivede Alessandro quindicenne, timido come il nonno Cesare, garbato come il padre Giovanni, intelligente come i Beccaria, acuto come i Verri” – così si esprime la Boneschi.
1801 ultimi mesi – Alessandro soggiorna al Convitto Longone a Milano. Legge la “Basvilliana”. Incontra Vincenzo Monti in visita al collegio e resta colpito dalla sua figura (“fu per lui come l’apparizione di un dio”).
1805 inizi Carlo Imbonati, in precarie condizioni di salute, suggerisce a Giulia di invitare a Parigi il figlio Alessandro. Vuole forse inserirlo nel circuito letterario parigino affidandolo al Fauriel.
15 marzo 1805 Carlo Imbonati muore per una “colica biliosa”.
1805 primi di luglio Alessandro, che non aveva risposto subito all’invito, parte per Parigi. Madre e figlio si riscoprono. Insieme si stabiliscono al n° 9 di rue Neuve de Luxemburg. Nasce un’intesa idilliaca, bellissima.
1805 – Alessandro Manzoni compone il carme “In morte di Carlo Imbonati” che è un capolavoro di stile (verrà pubblicato nel 1806), dedicandolo alla madre Giulia affranta dal dolore.
19 marzo 1807 – Muore Pietro Manzoni e istituisce Alessandro suo erede universale. Con la sua scomparsa la condizione di Giulia non è più così imbarazzante. Alessandro si ritrova un patrimonio suo, acquista più libertà, non avrà bisogno di consensi paterni per sposarsi.
1807 settembre – Giulia Beccaria intreccia i fili di un progetto matrimoniale per Alessandro. Fa in modo di trovarsi in vacanza a Blevio con Alessandro, ospite di Maddalena Sannazzari, nel periodo in cui la sedicenne Enrichetta Blondel (di famiglia calvinista) è nelle vicinanze ospite degli zii. I due giovani si incontrano e si piacciono. Alessandro è pieno di ardore. Si confida con Fauriel, dicendo tra l’altro: “C’è poi un vantaggio che è veramente unico in questo paese, almeno per me: non è nobile…”
6 febbraio 1808 Il matrimonio religioso tra Enrichetta e Alessandro è celebrato con rito calvinista, per motivi di opportunità.
1808 giugno I Manzoni si trasferiscono tutti e tre a Parigi in un hotel ammobiliato in rue des Bains Chinois n° 22. Alessandro partecipa ai “salotti” alla Maisonette. Enrichetta aspetta il primo figlio. Forse si sente un po’ sola, si pone la questione religiosa. L’incombente natalità fa meditare Alessandro sul mistero della vita.    
23 dicembre 1808 Nasce Giulia Claudia Manzoni (Giulietta), primogenita.
1809 fine Il disagio interiore di Enrichetta investe la famiglia Manzoni. L’iniziale ateismo di Alessandro, dovuto principalmente alla contrarietà verso i trattamenti giovanili subiti, inizia a scricchiolare. Alessandro scrive al papa chiedendo l’autorizzazione alla celebrazione del matrimonio con rito cattolico.
15 febbraio 1810 Viene celebrato il matrimonio cattolico tra Enrichetta e Alessandro.
22 maggio 1810 Avviene la conversione al cattolicesimo di Enrichetta Blondel nella chiesa di Saint Severin. Anche Alessandro (25 anni), guidato dal Eustachio Degola, trova la fede cattolica, e così pure Giulia Beccaria (48 anni).
2 giugno 1810 Padre Degola convince i Manzoni a partire per Milano.
1810 luglio – Giulia e i Manzoni si sistemano nella residenza di Brusuglio. Milano vive gli anni napoleonici.
1811 – Il fidato sacerdote Luigi Tosi, che padre Eustachio Degola aveva suggerito a Giulia di incontrare non appena fosse giunta a Milano, diventa il confidente di famiglia e si legherà ai Manzoni curando con assiduità i loro cuori. 
6 settembre 1811 – Dopo una gravidanza travagliata, Enrichetta partorisce Luisa Manzoni che sopravvive solo poche ore.
1813 – A fine luglio nasce Pietro Luigi, secondogenito (primo maschio)
1813 fine – I Manzoni acquistano un palazzetto in Contrada Morone a Milano (via Morone n° 1171, attuale n° 1).
marzo-giugno 1814 Le monarchie alleate occupano Parigi. Napoleone firma l’abdicazione nel castello di Fontainebleau. Il Lombardo-Veneto passa all’Austria.
1812-1815 – Il Manzoni compone i primi quattro Inni Sacri (La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione).
23  marzo 1815 Nasce il terzo figlio: una femmina cui viene dato il nome Cristina.
1816 – La morale cattolica impegna Alessandro. Attraversa un momento creativo ma anche di sofferenza, forse di depressione. Inizia la tragedia teatrale “Il conte di Carmagnola” (il lavoro si protrarrà fino al 1820). Enrichetta è sempre sfinita. Alessandro medita di tornare in Francia dall’amico Fauriel.
1817 marzo Giulia ed Enrichetta seguono con preoccupazione i disturbi che affliggono Alessandro (svenimenti, convulsioni, angosce). Alessandro insiste per un ritorno a Parigi. Tutto è deciso, ma all’ultimo arriva un veto governativo per cui nessuno può lasciare il Lombardo-Veneto. Alessandro si mette a letto. Giulia ed Enrichetta, contrarie al viaggio, tirano un sospiro di sollievo. Padre Tosi si frega le mani.
13 novembre 1817 Enrichetta partorisce Sofia, quarto figlio, una bambina chiara e bionda.
17 dicembre 1818 La Boneschi informa: “Muore a Como Giovanni Verri, ignorando quanto straordinario fosse quel suo figlio naturale. Dalla sua libreria spariscono cinque volumi di carteggi contenenti la corrispondenza con Giulia Beccaria”. (Una domanda irrisolta: Alessandro è a conoscenza della sua vera paternità?). 
6 giugno 1819 – Nasce Enrico Manzoni, quinto figlio.
14 settembre 1819 Il governo austriaco concede i passaporti, così Giulia può organizzare il nuovo viaggio. Una carovana di undici persone si muove alla volta di Parigi, dove arriva il 1° di ottobre.
1820 primavera-estate – Sorgono difficoltà parigine. La vita è cara. Giulia non sta bene. Alessandro non migliora. Il rientro a Milano prende corpo.
25 luglio 1820 La carovana Manzoni riparte per Brusuglio, dove giunge l’8 agosto. Ad attenderla il fratellastro Giulio, col quale Giulia Beccaria constata che “sono molto all’asciutto”.
Ottobre 1820-novembre 1821 – Stesura dell’”Adelchi”.
1821 – Alessandro Manzoni è in piena fase creativa. Il fertile periodo parigino dà i suoi frutti.
24 aprile 1821 – A Brusuglio il Manzoni inizia la stesura del romanzo storico che diverrà poi “I Promessi sposi”.
5 maggio 1821 Muore Napoleone a Sant’Elena. Il Manzoni apprende la notizia il 18 luglio. Nei due giorni successivi compone “Il cinque maggio”. La scrive di getto. Circolano subito copie manoscritte. Tutti conoscono in breve l’ode. Lo stesso Manzoni non sa capacitarsi del successo. 
12 agosto 1821 – Nasce Clara, sesta figlia del Manzoni.
Giugno 1822 – Pubblicazione del “Cinque maggio”. Goethe ne è entusiasta. Subito la traduce in tedesco.
1822 – Manzoni termina, dopo vari rifacimenti, il quinto inno sacro “La Pentecoste” (che aveva cominciato nel 1817).
17 settembre 1822 – Enrichetta partorisce Vittoria, settima figlia vivente.
1 agosto 1823 – La piccola figlia Clara, di due anni, muore di scarlattina.
17 settembre 1823 Alessandro termina la prima stesura di “Fermo e Lucia”. Enrichetta si sta consumando.
3 luglio 1924 – L’opera manzoniana, col titolo “Gli Sposi Promessi” supera la censura. Si può stampare.
18 marzo 1826 – Nasce Filippo Manzoni, settimo figlio vivente, dopo la morte di Clara.
15 giugno 1827 – Esce finalmente “I promessi sposi - Storia milanese del XVII secolo” in tre bei volumi, in duemila copie. In agosto l’edizione è esaurita. Le critiche sono disomogenee, ma in massima parte favorevoli. Il Manzoni, ancor prima di darlo alle stampe, è convinto della necessità di una completa revisione linguistica del testo. Per fare ciò ritiene necessario immergersi nella lingua parlata in toscana, in particolare a Firenze. Ancora una volta, la madre Giulia si attiva.
16 luglio 1827 – I Manzoni partono per la Toscana. A Firenze, Alessandro partecipa a incontri. Stabilisce contatti. Conosce il Leopardi ma “non ha un grande affiatamento”. Vive intensamente. È appagato. Ha trovato persone “delle quali abusa per la revisione della sua ‘tiritera’”.
1828-1829-1830 L’edizione del ’27 non produce utili. Circolano troppe edizioni pirata. In questi anni e in quelli seguenti, il Manzoni apporta le correzioni frutto della “risciacquatura in Arno” (una mole di rilievi e suggerimenti che arrivano man mano dai vari collaboratori). Si va concretando il testo definitivo de “I Promessi Sposi”.
13 luglio 1830 – Nasce Matilde, ottava figlia vivente di quella numerosa nidiata.
1833 Nella primavera fredda di quell’anno Giulia Beccaria fa sapere al fratello, che si trova a Gessate, che loro “sono ancora al fuoco”. Enrichetta, è sempre a letto acciaccata.
25 dicembre 1833 Muore Enrichetta, lasciando una voragine. Alessandro e Giulia sono nella disperazione.
1836 Alessandro si sente perso. Giulia Beccaria, con Luigi Rossari e Tommaso Grossi, individuano Teresa Borri Stampa, 37 anni, come possibile compagna del poeta. Teresa è una profonda ammiratrice di Alessandro Manzoni di cui ha letto il romanzo. Pare che abbia detto” Quest’uomo è fatto secondo il mio cuore”.
2 gennaio 1837 – Teresa e Alessandro si sposano. Alessandro è diviso tra la madre anziana, non più tanto utile, e la moglie che sgomita ma gli è gradita. La presenza discreta e schiva di Enrichetta è solo un ricordo.
1838 – “Alessandro sta bene, si alza presto, lavora assiduamente”.
1838-1839 – Due figlie si sposano: Sofia con Lodovico Trotti Bentivoglio e Cristina con Cristoforo Baroggi.
1839 – Il romanzo “I Promessi Sposi”, radicalmente rivisto, è pronto per la stampa, a dispense. L’illustratore principale è il pittore torinese Francesco Gonin. Il Manzoni lo definirà l’”ammirabile traduttore” della sua opera. Luigi Sacchi, pavese, coordina una equipe di incisori che tradurranno in xilografie su legno i disegni del Gonin. La ”Storia della Colonna infame” supera la censura.
Novembre 1840 – Appaiono le prime dispense del romanzo. In poco tempo vengono sottoscritte 4.000 copie. Nei mesi seguenti iniziano a circolare copie contraffatte: a Napoli, edite da Gaetano Nobile, a Parigi, edite da Claude Baudry.    
27 maggio 1841
Muore tristemente Cristina, bella, giovane, felicemente maritata.

7 luglio 1841 – A settantotto anni di età , Giulia Beccaria se ne va per sempre.
Novembre 1842 – Dopo due anni dalla prima uscita, viene pubblicata l’ultima dispensa (la centoottantesima) de “I Promessi Sposi”, venendo a formare un volume di 864 pagine. Le copie stampate sono 10.000 (come da contratto). Quelle vendute 4.600. A conti fatti i ricavi risultano inferiori agli esborsi per il Manzoni di ca. 100.000 lire, cifra ragguardevolissima.
31 marzo 1845 – A Verano, nella Villa Trotti, tra le braccia della sorella Vittoria, muore Sofia, a soli 27 anni, che aveva sposato Lodovico Trotti Bentivoglio.
27 settembre 1846 – Vittorina sposa Giovanni Battista Giorgini.
18-23 marzo 1848 – Il Manzoni vive la grande emozione dell’insurrezione milanese. Il figlio Filippo, partecipa alla rivolta, viene fatto prigioniero, portato a Kufstein, ritorna a casa verso la metà di giugno.  
1848-1850 – Dopo gli avvenimenti del ’48, la famiglia Manzoni trascorre due anni a Lesa, sul Lago Maggiore, nella Villa posseduta da Teresa Stampa. La maggiore attrattiva del soggiorno è rappresentata dalla vicinanza del sacerdote-filosofo Antonio Rosmini che risiede a Stresa.
10 dicembre 1853 – Muore Tommaso Grossi al quale il Manzoni è legato da profonda amicizia.
1 luglio 1855 – Muore Antonio Rosmini. Il Manzoni assiste il suo grande amico negli ultimi giorni, il cui testamento spirituale è: “Adorare, Tacere, Gioire”.
Marzo 1856 – La figlia Matilde, malaticcia, muore a Pisa, dove si era trasferita seguendo Vittoria.
5 giugno 1859 – Seconda Guerra d’indipendenza. Gli austriaci escono definitivamente da Milano.
15 febbraio 1860 – Il re riceve personalmente il Manzoni e gli propone la nomina a senatore.
18 febbraio 1861 – Si raduna a Torino il primo parlamento del Regno d’Italia. Il Manzoni è presente.   
17 marzo 1861 –
Proclamazione del Regno d’Italia.
23 agosto 1861 –
Muore Teresa Stampa, tra le braccia del marito, dopo molti anni di sofferenze.

Marzo 1862 – Garibaldi fa visita al Manzoni nella casa di via Morone a Milano.
1868 – Il figlio Filippo, oppresso dai debiti, muore in miseria lasciando quattro figli.
30 giugno 1868 – La contessa Maffei accompagna il Verdi in visita al Manzoni.
6 gennaio 1873 – Recandosi alla messa in San Fedele, il poeta cade malamente sui gradini della chiesa battendo la testa. Da quel giorno la sua mente va rapidamente decadendo.
28 aprile 1873 – Muore il figlio Pietro Luigi. Il Manzoni si trova in condizioni mentali precarie, ma in un momento di lucidità si rende conto di quest’ultima sventura toccatagli e dice: “Oggi mi è rinvenuto il senno ma mi è venuto un gran dolore”.
22 maggio 1873 – Muore Alessandro Manzoni, alle 6 di sera, nella sua casa di Milano.
23 maggio 1873 – La salma viene esposta nella sala del Consiglio Comunale.
29 maggio 1873 – La cerimonia funebre viene celebrata in duomo. Vi partecipa una grande folla. Un corteo interminabile segue le spoglie dell’amato poeta milanese che sono tumulate al Cimitero Monumentale.
22 maggio 1874 – La “Messa da Requiem” alla quale Verdi sta lavorando da anni, viene dedicata alla memoria del Manzoni, ed eseguita per la prima volta nel primo anniversario della morte nella chiesa di San Marco a Milano, al mattino, e alla sera alla Scala, diretta personalmente dal grande musicista.

Il capitolo D’Azeglio

Nel maggio 1831, il cadetto Massimo D’Azeglio è ben intenzionato ad entrare nella famiglia Manzoni, e chiede la mano della primogenita Giulia Manzoni. La cosa inizialmente sembra fallire per il netto rifiuto di Giulietta. Per contro, nonna Giulia Beccaria è convinta che tutto sommato, Massimo rappresenti un buon partito e interviene per cercare di convincere la nipote ventiduenne a sposarlo. Emerge una volta di più il carattere deciso di Giulia Beccaria. Le nozze si celebrano in San Fedele a Milano. A Giulia non è servita la sua lunga esperienza di vita, è caduta essa stessa nel tranello abilmente teso da Massimo D’Azeglio (Tra l’altro, l’insistente Massimo non vale gran che come poeta, poiché quando sottopone alcuni suoi versi al suocero Alessandro, questi non può fare a meno di dire “In propi minga bei”). Nell’agosto del 1834, Giulietta Manzoni, dopo un parto prematuro, si ammala. È già di natura fragile, inoltre sa di essere tradita dal marito e detestata dall’ignorante suocera Cristina. In breve le sue condizioni si aggravano. Il 20 settembre 1834, Giulietta Manzoni muore a Brusuglio. Quando il “buon povero Massimo” scrive le 550 pagine dei “Miei Ricordi” liquida la triste vicenda in due righe: “Mi stabilii a Milano, vi passai dodici anni, vi comprai casa, vi presi moglie, vi formai una famiglia” e non nomina neppure la moglie. Un bell’elemento quel Massimo D’Azeglio! Dopo la morte di Giulietta, Massimo D’Azeglio non è più ben accolto dai Manzoni. Il commento finale di Marta Boneschi sul capitolo D’Azeglio è emblematico: “Quel giovane che era entrato in casa Manzoni nel 1831 ha portato solo tristezza e divisioni, per perseguire il suo successo personale. Giulia, Alessandro ed Enrichetta si erano lasciati vincere dalle sue lusinghe. Più lucido di tutti, forse, è stato Camillo Benso Conte di Cavour, che avendolo conosciuto una volta, nel suo dialetto aveva borbottato: “A l’è na ciula”.

Della modestia del Manzoni

Lo Stoppani si pronuncia: “Era sprezzante di lusso e vanità, che snervano le forze morali dell’uomo e ne sfruttano miseramente l’ingegno”.

Difficoltà e ingerenze parigine

1820. La vita a Parigi si rivela più costosa del previsto. Giulia ottiene un prestito. Rinuncia a vendere la casa di via Morone. Milano è preferibile a Parigi per una serie di motivi: scarsi miglioramenti della salute di Alessandro (che è sempre sostenitore dei cambiamenti d’aria perciò ritornerebbe a Milano), difficoltà nelle pratiche religiose, mancanza di sicurezza sulle strade (ci sono i piqueurs che minacciano di sfregiare le donne con punteruoli o coltellini). Inoltre si alterano i toni nella corrispondenza tra Padre Tosi e Giulia Beccaria. Tosi esagera nelle ingerenze, è stizzito perché i Manzoni ritardano a decidere il rientro. Giulia replica che devono dar tempo ad Alessandro. Tosi insiste fino a diventare opprimente. Rivolgendosi ad Alessandro, lo avvisa di non lasciarsi influenzare dalla madre. Al che Giulia, risentita, replica a Tosi di rivolgersi a lei quando deve dare degli avvisi, perché solo lei ne ha bisogno. Inoltre, l’implacabile Giulia, gli rinfaccia che da una persona come lui sperava di ricevere consolazione. 

 

Giulia Beccaria in punto di morte

La Boneschi racconta: “ A un certo punto, quello stesso giorno sembra che Giulia non respiri più. Il medico la dichiara morta, saluta e se ne va, mentre Alessandro e i suoi figli si ritirano nelle loro stanze, forse con sollievo perché ora possono dormire un po’. A vegliare la salma restano due domestici. Fa caldo. A un certo punto uno dei due apre una finestra per respirare un soffio d’aria fresca. A quel soffio Giulia si sveglia e chiede un bicchiere d’acqua”. Morirà il giorno dopo il 7 luglio 1841.

I rai fulminei

Giugno 1800. Il Manzoni partecipa alla Scala ad una serata di gala in onore di Napoleone dallo stesso palco in cui si trova la contessa Cicognara di Bologna, nota per la sua opposizione al dittatore francese, e fatta oggetto da parte di quest’ultimo di sguardi intensissimi in segno di sfida. In merito a questo evento, Alessandro già allora confessava: “Che occhi aveva quell’uomo!”

L’edizione definitiva de “ I Promessi Sposi” del 1942

Fin dal viaggio in Toscana del ‘27, il Manzoni sta preparando il nuovo testo de “I Promessi Sposi”, ma diverse vicende famigliari (la morte di Enrichetta, della figlia Giulietta, il matrimonio con Teresa Stampa) ritardano la rivisitazione del romanzo. L’edizione del ’27 (Ventisettana) aveva avuto grande successo. Molti librai, anche pressati dal pubblico, avevano stampato e venduto edizioni clandestine. Per evitare che ciò si ripeta il Manzoni pensa di introdurre alcune novità: la pubblicazione a fascicoli, l’introduzione di illustrazioni, e da ultimo l’aggiunta della “Storia della colonna infame”. Su consiglio della moglie, di Tommaso Grossi e del D’azeglio si assume in proprio l’onere della nuova edizione, sceglie illustratori, incisori (finanziandoli personalmente), cura il piano editoriale. Le aspettative sono di “guadagnare almeno il triplo”.

L’ira dei Blondel

Nella seconda metà del 1810 un nuovo turbine attende Giulia Beccaria a Milano. La madre di Enrichetta dà in escandescenze quando apprende della conversione della figlia al cattolicesimo. Succede il finimondo. Dopo un po’ la posizione della madre di Enrichetta si ammorbidisce. Però Giulia, ritenuta responsabile (a torto) della “trama”, viene messa al bando dai Blondel. Ma Giulia non si scoraggia, è abituata a queste cose. Reagisce come sempre con coraggio e dignità. “Tira là”, – come usa dire lei stessa. 

 

Tenerezza

Nel 1807 “Giulia Beccaria medita allora di progettare il suo futuro del figlio. Ma Alessandro, fin dall’adolescenza si era proclamato contrario al matrimonio. Giulia capisce che deve condurlo lei stessa nella direzione giusta, ma con cautela. Il pastore zurighese Johann Kaspar Orelli racconta un episodio che lui stesso ha udito da Alessandro: “Giulia si fece leggere dal figlio un idillio di Gessner in cui è descritta vivacemente la felicità di un padre di famiglia. Questa lettura commosse il giovane Manzoni, che intuì l’intenzione della madre. Una delle sue calde lacrime cadde sull’incisione e la madre la fece poi incorniciare con un cerchietto d’oro. Questo è spingere molto lontano la sensibilità, ma è un bel tratto”.

Vendita del Caleotto

Nel 1818 il Manzoni è costretto a disfarsi della villa del Caleotto. Dunque vi si reca per soggiornarvi un’ultima volta e per liquidare i “mezzajuoli”. Al che scopre che quasi tutti gli erano debitori, e di somme ragguardevoli per quei tempi, fino a tremila lire milanesi, e che qualcuno, benestante, avrebbe anche potuto pagare. Che fa il Manzoni? “Tiriamo una riga su tutti e su tutto, e non se ne parli più: perdono generale!”. Da questo episodio emerge un carattere generoso e deciso, non tanto timido e parsimonioso come alcuni lo descrivono. 

Walter Visconti

ARTICOLI 2007

Il CineTeatro Don Bosco: una risorsa culturale per i Gessatesi.

Numero 1-2007

 

Un luogo di svago, di divertimento, d’incontro, di cultura per i Gessatesi, funzionale, comodo, economico, conveniente. Stiamo parlando del CineTeatro Don Bosco, una vera risorsa culturale da non sottovalutare, anzi da apprezzare sempre più per chi già la conosce, da sperimentare per quelli ancora restii a frequentarla.
La “Sala della Comunità” si trova in Piazza Roma. Viste le affluenze di pubblico e gli incassi ancora esigui in rapporto alla qualità delle rappresentazioni, viene da pensare che molti Gessatesi non ne conoscano l’esistenza. Allora, rischiando di essere banali, partiamo dall’inizio e diciamo tutto quello che c’è da dire.

La squadra.
Come funziona l’apparato di gestione della sala? Innanzi tutto chi vi opera? Ecco i nomi degli undici volontari che attualmente la gestiscono: Riccardo Villa, Aldo Sacco, Ambrogio Mantegazza, GianAngelo Zurloni, Giovanni Galbusera, Roberto Caloni, Natale Mangiagalli, Sergio Vigorelli, Fulvio Caspiati, Enzo Asperti, Mauro Lezzi. Vanno aggiunti don Stefano e, infine, don Enzo che è il vero promotore dell’iniziativa (ha voluto fermamente la riapertura del CineTeatro e della Chiesa dell’Addolorata).

La gestione.
Ognuno ha compiti precisi. C’è l’aspetto amministrativo e c’è l’esercizio vero e proprio. Tenere la cassa, fare i turni alla biglietteria, espletare le pratiche SIAE, gestire la contabilità, consuntivare. Poi vengono l’apertura, la chiusura del teatro, la pulizia della sala, la manutenzione delle apparecchiature, la distribuzione delle locandine, l’invio della programmazione tramite posta elettronica. Ed ecco come avviene l’esercizio degli spettacoli. Si fanno riunioni in cui si decidono le pellicole (film adeguati che vengano accettati dalla comunità), principalmente da Riccardo, Fulvio e don Enzo. La programmazione riguarda circa un mese con tre-quattro titoli. Arrivano le bobine dei film (cinque o sei pesanti rotoloni di pellicola per ciascun film). A questo punto bisogna assemblare con calcolo e precisione le suddette “pizze cinematografiche” (cioè unirle fisicamente) in due uniche grosse bobine (se si vuole che i tempi del film siano due); all’inizio della prima bobina vanno poi attaccati gli spezzoni pubblicitari. In questo modo il film può essere proiettato. Alla fine delle rappresentazioni la pellicola va nuovamente divisa nelle “pizze iniziali” per la riconsegna.
Oltre alla normale attività cinematografica si organizzano due sezioni annuali di Cineforum, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura e Tempo libero, una invernale, una primaverile. Di solito i Cineforum si articolano in 5/6 film con tematiche diverse: sulla famiglia, i rapporti fra le persone, i problemi etici e sociali. Viene approntata e distribuita una scheda con i titoli dei film e le date delle proiezioni, di solito un film alla settimana. Ad ogni spettacolo un critico cinematografico introduce il film, e alla fine della proiezione stimola riflessioni ed eventuali discussioni.
Il CineTeatro ospita anche spettacoli teatrali. C’è un surplus di richieste da parte di compagnie (sono per lo più gruppi dialettali quelli che si offrono). Se possibile si cerca di organizzare uno spettacolo al mese.

Le caratteristiche.
Le caratteristiche del CineTeatro sono: 230 posti tra platea e galleria. Comodi servizi igienici situati a ogni livello. Ottimo l’impianto audio Dolby Surround. Due macchine di proiezione (per due diverse cabine di proiezione, una per il cinema invernale, una per il cinema estivo, che si rappresenta nel cortile dell’oratorio). Schermo con telone nuovo. Le poltroncine sono state ripulite a fondo nell’estate 2006.
Come detto, l’offerta è articolata su tre fronti: Programmazione normale di film, Cineforum e Spettacoli teatrali. La sala è spesso frequentata da abitanti dei paesi limitrofi come Basiano, Trezzano Rosa, Masate, Cambiago, Bellinzago, che sono sprovvisti di tale servizio. I prezzi attualmente praticati sono: 5 € per i film e 6 € per il teatro. L’affluenza del pubblico non è elevatissima. Solo per alcuni film di successo nazionale si registrano punte di 100-150 spettatori (tipo Nativity, Olè, Anplagghed, Narnia). Si teme un ulteriore calo in previsione dell’apertura della nuova multisala Arcadia nel prossimo maggio 2007 nel centro commerciale La Corte Lombarda.
Il bilancio economico per ora è in sostanziale pareggio.
La “Sala della Comunità” ospita anche eventi diversi che riguardano Gessate e le sue Associazioni: conferenze, premiazioni, audizioni. Anche per tali manifestazioni, i servizi, la pulizia, l’organizzazione, fanno riferimento ai soliti “undici volontari”.

Le finalità.
Fin qui, abbiamo fornito in sintesi la “scheda” del CineTeatro Don Bosco di Gessate. Ma ora vediamo più da vicino le fondamenta dello spirito animatore di questa iniziativa socio culturale. Sentito don Enzo, principale fautore della proposta mediatica, ecco il compendio del suo operato.
Dal 1963, lungo 43 anni di sacerdozio, troviamo don Enzo impegnato a più riprese nel mondo del cinema, sia perché appassionato di film, sia perché convinto assertore del cinema come mezzo culturale di socializzazione per favorire la crescita umana, filosofica e religiosa della comunità. Nelle iniziative svolte nei vari paesi dove si è fermato, il cinema è sempre stato presente nelle sue intenzioni e nei suoi desideri (uno si porta dietro le proprie passioni), non tanto per “accontentare” il pubblico, quanto per “sollecitarlo” – così spiega lui stesso – .
«Perché il cinema», – sono sempre sue parole, – «ha due finalità: una è di rilassare le persone, di aiutarle a riscoprire il senso del ridere, dello star bene. Poi, l’altro aspetto è quello culturale, educativo, volto a favorire il loro sviluppo armonico e aiutarle a socializzare. Questo intento lo troviamo ancor più nei Cineforum, eventi che servono a indurre lo spettatore ad “ascoltare” la presentazione, a fargli “seguire” un film con attenzione, e alla fine a farlo “partecipare” alla sua rivisitazione critica sempre che sia guidata con tatto e competenza dall’animatore».
Lungo tale percorso, don Enzo ha sempre trovato il suo bel daffare, a Vedano Olona, a Valmadrera, a Pantigliate, e ora a Gessate.
E poi continuando a ruota libera: «I Cineforum strumentalizzano un lasso di tempo in cui si favorisce la promozione umana; contribuiscono alla costruzione della formazione cristiana. Perciò, film a volte discutibili, sull’eutanasia, sulla morte, sulla famiglia, sono utili perché pongono problemi e fanno ragionare (e aiutano a comprendere). La nostra Sala della Comunità deve favorire la condizione umana, non solo con i film, ma con il teatro, le conferenze. Noi continuiamo su questa linea: favorire fin dove è possibile la scelta di film che non siano scadenti, che aiutino le persone a rilassarsi, a godere di un buon spettacolo, e poi, come detto, c’é l’altro filone che è quello che induce a ragionare. Noi speriamo che saremo premiati. Perché facendo film per adulti di un certo livello, non attiriamo masse enormi, però dacché abbiamo iniziati i Cine Forum dal 2002, un certo gruppo si è formato. La media di presenze ai Cineforum è di ca. 60-70 persone. Il Cinema è dunque uno strumento pastorale, di “attenzione” alle persone».

Walter Visconti

 

Mostra di collezioni in Villa Daccò

Numero 1-2007

 È lunedì 15 gennaio, di pomeriggio. Trovo un’ora da dedicare alla mostra di collezioni in Sala Matrimoni di Villa Daccò, prima che mi sfugga definitivamente. È un’intuizione, perché nulla di più appetibile mi sarei aspettato. Conosco due persone gentili e preziose nel giro di poco. Mi dico: affrettati a scrivere le impressioni prima che il Dialogo chiuda, e prima che mi sfuggano dalla mente. Sono brevi testimonianze, ma credo bastino per dire al cittadino ciò che potrà approfondire da sé, volendo, conoscendo le persone.

Primo incontro. Ernesto Villa, di Gessate, colleziona appassionatamente monete, non per forza antiche o rare, perché il conio è per lui semplice simbolo di storia, di realtà trascorsa, indelebile, scolpita. È collezionista nel senso puro del termine, non accanito accaparratore a qualsiasi costo, non ostentatore di pezzi da capogiro, bensì paziente allineatore, custode, studioso. Esibisce compiaciuto la sua rassegna, dà prova di competenza, modestia. Fine scopritore di storie nascoste dietro i coni: affari, furbizie, paure, inganni, giochi, piaceri, tradimenti. Vicende di terre lontane, di ricchezze, inflazioni, tesori e catastrofi. Perché tutto ciò rivelano le monete. Monete da ammirare, da apprezzare.

Secondo incontro. Giorgio Faré di Gorgonzola. Presenzia: una mostra di illustrazioni del pittore “Klaus” raffiguranti imprese gloriose della Marina Militare Italiana durante la Seconda Guerra Mondiale; alcuni arditi dipinti di “Fari d’Italia”; una serie di magnifici disegni di uniformi marinare, dal 1789 (della Marina di Casa Savoia) fino ai nostri giorni; modellini che simboleggiano l’evoluzione delle imbarcazioni, dai tronchi della preistoria, alla nave a remi dei maestri d’ascia etruschi, alla vela cinese, all’Amerigo Vespucci. Ma il vero tesoro della mostra non sono i pezzi esposti, ma è lui, Giorgio Faré. Esponente dell’ANMI (Associazione Nazionale Marinai d’Italia di Gorgonzola), si rivela un pozzo di sapienza e cultura sulla storia della marina mondiale, delle esplorazioni, e sulle esperienze nella seconda guerra mondiale. Nel giro di mezz’ora colgo aneddoti, racconti, testimonianze che mi affascinano. È come fantasticare in compagnia di Jules Verne, o forse più.
Alcune sue menzioni: “Nelle scuole la cultura non è mai marinara, eppure quasi ogni terra fu scoperta attraverso la navigazione”. Poi, digressioni sulle mitiche paure dell’Atlantico con leggende di mostri, fantasie sui sargassi. Ma dopo Colombo, via libera! Ecco sgombrato il campo, tutti a lanciarsi oltre l’Atlantico. Questa è la grandezza di Colombo (a 8 anni era mozzo, a 25 Comandante).
E cita Carducci: “Da quegli scogli onde Colombo vide nuovi mondi spuntar…” E cita Taviani, “che era innamorato di Colombo e scrisse su di lui diversi libri”. I ricordi sulla Seconda Guerra Mondiale, le ricche considerazioni sugli avvenimenti sono un ricchissimo capitolo a parte. Giorgio Faré è anche autore di un libro sulla navigazione adottato nelle scuole medie. Varrà la pena di visitare l’ANMI di Gorgonzola, dove – mi informa – hanno una fornita biblioteca sulla navigazione e più di 50 modellini di navi. Ma il sigillo della conoscenza marinara è sempre Lui, lucido custode di realtà trascorse, favola vivente di un mondo che affascina e che consola ogni appassionato di avventura, di navigazione, di esplorazione, entità che si fondono in una sintesi di conoscenza magica, meravigliosa, esaltante, malinconica, gloriosa. Io l’ho conosciuto e non lo dimenticherò.

Walter Visconti

 

 Vincitore del concorso ”La vetrina più bella”
“Acconciature Liliana” di Liliana Stucchi in via Badia 70

Numero 1-2007

 

Entro timidamente nell’ambiente intriso di profumi. Saluto con discrezione, vengo accolto da caldi sorrisi di benvenuto. Osservo polsi e mani sfilare capelli con delicata maestria. Dita esperte appaiono e scompaiono in vortici di bianca schiuma. Vite sinuose si muovono nel vento caldo dei fon attorno a smosse chiome fluenti.

È un negozio funzionale, simpatico, efficiente. Adatti separé propiziano comodi ambienti dalle pareti giallo ocra. Subito entrando un ritratto pittorico di Sharon Stone in uno dei look più recenti. Da qui si accede nel magico mondo ell’acconciatura femminile: poltrone girevoli e caschi pendenti, lucide consolle e poltroncine per l’attesa, maestosi specchi a offrire luminosità e scintillii. In chiusura, il reparto degli shampoo, fornito di due comode postazioni.

Liliana Stucchi è la titolare del negozio di acconciature in Via Badia 70. Quasi trent’anni di lavoro nel settore. È nativa di Pessano. Nutre un’inclinazione per la creazione, l’interpretazione della moda. Nel 1979, sostenuta dalla forte passione per le acconciature e la valorizzazione del portamento femminile, decide di aprire un’attività di parrucchiere per signora rilevando il negozio di Gessate dove tuttora lavora. Numerosi sono i corsi di aggiornamento professionale. Ma veniamo a noi. «Forse perché non ero molto conosciuta, forse per l’impostazione dell’esercizio, per i tagli che apparivano troppo moderni, e anche per l’ambiente, diciamo, un po’ conservatore, all’inizio ho faticato a ingranare» ammette  Liliana. E poi continua: «Prima di me c’era stata la “Signora Bruna” (una carissima donna che ora ha 80 anni), che faceva le “cotonate”, apprezzate molto da mia nonna. Tra la Signora Bruna e me c’è stato un vero e proprio “avvicendamento”, un momento in cui le pettinature si sono evolute: prima si usavano le “pieghe” coi bigodini, i capelli “cotonati”, le “permanenti”; mentre quando ho iniziato a lavorare io già andavano le pieghe a fon, con i caschetti alla francese, per arrivare infine alla attuale moda del liscio, con i capelli lunghi dritti sulle spalle».

Occorre dire che la Vetrina di Natale allestita da Liliana e premiata dalle preferenze dei Gessatesi consisteva in un Presepio (che purtroppo non abbiamo potuto fotografare), composto da una Capanna fatta con tronchetti di legno pazientemente tagliati dal marito, da statuine di gesso colorate in stile orientale-ortodosso, impreziosito con muschio punteggiato di strass d’orati, su uno sfondo di tulle azzurro: una creazione stilizzata e originale, opera di uno spirito raffinato, da artista.
Osservando più attentamente l’ambiente del negozio, non a caso vedo emergere la seconda passione di Liliana: la pittura. Le chiedo subito se ha fatto qualche mostra. Dice che non ha alcuna scuola e che per questo non ha il coraggio di esporre. Modesta, e troppa grazia, malcelata, – dico io, – perché sulle calde pareti del negozio, e alla stessa vetrina a far da manifesto, intonate e accattivanti, stanno esposte moderne tele dipinte a olio che raffigurano virtuose effusioni maschili unite a impetuose posture femminili, a celebrazione del fascino della donna, proprio come deve essere rappresentato, cioè nella spontaneità, nella manifestazione dello stile, nella valorizzazione della classe e della cultura.

Nel tempo della conversazione lei e la sua aiutante hanno fatto lo shampoo a due clienti. Mentre parliamo Liliana sta “facendo i boccoli” ai lunghi capelli di una bambina di 8 anni, ottenuti come regalo per il suo compleanno. «Scotta!» dice la piccola, al che, la reazione sospirata della nonna è stata: «Per apparire bisogna soffrire!» Ma per fortuna oggi non è più così.

Walter Visconti

 

Una confortante realtà:
“Il Consultorio Familiare Decanale di Melzo”

Numero 2-2007

Quanto segue è la sintesi della appassionata presentazione fattami dalla Dott.sa Caviglia, che raccolgo e condivido pienamente. In un piovoso pomeriggio di marzo vengo accolto nei bei locali di Melzo in via Martiri della Libertà 35. Subito avverto un’atmosfera di cortesia, attenzione, interesse, gentilezza. È quello che occorre per far sentire ogni persona a suo agio. È la premessa per l’apertura, la comprensione dei disagi, la condivisione degli stati d’animo, l’offerta di aiuto.

I numeri. 2064 persone assistite, di cui 357 maschi, 1707 femmine; una trentina di persone operanti nel Consultorio, di cui un ginecologo, 5 psicologi, 2 assistenti sociali, 1 ostetrica, 1 infermiera, 3 consulenti familiari, 2 mediatori familiari, 2 consulenti legali, 3 amministrativi, 10 tra operatrici telefoniche e segretarie; in più ci sono 2 coordinatrici, una per l’attività interna, una per l’attività esterna e infine il Direttore Sig. Camillo Ronchetti e un vice Direttore, la Dott.sa Anna Caviglia. Questi sono i numeri del Consultorio Familiare Decanale di Melzo per il 2006. La Direzione e la Segreteria sono costituite da volontari, il restante personale è retribuito tranne alcuni Operatori anch’essi volontari. La migliore ricompensa rimane comunque per tutti la “soddisfazione personale”.

L’attività. Il Consultorio di Melzo opera dal 2001: all’inizio era tutto volontariato, l’accreditamento è venuto dopo. Le attività si dividono in “interne”: quelle che vengono fatte nella sede di Melzo oppure negli ambulatori dislocati nei vari paesi (Albignano, Truccazzano, Gessate, Liscate), ed “esterne”: i corsi che si fanno nelle scuole, negli oratori, gli incontri serali con i genitori, le conferenze.

L’ispirazione. Non è tanto uno spirito di tipo missionario, o un progetto isolato, quello che anima il consultorio, si tratta piuttosto di una vera integrazione razionale e specialistica del Servizio Sanitario Nazionale.
L’ispiratore iniziale dei consultori si identifica nella persona di monsignor Giovanni Battista Guzzetti. Nel Seminario di C.so Venezia, svoltosi a Milano il 30 novembre 2006 a celebrazione del 45° anniversario di vita dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano, da lui fondato, e nel 10° anniversario della morte avvenuta il 26 giugno 2005, il Cardinale Dionigi Tettamanzi, Vescovo di Milano, ricordò il ruolo decisivo di monsignor Guzzetti per la fondazione di numerosi Consultori oggi operanti sul territorio nazionale, specialmente nel nord Italia.

Funzione. Queste strutture rappresentano un decisivo supporto, dinamico e creativo, per il superamento dei molti disagi sofferti dalle persone indebolite dall’ubriachezza della società. In esse operano persone sensibili e specializzate, soprattutto “portate” ad aiutare e sanare situazioni precarie. Lo scopo è l’indirizzamento nei giusti canali del rimedio e della ripresa a difesa di una società “arrabbiata” e “spersonalizzata”. Il solo fatto della consapevolezza dell’esistenza dei Consultori è motivo di rassicurazione, fiducia e speranza. Essi favoriscono il coraggio dell’umiltà nella richiesta d’aiuto, e indicano con modestia e discrezione la via di “sbocco” per tantissime situazioni critiche e anomale della vita.

Walter Visconti

Ecco di seguito una scheda illustativa delle attività del Consultorio.
CONSULTORIO  FAMILIARE  DECANALE  DI MELZO
Via Martiri della Libertà 35   Te. E Fax  02 95732039

Il consultorio Familiare Decanale di Melzo, attivo già da sei anni, è autorizzato dalla ASL Mi2 e accreditato dalla regione Lombardia.
Tali riconoscimenti sono un’ulteriore garanzia della qualità delle prestazioni fornite e permettono a questa struttura moderna, di ispirazione cattolica, di dare risposte sempre più adeguate alle crescenti richieste degli utenti.

Al Consultorio Familiare si rivolge un’utenza che è specchio della società di oggi. Non ci sono particolari distinzioni né di tipo religioso, né di tipo sociale. Arrivano persone il cui status sociale è molto variegato, perché ormai i problemi affrontati dalle nostre strutture sono propri di tutti gli strati della popolazione: lavoriamo sui problemi della relazione coniugale, sui problemi educativi, sulla maternità, paternità, e sessualità. Le situazioni che si presentano con maggiore frequenza sono le crisi di coppia di varia natura e i problemi educativi, che si verificano perché i genitori hanno strumenti vecchi e inadeguati per la realtà di oggi.

Sono molto importanti anche le attività esterne che prevedono interventi in diversi ambiti: la preparazione dei fidanzati o delle giovani coppie a sostegno di iniziative parrocchiali, la formazione degli adolescenti nelle scuole e negli oratori, la procreazione responsabile ecc.

I Consultori di ispirazione cristiana si caratterizzano per una scelta di globalità dell’intervento di cui riportiamo alcuni esempi:
- nel rispetto della libertà di coscienza, non si ignorano né si sottovalutano gli aspetti legati alla fede religiosa (e i valori ad essa connessi).
- l’intervento è dialogo e aiuto, nella competenza.
- si prendono in considerazione gli aspetti medico-ginecologici, ma anche il benessere psicologico-sociale, morale e spirituale
- non solo la donna ma la coppia e la famiglia.
- non solo nella preparazione della vita a due ma anche nelle fasi successive.

 L’utente che si accosta al Consultorio incontra sempre una segretaria che è stata formata per l’accoglienza. Il suo compito è quello di far sì che la persona stabilisca un rapporto con noi: se la richiesta è di un servizio che non siamo in grado di dare, l’utente viene indirizzato alla struttura corretta. Il secondo passo è il primo colloquio con una Consulente Familiare, la quale, capita la necessità, programma con l’utente un percorso nel quale si affronterà il problema con l’intervento degli specialisti più adatti al caso.

Nel nostro Consultorio operano diversi professionisti che collaborano fra loro per offrire agli utenti un servizio multidisciplinare integrato; le competenze presenti sono: psicologo, pedagogista, assistente sociale, avvocato, mediatore familiare, ginecologo, ostetrica, neuropsichiatra infantile, consulente etico.

Il Consultorio Familiare offre i propri servizi nella sede di Melzo, e, in collaborazione con i Comuni, gestisce ambulatori ginecologici in alcuni paesi del Decanato fra cui Gessate, dove opera già da diversi anni il primo lunedì di ogni mese dalle 9:00 alle 12:00.
Recentemente il Comune di Gessate ha messo a disposizione del Consultorio nuovi locali che permetteranno anche un’espansione delle attività. Al momento vengono offerte le seguenti prestazioni:
- Visite e controlli ginecologici
- Pap-test
Inoltre è possibile organizzare su richiesta corsi in preparazione al parto e incontri post-parto.
Tutte le prestazioni vengono effettuate su appuntamento previa telefonata alla sede di Melzo al
n° 02 95732039
nei seguenti orari:
Mattino: 9 – 12 tranne mercoledì     Pomeriggio:16 – 19 tranne sabato

L’accreditamento ottenuto dalla Regione consente di ottenere le prestazioni di carattere medico col pagamento del solo ticket (salvo eventuali esenzioni), mentre quelle dell’area psicologica sono gratuite.
Dott.ssa Anna Caviglia

 

Per capirne di più: il libro di padre Gheddo
“La sfida dell’islam all’Occidente”

Numero 4-2007

 

Nell’aprile scorso, al Cineteatro don Bosco, organizzata dal Centro Culturale San Mauro, si è tenuta una conferenza di Padre Piero Gheddo in occasione della presentazione del libro “La sfida dell’islam all’Occidente”. L’argomento è di grande importanza e attualità, per cui, anche a distanza di mesi riteniamo utile segnalare l’evento. Un anno e mezzo fa, le Edizioni San Paolo commissionavano a padre Gheddo un libro per cercare di spiegare alla gente in maniera chiara e sintetica quali siano le differenze sostanziali tra cristianesimo e islam. Padre Gheddo si metteva all’opera di buona lena, e servendosi delle sue inesauribili conoscenze di vita, di missionario, di studioso, confezionava un compendio essenziale e significativo, privo di paroloni e profonde filosofie, bensì ricco di evidenze, esperienze, aneddoti. Credo sia il settantesimo libro da lui scritto, o giù di lì.

La figura di Padre Gheddo si identifica con quella di un missionario che ha girato il mondo con gli occhi di un’immanenza con la Chiesa. Il suo sguardo sulla storia è comprensivo e attendibile. Nel suo scritto non v’è traccia della denuncia “veemente“ della Fallaci, né dell’analisi “accorata” del Terzani. Ogni frase è risultanza di fatti e constatazioni. Di conseguenza l’idea che si crea è obiettiva, credibile.
Ma veniamo ai contenuti. Quale modo migliore di descrivere l’opera se non quello di riportare le parole di Padre Gheddo?

Il libro parte dalla seguente considerazione. «Per comprendere bene i problemi che l’islam pone all’Occidente cristiano è necessario conoscerlo meglio di quanto oggi, in genere, lo conosciamo. Ovunque vado a parlare,  - asserisce padre Gheddo, - trovo quasi solo persone che hanno paura dei musulmani, ma che, oltre a chiudere la porta di casa, non si preoccupano di conoscere un po’ a fondo questa fede religiosa e cultura che riguarda un abitante del mondo su cinque e rappresenta la seconda religione praticata nella nostra Italia; e pochi si chiedono cosa possono fare, al massimo protestano contro il governo perché non fa abbastanza. L’islam non può essere nato ed essersi sviluppato in modo prodigioso acquistando una tale forza numerica di credenti per quasi un millennio e mezzo, se non avesse un senso nei piani di Dio. Che naturalmente noi non conosciamo, ma che dobbiamo cercare di capire per non cadere nel baratro dello scontro di civiltà che sarebbe nefasto per tutti».

Le differenze tra le due religioni sono enormi e profonde. Padre Gheddo identifica tre punti attorno ai quali ruota il libro.

Primo: Le differenze tra cristianesimo e Islam (quali sono le differenze).

Secondo: L’Islam, per entrare nel mondo moderno deve riformarsi dall’interno (cosa deve fare e cosa dobbiamo fare per aiutarlo).

Terzo: L’Islam è visto come una minaccia per la nostra civiltà (come rispondere).

Dunque, la sfida dell’islam può essere anche una provocazione. E notate, questa non è una mia idea – asserisce padre Gheddo -. Molti vescovi che io ho intervistato, vedono nella crescita del massimalismo islamico una prospettiva, una provocazione che questa grande religione fa a noi cristiani perché ritorniamo a Gesù Cristo, alla nostra identità e vita cristiana.

Il volume di Padre Gheddo “La sfida dell’islam all’occidente” è disponibile presso le Edizioni San Paolo al prezzo € 9,00.

Walter visconti

 

Sagra della Paciarèla. Le novità di quest’anno

Numero 4-2007

La giostrina con i cavalli antichi, in piazza Roma. L’iniziativa ha riscosso notevole successo tra i più piccoli, che tiravano i papà per le maniche per salire sulla giostra e quando c’erano arrivati, non volevano più scenderne. Sempre in piazza Roma, in collaborazione con una gelateria di Melzo, è stata allestita una bancarella di gelati con possibilità di degustare come insolita leccornia uno speciale gelato alla paciarèla.

I giochi giganti, in via Badia, nel pomeriggio. Ecco un’altra bella idea, senz’altro da ripetere. In collaborazione con la ditta” Ludicamente” di Mantova, sul selciato della via sono stati allestiti un “Domino gigante”, con gli accattivanti rettangoloni neri di plastica, leggerissimi, posizionati dai bambini, dalle mamme e dai papà non senza accese discussioni sulla varie opportunità di accoppiamento;
il gioco “Forza quattro” che vedeva i bambini impegnati nella scalata del quadro verticale per riversarvi poi dall’alto le grosse pedine colorate;
un bellissimo “Shianghai” gigante con le grosse stecche di legno colorate lunghe circa un metro, che sfuggivano sornione ai vani tentativi di immobilità decretati dai bimbi con decisa autonomia.
Infine, una “Scacchiera gigante” attirava l’attenzione dei passanti più adulti, catturandoli al gioco millenario, con animati conciliaboli per concordare le mosse delle enormi pedine di plastica.

Intrattenimenti musicali non stop. Dalle 10.00 alle 19.00 la giornata è stata allietata da musiche di vario tipo presso la Sala Musica di Villa Daccò. In particolare nel pomeriggio si è avuta la coreografica rappresentazione denominata “Concerto aperitivo” con il gruppo “Nema problema”, che ha proposto interessanti musiche popolari di altri paesi.

Walter Visconti

 

Un intervento dei VOS

Numero 4-2007

Piccola cronaca. Domenica 23 settembre ho avuto la possibilità di vivere un’esperienza personale che può sembrare anche banale, ma che vorrei riferire affinché i cittadini di Gessate ne possano prendere atto. Durante la messa delle 9 e 30 in San Pancrazio una signora seduta proprio dietro di me ha avuto un malore. In silenzio si stava accasciando sulla sedia. È stato don Vincenzo ad accorgersene per primo dalla sua posizione dominante. La donna è stata portata subito fuori, adagiata sullo zerbino della porta, per attutire l’umidità dell’erba ancor fradicia di rugiada, appoggiata di schiena a una parete della chiesa. Ho guardato l’orologio. Quando tutto è cominciato erano le 9 e 45. Alle 9 e 50 uno dei presenti ha chiamato il 118, ha spiegato brevemente l’emergenza, ha fornito l’indirizzo esatto del luogo: via Manzoni a Gessate, davanti alla chiesetta di san Pancrazio, all’altezza di via San Giuseppe, in prossimità della statale 11, all’incocio per Gessate-Bellinzago, il luogo era aperto e accessibile, riconoscibile dal capannello di persone che avrebbero atteso l’arrivo dell’ambulanza. La telefonata è stata breve. L’interlocutore ha fatto alcune domande chiave sulle condizioni della donna: se era ferita, se perdeva sangue, se era cosciente. Alle 9 e 58 si è sentito l’urlo di una sirena in avvicinamento. Alle 10 l’ambulanza dei VOS di Gorgonzola sbarcava sul posto la squadra di soccorritori composta da due uomini e una donna. Subito il responsabile del gruppo di soccorso sottoponeva la donna ad alcune sollecitazioni visive, e a domande (se sentisse dolori al torace o in altre zone del corpo, avendone cenni di diniego), di cui valutava le pur flebili reazioni e risposte. Contemporaneamente le veniva misurata la pressione arteriosa, ed eseguito un prelievo ematico per valutare il tenore glicemico nel sangue. Dalle indicazioni ricevute, il responsabile del gruppo decideva di portare la donna all’ospedale di Melzo per controlli. Quindi intervenire la barella (già predisposta in precedenza), la donna veniva caricata in ambulanza e portata via. In sintesi possiamo dire: dalla telefonata al 118 all’arrivo dell’ambulanza dei VOS sul posto, sono intercorsi meno di 10 minuti. Dall’inizio del malore in chiesa, all’intervento dei VOS sono intercorsi circa 15 minuti. Va rilevato che era domenica mattina, non c’era traffico sulle strade, e l’ambulanza è partita da Gorgonzola. Sono tre condizioni favorevoli che non sempre si verificano contemporaneamente. Comunque, credo si possa parlare di un intervento tempestivo ed efficiente.

Walter Visconti

  

La frase di dicembre

Numero 4-2007

Cercare di vedere le cose dal punto di vista di Cristo. Comportarsi da anticonformisti, nei limiti del possibile, o almeno in qualche occasione. Perché è dall’anticonformismo che più spesso emerge lo spirito innovativo indispensabile per l’incremento della qualità e per l’assicurazione dell’emozione. Walter Visconti

  

Gruppo Caritas di Gessate
25 novembre: Giornata della Carità Diocesana

Numero 5-2007

Domenica 25 novembre si è celebrata in parrocchia “La Giornata della Carità”. Nello stesso giorno nella sala Caminetto della Villa Daccò è stato allestito dal Gruppo Caritas di Gessate il Banco di Beneficenza, cioè una serie di oggetti e manufatti prodotti o procurati dai soci oppure offerti dai cittadini e messi in vendita a prezzi contenuti per la raccolta di fondi da distribuire ai bisognosi.

Il Gruppo Caritas di Gessate è stato fondato il 6 dicembre 1985 da 16 persone. A tutt’oggi conta, guarda caso, ancora 16 associati, anche se in 22 anni ci sono stati avvicendamenti. Inizialmente, e tuttora, il settore privilegiato dell’attività costitutiva sono gli ammalati e gli anziani, ai quali riserva le attenzioni richieste dalle singole situazioni, nella consapevolezza che anche i soggetti cosiddetti deboli sono protagonisti e portatori di risorse.

Gli anziani ed ammalati vengono periodicamente visitati, e una visita particolare è riservata loro nel giorno del compleanno dei 90 anni e oltre. In occasione delle festività natalizie vengono consegnati doni ai portatori di handicap nel paese. Una particolare attenzione è rivolta ai concittadini ospiti nelle case di riposo. Non vengono dimenticati quelli che si trovano in case di cura anche lontane da Gessate. Soprattutto da parte di questi ultimi avvengono spesso toccanti manifestazioni di affetto verso i visitatori della Caritas, e testimonianze di profonda nostalgia per la “loro” indimenticata Gessate. Caso emblematico è quello di una anziana signora ricoverata in una casa di cura a Torre Boldone che dopo 20 anni di lontananza dal paese affermava in una lettera che il suo più grande desiderio sarebbe stato quello di ritornare a Gessate.

Quasi tutti gli anziani ricoverati anche se “stanno bene” e “sono curati” hanno gli sguardi illuminati ogni qualvolta ricevono visite, e mostrano infinita tristezza al momento del congedo dal visitatore. «Devono sapere» – e questo è il messaggio importante che il Gruppo Caritas vuole trasmettere loro – «che finché le nostre forze non mancheranno, rimarremo sempre legati a loro con la certezza del nostro ricordo, con la preghiera, e saranno sempre neu nostri cuori». Tutta la comunità è coinvolta nella consegna di un messaggio augurale Natalizio agli anziani e agli ammalati. Con i giovani dell’oratorio si effettua la raccolta degli indumenti usati in occasione della “Due Giorni Giovani e Servizio”. Questa “Raccolta“ è stata pensata per far sperimentare ai giovani un servizio caritativo. In collaborazione con l’Assessorato Comunale, nella prima decade di settembre si effettua per gli anziani una gita/pellegrinaggio a un santuario mariano. Una volta al mese la Caritas si ritrova in casa parrocchiale con don Enzo per stabilire le iniziative. Gli obiettivi restano i più semplici: raccolta fondi per i poveri e beneficenza a chi ne ha bisogno, sotto qualsiasi forma. Non ci si limita ovviamente al territorio. Si possono destinare offerte in denaro alle popolazioni colpite da calamità o alle missioni operanti nel terzo mondo.

Credo che si provi un gusto particolare nel fare volontariato nella maniera più umile e modesta possibile, cioè partendo dal nulla e restando nell’anonimato. La soddisfazione riempie lo spirito come l’aria i polmoni. È il gusto di sentirsi più leggeri. L’anima è di per sé leggera, ma per salire con lei, prender quota e vedere le cose dall’alto, non basta il pensiero, occorre operare, servirsi di un aerostato, un marchingegno che necessita dell’azione umana; poi però si è di nuovo in balia del vento.

Il Gruppo Caritas di Gessate rivolge un appello ai giovani e meno giovani che vogliano offrirsi e contribuire alla attuazione di nuove modalità di servizio alla nostra comunità. Per coloro che vogliono partecipare è sufficiente contattare don Enzo.

Walter Visconti

 

Un volontariato “doveroso”

Numero 5-2007

Un “volontariato doveroso” è quello che ci preme dentro, quello che tutti noi possiamo e dobbiamo fare nella famiglia, ma anche nella società in genere, “ascoltandola” nell’ambito dei nostri affetti, o dove vediamo che c’è bisogno di aiuto alla nostra portata.
Di recente ho partecipato a un convegno proprio su questo tema di risonanza notevole (organizzato dall’Associazione Consultorio Familiare di Melzo), ne ho conservato traccia, e mi preme di riferirvene una sintesi nel pensiero di due relatori.

Il primo è Matteo Selvini, uno dei massimi esperti mondiali di Psicoterapia Familiare, il quale propone
“12 dimensioni per l’ascolto della famiglia”. Una raccomandazione preliminare. Il rischio è che l’ascolto crei una sensazione d’impotenza. La famiglia è un fenomeno iper complesso. È normale sentirsi sopraffatti. Ma non bisogna perdersi d’animo. Ma ecco il suo dodecalogo:

1) Struttura della famiglia
Per “ascoltare” occorre innanzi tutto analizzare ruoli e confini generazionali di una famiglia, capirne il funzionamento: organigramma, alleanze e vicinanze. Ci sono infinite differenze tra le strutture effettive e le strutture da “mulino bianco” ideali. Occorre individuare legami anomali, casi di padre assente, ruoli dei nonni, legami tra madre e figlio, distanza tra i genitori, abitudini strane.

2) Organizzazione del potere
In ogni famiglia sana c’è una buona distribuzione del potere. Occorre analizzare le distanze tra i componenti. Dislivelli di potere o coalizioni generano stati di sofferenza. Spesso lo schema ci riporta a famiglie dove uno comanda, dove un altro è considerato un deficiente.

3) Controllo e guida
Spesso nelle famiglie si opera un
a) estremo controllo dei genitori sui figli, o viceversa si concede
b) massima libertà ai figli. A funzioni diverse corrispondono patologie diverse. È un classico che nella famiglia di un anoressico ci sia un iper controllo, al contrario, certe famiglie di tossicodipendenti sono caratterizzate da mancanza di controllo e di guida. Il ruolo dei genitori è di dimensionare bene i controlli e la guida dei figli.

4) Preoccupazione
Nella fase di ”ascolto” occorre valutare se effettivamente un problema che si evidenzia merita attenzione o no, in pratica stabilire se un problema banale viene drammatizzato o se all’opposto, un problema serio viene banalizzato.

5) Conflitto
Ci sono famiglie, coppie, persone

a) senza conflitti, oppure
b) devastate da conflitti.
Sono due patologie opposte, ma altrettanto tossiche. È il campo attorno al quale sono nate le terapie di coppia, che significa cooperazione attorno ai problemi.

6) Empatia
Di fronte a un problema di un componente della famiglia gli altri sono

a) accoglienti, oppure
b) ostili. Se una persona ha dei sintomi e questi generano reazioni di “insofferenza” l’effetto è tossico. Occorre “ascoltare” per capire come superare un simile atteggiamento. Nei confronti della sofferenza purtroppo spesso l’empatia è una risposta normale. Sull’empatia in effetti ci dobbiamo interrogare tutti. Perché spesso proviamo fastidio o irritazione alla notizia di una patologia altrui?

7) Comunicazione
“Ascoltare” per stabilire la qualità della comunicazione. Spesso la mancata focalizzazione di un problema significa che la dimensione più rilevante nella famiglia è la confusione, o la “confusione comunicativa”. Cioè le persone parlano ma non si capiscono.

8) Chiusura/apertura verso l’esterno
“Ascoltare” per conoscere la posizione della famiglia (o di un interlocutore) verso l’esterno. Le statistiche sulla tendenza contemporanea ci dicono che la famiglia è più rivolta verso l’asse materno, cioè verso la famiglia della madre. Il legame privilegiato è quello figlia-madre.

9) Responsabilizzazione
Qui la polarità è:
a) responsabilizzazione, oppure
b) protezione. Il problema è quello di dosare quanto trattare i figli da adulti e quanto da bambini. Protezione, accompagnamento, ma fino a che punto? Responsabilizzarli troppo o trattarli come un infante. “Ascoltare” dunque i figli per capirne lo sviluppo e decidere quanto premere sull’acceleratore della responsabilità. È chiaro che entrano in gioco le etiche di culture diverse. La responsabilizzazione, si sa, è un fattore di rischio.

10) Giustizia
La dimensione “giustizia” è correlata a quella del “potere” del punto 2. Occorre individuare ed eliminare possibili ingiustizie all’interno della famiglia per eliminare le situazioni di sofferenza. Esempio: la donna fa un doppio lavoro, il marito lavora  molto meno. Le divisioni inique producono tempesta. In prospettiva sono fattori di rischio.

11) Paura
Se un componente vive nella paura rispetto a un altro componente, si genera una situazione di disagio. Un clima di sopraffazione, ingiustizia, violenza, minacce, equivale a una generazione di paura.

12) Mito (o misconoscimento della realtà)
Credere in qualcosa che non ha niente a che vedere con la realtà può creare deformazioni del modo di vedersi nella famiglia. Esempio classico: Ai figli maschi è noto che il papà ha relazioni extra coniugali da anni mentre la mamma (che forse sospetta) ne è tenuta all’oscuro. Riportare le persone ad un riconoscimento della realtà può essere una cosa molto utile, per sciogliere le sofferenze.

Il secondo relatore è Padre Franco Ghezzi, sacerdote, frate minore conventuale antoniano, direttore della Parrocchia “Beata Vergine Immacolata e Sant’Antonio di Kolbe/Corsica” che ci parla di

“Spazi di silenzio per l’ascolto e la contemplazione”.
Due auto di amici parcheggiano affiancate. Il primo che si ferma: «Comprati il navigatore satellitare». L’altro risponde: «Ho l’i-pod». È un’immagine veramente interessante che mostra come siamo ridotti.
Difficoltà di comunicare e ascoltare. Il silenzio è un lusso ormai, è un buco nero. Il silenzio è una realtà a più dimensioni. Il silenzio nel mondo d’oggi genera isolamento, paura, solitudine. C’è un silenzio del terzo mondo che urla, le cui genti sono in silenzio perchè esistiamo solo noi, perché sono obbligate a stare in silenzio, senza voce, senza volto, senza storia.
Alcuni momenti sono sognanti nel silenzio. I veri rivoluzionari non hanno il palcoscenico delle piazze ma vengono tutti dal silenzio. Gesù, trent’anni di vita e poi 40 giorni di silenzio nel deserto. Pensiamo a Paolo di Tarso che ha fatto i suoi tre anni nel deserto dell’Arabia. Potremmo pensare a San Francesco d’Assisi. Persone che hanno cambiato la storia le cui più grandi esperienze nascono dal silenzio. Le cose grandi vengono dal silenzio. Chi si immerge nel silenzio vive la creazione del primo giorno. Il silenzio obbliga a scavare, mentre di solito scivoliamo. Obbliga all’essenziale, all’unicità, come la poesia. I tre grandi libri fondamentali della vita sono leggibili solo nel silenzio: Cuore, Creato, Dio. Consiglio: fatevi 3, 4, 5 giorni di silenzio per recuperare il mondo. San Francesco, d’Assisi, fratello universale, il primo a lanciare un ponte verso i Musulmani, dove prendeva coraggio? Dal silenzio. Il silenzio obbliga a riconoscere, a ritrovare; si ascoltano le cose che sembrano non avere voce. Tutto prende un’anima nel silenzio. Noi non abbiamo perso l’anima. Dobbiamo solo ascoltarla. La solitudine è madre e custode del silenzio, che ci insegna a stare con noi stessi. Non sai stare con gli altri se non sai stare con te stesso, ma anche il contrario: non sai stare con te stesso se non sai stare con gli altri. Il silenzio ci aiuta a vivere il duplice movimento della vita. Non possiamo vivere continuamente a cuore aperto, occorrono pause. Il silenzio aiuta a cogliere ciò che vale. Alla fine facciamo tante cose inutili, perché non sappiamo cosa vogliamo. Non ci fermiamo ad ascoltarci, non ci ascoltiamo in profondità. Fermiamoci a prenderci cura di noi stessi! Ad alimentare la nostra anima, ad alimentare la nostra mente! Solo l’infinito riempie l’anima del nostro corpo. Tante situazioni di depressione sarebbero evitate. Ecco, il silenzio come spazio, come luogo dell’ascolto e della contemplazione. Incontro, ascolto, estasi. La Bibbia, maestra di vita, richiama l’uomo ripetutamente a due cose fondamentali, perché sia possibile poi il resto: al silenzio e all’ascolto. Il luogo del silenzio nella Bibbia è il deserto. L’imperativo è: ascolta! Una bella maglietta ad Assisi, poco tempo fa, riportava la scritta: “Dio c’è, ma non sei tu. Rilassati!”.  Bellissimo. C’è rumore in giro, e non abbiamo tempo di parlare. Parliamo con SMS, con bigliettini sul frigorifero, con messaggi vari. Parole e comunicazione. Reinventare insieme il silenzio, l’ascolto e la parola. Parole e comunicazione hanno bisogno di essere educati. Questa educazione deve essere “voluta”. Nessuno ci educherà a questo. In mezzo alla nostra cultura del consumo, della spreco, della corsa verso l’inutile, figurarsi se i burattinai che stanno facendo girare questa giostra stupida si preoccupano di farci fermare un momento. Quando l’ascolto è vero libera nell’animo qualcosa che stava nascosto. “Un giovane non parlava mai. Il giovane un giorno si è innamorato, un giorno ha ascoltato, ma ha ascoltato in maniera così libera e liberante, che ha liberato pure sé stesso”. Un ascolto vero genera nuova vita. Un ascolto vero fa sentire l’altro nella sua unicità, nella sua bellezza. Un ascolto vero fa giungere al cuore ciò di cui Dio stesso ha bisogno. “Io parlavo così perché tu mi ascoltavi”. “Io parlo da come tu mi ascolti”. ”Se tu mi ascolti parlerò meglio al tuo cuore”. Ascoltare per vivere la verità che è l’amore. L’amore bisogna accoglierlo e capirlo nel silenzio. Noi “facciamo” per apparire più grandi, ma quello non è l’amore. Comprendiamo come il silenzio e l’ascolto non siano altro che una grande lezione d’amore!

Quanto sopra è tratto dal convegno “Modalità diverse di ascolto della famiglia” tenutosi a Milano il 10 novembre 2007 all’Auditorium di via Pisani Dossi, 25.

Walter Visconti

 

ARTICOLI 2006 - 1° SEMESTRE

Vincitore del concorso “Miglior Vetrina Natalizia” –
“Bar Tabaccheria” di Sala Adelio in via Badia

Numeo 1-2006

 

Un barista con la passione del presepio. Chi l’avrebbe mai detto. Adelio è cultore di modellismo. È stato stimolato a mettersi a fare i presepi da un certo Francesco Bertini, assiduo frequentatore del Bar, con cui condivide l’interesse per il modellismo. Il premio dunque l’ha vinto per il presepio esposto in vetrina, semplice, sobrio, e ben costruito. Le statuine di legno sono vecchie, le ha comprate a Ponte di Legno vent’anni fa, adesso costeranno un occhio. L’attuale Bar di Adelio Sala si trova in via Badia a poche decine di metri più a nord e sullo stesso marciapiede dall’ex “vecchio bar del totocalcio” ormai chiuso da tre anni, e ne costituisce la naturale continuità, sia come caratteristiche, sia come clientela. L’ambiente è lo stesso, i discorsi sono gli stessi, le amenità le stesse: calcio (Milan, Inter, Juve), pensione (possibilità e prospettive di andarci a cinquant’anni), politica (critiche al governo in carica), e in più, se si può dire, con attesa e malizia, le immancabili soffiate sulle “pubbliche relazioni” della cittadinanza (quella non presente al Bar, ovviamente), e i giri di valzer lento che ti attendono, e complimenti che ti sfiorano, gli assensi che ti giungono. Tutto crea simpatia e alimenta il buonumore. Quando entri, per dei momenti le turbative se ne vanno, ti lasciano libero, fin tanto che resti seduto a consultare con calma il Corriere, o la Gazzetta, o a giocare la schedina del totocalcio. Ogni tanto è anche lecito esagerare; al Bar la gente facilmente digrada su ciò che pensa, e Adelio lascia fare, ma intanto controlla e limita, con discrezione, civilmente. Il signor Sala, come ha saputo dimostrarsi propositivo con il presepio, così lo è stato anche con il proprio esercizio. Il locale si presenta totalmente rinnovato, e si vede. Ed è più funzionale per i clienti, offre più comfort. Ma l’importante è che sia accogliente e familiare, proprio come eravamo abituati a gustarlo nella sua precedente versione, che, si può dire, è come se fosse stata superata dalla storia. L’unica differenza è che d’inverno non si notano più i vetri appannati delle finestre, e d’estate chi entra si ritrova in un luogo climatizzato. Il banco, disposto a semicerchio, è invitante, dà un senso di piacevole movimento al locale. Le tre luci delle vetrine assicurano spazio e ariosità. Vi si riconoscono tre ambienti principali: uno più prospiciente la zona della ricevitoria, adatto alla consultazione dei giornali, alle discussioni sportive; un secondo all’estremità opposta del locale, più isolato, adatto alla lettura e al relax; un terzo, delimitato da un sopralzo, rimane più intimo e appartato. Non manca la TV appollaiata, per chi, davanti a un aperitivo o a un caffé non può tralasciare di dare un occhio alla cattiva maestra.

Il signor Adelio alla fine riparla di presepi, poiché ne è un vero cultore; li visita ovunque, a Verona, a Ponte san Pietro, al Museo del Presepio di Dalmine, a Pozzuolo, a Groppello. Mi confida che è iscritto all’”Associazione Amici del Presepio” con sede a Roma.
Avanza anche una proposta: Istituire una mostra di presepi  nella chiesa dell’Addolorata per il prossimo Natale, che vada dal 15 dicembre fino al 15 gennaio, festa di san Mauro. A Gessate ce ne sono diversi e di molto validi nascosti in molti luoghi privati, - mi assicura - , che meriterebbero di poter essere visitati. La mostra durerebbe un bel mese, e verrebbe valorizzato lo spazio della chiesa dell’Addolorata, che si presta a questo tipo di eventi. Così si capisce come si è giustamente guadagnato il premio per la miglior vetrina natalizia.

Walter Visconti

 

 

 

Gruppo Artisti Gessatesi
Mostra di Natale - 17 e 18 dicembre 2005.

Nunero 1-2006

 

Si è svolta nei locali Stalun, in via Cittadella, la seconda mostra organizzata dal Gruppo Artisti Gessatesi. La Mostra è riuscita molto bene in quanto il numero di visitatori è stato alto e i commenti da parte dei cittadini intervenuti sono stati positivi. Anche la collocazione nel locale “Stalun” è stata indovinata. Vale ribadire che questo Gruppo nasce anche per volontà dell’Amministrazione Comunale. Vorremmo che si affermasse come necessità e vanto per Gessate, e che progredisse sia nella qualità delle opere sia nel numero degli aderenti, tenendo sempre presente lo spirito ispiratore che vuole essere, per l’artista, l’esclusività del gusto dell’esposizione, per il cittadino, il compiacimento di poter aderire ad eventi di qualità. La raccomandazione è che tutto venga inteso in modo positivo. Il bello del gruppo è anche l’amicizia che si crea.
Vale dire che questo gruppo riunisce già diverse personalità di notevole valore espressivo.

Vengono tracciati brevi profili degli artisti presenti alla mostra.

Luisa Necchi.  Agli inizi prediligeva la pittura: olio su tela. Amava raffigurare situazioni d’interni, trasmettere ciò che provava attraverso rappresentazioni di personaggi poveri. Viene attratta da cortili vecchi, da biciclette arrugginite, anche da paesaggi ma sempre in spazi ristretti, dalla  persona e dalla sua miseria, insomma da situazioni di povertà, da ciò che è strapazzato, ammuffito. Da 8, 9 anni si dedica alla pittura su porcellana. Lo splendore della porcellana dipinta rappresenta per lei un sogno infinito, da rincorrere sempre. Si usano colori a polveri e anche acquerelli, che danno effetti di maggior trasparenza. I colori vengono assorbiti attraverso varie cotture, di solito tre, a diverse temperature, a seconda dei colori da fissare: i marroni e i rossi non oltre i 740 gradi, mentre per i blu si arriva a 800 gradi. Inoltre le cotture trasformano i colori. Insomma le variabili sono tante. Questo tipo di arte la affascina. La complessità della tecnica richiede uno studio continuo. Non riesce ancora a coltivarla come vorrebbe. Questo fatto la fa soffrire e la stimola.

Iwona Potrac. Ha cominciato a dipingere i primi quadri a olio nel 1978. Ha fatto qualche mostra in Germania. Predilige i paesaggi e i fiori, con tecniche ad acquerello e olio. Sull’acquerello usa anche la china e i pastelli a olio. Le piace raffigurare l’anima della natura, sia con composizioni floreali abbozzate, sia con fiori inesistenti. Dipinge paesaggi con betulle del Nord-Europa impressi nella memoria dei suoi viaggi in Germania, Polonia, Francia. E poi ancora villaggi, colline, legno, fiori, tutti temi che non hanno bisogno di patria. Sono quadri che esprimono tranquillità, ricerca di un sogno non infranto dal risveglio, che continua nella sua essenza, di speranza, di didascalica proposta. Tra i quadri rappresentati alla mostra, che sono tutti inediti, anche un paesaggio marchigiano, vicino al mare.

Elisa Frigerio. Nasce con la grafica, poi affina varie tecniche accademiche. Ben presto viene attratta da un discorso di ricerca della sintesi e degli accostamenti. «Giochi, sbalzi, trasparenze. La forma non interessa più. Ognuno deve conoscere sé stesso, la sua meta, per poi cambiare, raggiungerla. Tutto è disciplina. È una cosa molto emozionante; è quello il fascino. La pittura richiede delle scelte. È un fatto anche educativo. Sintesi, pulizia. Si utilizzava molto la grafica nella Pop-Art, poi è cambiato tutto: profondità, armonia, sezione aurea. La scienza affascina l’arte e la influenza. Conseguenza: togliere dal quadro ciò che non serve». Elisa è associata al laboratorio “Giallo Ocra” di Cassano d’Adda e all’associazione “Artisti del Quartiere Garibaldi di Milano”. Progetta e conduce vari laboratori artistici e/o centri diurni e sociali, spazi culturali ecc. Espone in numerose mostre di pittura e personali. Usa tecniche tradizionali quali: china, grafite, sanguigna, pastelli, olio, acquerelli. Predilige la ricerca artistica spaziando e sperimentando nuove possibilità espressive. Pittrice istintiva: «Il quadro lo devi sentire». Ama Cezanne, che giudica il precursore dell’arte contemporanea, l’annullatore della prospettiva “classica”. www.gialloocragallery.it

Vincenzo Corti. Pittura a olio su ceramica, a olio su tela, miniature su legno. Ama lo studio delle profondità, che rende con accurate riprese sovrapposte. Ha una visione incantata, ammirata della natura, che rappresenta con meticolosità e metodo, attraverso una pittura di stile manieristico. Dipinge spazi tridimensionali occupati da buie gallerie o lugubri anfratti appartenenti a giardini o boschi misteriosi, con piena capacità di assoluzione delle problematiche espositive.

Enzo Leoni. Pittore dalla personalità schiva e modesta. Il giudizio di sé appare oltremodo critico, e andrebbe perciò subito bilanciato con un giudizio esterno (oggettivo) altrettanto valido. Produce quadri che hanno spunti di indubbio talento. Dice che ha fatto cose più belle, più interessanti soprattutto verso i 25/30 anni. Può darsi che abbia ragione lui, ma, non lo prenderei proprio alla lettera. «La pittura iniziale ha avuto una prima evoluzione verso una fase di semi-astrattismo (ad es. dipinti sopra quadri non ultimati con effetti anche sorprendenti)». Nel passato ha avuto ampi periodi improduttivi. Dopo ogni pausa, per riprendere la mano usa il paesaggio. Pittore nostrano, vedi il dipinto con l’Adda a Gera con passerella in primo piano. Ammira molto Brugel, lo ha studiato a fondo. «Spero che il 2006 sia la culla di opere di maturità, che abbiano un grado estetico accettabile ma anche significati più profondi sia a livello sociale che pittorico»: Viste le capacità, lo speriamo anche noi. Lo attendiamo fiduciosi.

Roberto Villa. Artista versatile, molto considerato dai Gessatesi per la linearità e pulizia dei dipinti. Si adatta a comporre opere di vario genere. Ricordiamo il Villa degli uccelli, delle dame, delle tigri, dei santi, dei pontefici, della Gioconda, del Palio. Predilige l’olio su tela. Alla recente mostra abbiamo ammirato una scultura compositiva miniaturizzata delineante un villaggio medioevale con natività. Ha un carattere carico di vitalità ed entusiasmo. Attualmente è infervorato da un’opera commissionatagli di recente: una riproduzione pittorica dalle notevoli dimensioni che lo impegnerà per alcuni mesi.

Ezio Obizzi. Abile nella scultura e pittura lignea. Riesce a fare emergere figure da blocchi e tavole di legno. Ha lavorato anche su marmo. La filosofia di fondo è di non darsi troppa importanza. Adora recuperare materiali di scarto, principalmente legna, congiunzioni di rami, pezzi di tronchi d’albero, pezzi di cedro lavorato, avanzi di segheria. L’idea è di recuperare la vecchia tecnica del “pirografo”, che nelle alpi è usatissima e antichissima. Molte opere sono ispirate dalla forma stessa del reperto iniziale. «A un certo punto si vede la figura uscire dal legno ancor prima che ne esca. Bisogna aiutarla a uscire. In montagna, da solo, con il tempo a disposizione, e senza televisione. Il bello è quello». 

Oscar Visconti. Ama il disegno fin da bambino. Si definisce disegnatore, più che pittore. Cuore talentuoso. Disegna per scaricare tensione, per sentirsi libero. Esprime un tratto anche spregiudicatamente sicuro. Si forma attraverso ampi cicli evolutivi. Predilige il bianco e nero in simil china. Disegna incisive scene di movimento, che inducono a profonde riflessioni. Indica messaggi tumultuosi nelle pose di oggetti e nei gesti di persone e animali. Anche nella pittura a tempera dimostra accostamenti ricercati di tinte decise: sforzi e sfoghi nei colori. Si notano proposte di aperture e significati nelle scelte di evidenze particolari. Suggerisce vicende e avventure, nel segno incondizionato che lega la rappresentazione grafica alla comunicazione letterale o vocale. Nelle opere, continuando nella ricerca,  trova il mezzo per conseguire padronanza, auspicando nuove scoperte di sé e del mondo.

Roberto Cristina-Reggiani. Dipinge da circa 20 anni. Usa tecniche miste, in prevalenza china, acquerelli, acrilici. Pittore dal messaggio seducente e misterioso. Alcune rappresentazioni sono collocabili tra l’espressionismo astratto e informale, figure quasi incise, scolpite, inquietanti, con mobilità raccolta, tracce di movimenti immaginari, a volte violenti, a volte composti. Qui i colori sono decisissimi e rasentano la volontà di imprimere solchi o tracce indelebili. Altre prove, all’opposto, interpongono diafanità con lievi colori sfumati a didascalici frammenti di paesaggi incerti. Il tutto viene presentato con cura ermetica e studiata della composizione per liberare la volontà interpretativa del visitatore.

Rita Moretti. È pittrice da sempre, intendendo la pittura come vocazione e bisogno di sfogo interiore. Predilige la tempera su carta e su tela. È abile scultrice di statuine in cartapesta per i  presepi, di figure allegoriche per i carri di carnevale e per il palio del paese. Non ha praticato alcuna scuola: è dotata di fantasia e creatività. È geniale nelle soluzioni e possiede una spiccata manualità. Dipinge in casa non avendo un laboratorio. Non produce mai per vendere, bensì per il rione di san Pancrazio. Uno dei pittori preferiti è Van Gogh, di cui, in alcune composizioni paesaggistiche e floreali si nota il tentativo di emulazione, avvicinando appunto i caratteri dell’impressionismo, seppure mantenga una più chiara definizione nei contorni e nei colori.

Matteo Lausetti. È autore finissimo di gioielli, sculture, quadri e oggetti d’arte di vario genere. Alla mostra ha presentato in prevalenza pregiate sculture in lega argento-rame talvolta con parti in ottone, con abbinamenti di pietre preziose quali ambra, citrino, corallo, perle, giada, lapislazzuli, madreperla, agata, raffiguranti di volta in volta collane con inserti centrali di pietre o fiori scolpiti, sempre in argento-rame o in onice, ciondoli, nonché collane a drappeggi, bracciali e anelli. Le composizioni offrono sensazioni di trascendenza, distinguendosi dalla lucentezza dell’oreficeria più tradizionale, per trasmettere pienamente il senso di plasticità della modellazione, inframmezzata dai bagliori modulari delle pietre incastonate. www.lausetti.it 

Walter Visconti

 

 

Informazione e Comunicazione

Numero 2-2006

 

Informazione. Occorre dare il buon esempio in mille modi. Mantenere quelli  che già funzionano. In più metterne in pista degli altri, con incisività caparbia e capillare. Ma con discrezione, senza essere invadenti. Bisogna rispettare necessità e tendenze di ognuno. Per ottenere lo scopo ci vuole umiltà. L’informazione va fatta in modo gratuito e modesto, senza pretendere ritorni. La struttura divulgativa è un servizio, e come tale va assolto. Il premio consiste nella soddisfazione per la riuscita stessa del processo. L’informazione deve essere obiettiva. E questo è un punto dolente. Deve essere anche libera. E questo è un altro punto dolente, che può contrastare col primo. Accidenti! Ma quanti punti dolenti vi sono! Giusto! Il fatto che sia così difficile informare dimostra quanto sia importante e delicato comunicare.

Intendo dire che la notizia di un semplice fatto di cronaca, o del modo in cui si sia risolto un evento, provoca in sequenza un’emozione, una reazione, un ragionamento, una opinione, un giudizio. Quel giudizio che, ascoltando l’insegnamento di Gesù non dovremmo dare, ma che è, obiettivamente, difficile non dare. Quindi, a seguito di ogni comunicazione ricevuta noi elaboriamo una risoluzione. La nostra intelligenza ci induce a farlo. E il comportamento che ne segue resterà condizionato. Insomma ci sono talmente tante ragioni da far spavento che dimostrano che la comunicazione è una faccenda delicatissima.

Comunicazione. Avviene tranquillamente centinaia di volte al giorno. Le effettività della vita derivano dalle informazioni recepite e dalle espressioni trasmesse. Si può dire che la comunicazione è il bene più importante a disposizione del genere umano. Dalla semplice chiacchiera alla forbita conversazione, dal vocio sommesso agli eclatanti paroloni, dagli appelli demagogici alla posta elettronica via Internet, dalle semplici telefonate ai messaggi cosiddetti SMS, per fermrci qui, l’informazione passa da una persona all’altra con i mezzi più svariati che vanno dalla viva voce ai più sofisticati strumenti informatici. Un attimo. Si può dire che tutto ciò che sulla Terra acconsente alla vita si sviluppa attraverso la: comunicazione. Proviamo a pensare a qualcosa che non dipenda dalla comunicazione. Non troveremo alcunché. L’uomo, che… parla, si ingegna per trovare mezzi sempre più veloci, potenti, persuasivi, onde trasmettere il pensiero. Ecco sorgere la scrittura (l’alfabeto, la stampa, i libri, la lettura); la musica (le note, il pentagramma, gli strumenti, la composizione, l’esecuzione); le immagini (pittura, scultura, parlando di espressioni figurative analogiche, la multimedialità, considerando la tecnologia del digitale). Le forme primarie di comunicazione menzionate (parole, suoni, immagini), subiscono un costante sviluppo a causa dei “mezzi” di divulgazione sempre più sofisticati resi disponibili dalla tecnologia: telefono, radio, televisione, posta elettronica, internet.

Walter Visconti

 

 

Globalizzazione: quale? Il dialogo è aperto.

Numero2-2006

 

Globalizzazione, dimmi, cosa sei?  È inutile girarle in giro cercando di osannarla o di denigrarla. Innanzi tutto occorre studiarla, comprenderla, definirla. Definire la G è un’impresa assai ardua. È possibile cercarne la definizione su un buon dizionario aggiornato, ma poi rimarremmo egualmente delusi. Perché? Perché le definizioni di G possono differire di molto, dipende dai punti di vista con cui la si guarda e la si giudica. Un noto scrittore insegnava: per definire un vocabolo conviene prima concentrarsi sul significato, ricavarne delle sensazioni, infine descrivere a sé stessi tali sensazioni; dalla loro descrizione si trarrà lo spunto decisivo per definire correttamente il vocabolo. Nell’aprile 2002, in un convegno tenutosi al Cine Teatro don Bosco di Gessate sul tema “La Globalizzazione dopo l’11 settembre”, condotto da padre Gian Paolo Salvini, venne riportata la seguente definizione, elaborata dall’OCSE: La G è un processo attraverso il quale mercati e produzione nei diversi paesi diventano sempre più dipendenti tra loro a causa della dinamica dello scambio di beni e servizi e attraverso movimenti di capitali e tecnologia. È una definizione valida, però è alquanto “tecnica”. Sono trascorsi più di tre anni da quell’evento. A che punto siamo?

La G sta condizionando la civiltà fino alle estreme conseguenze, sia positive sia negative. Essa monopolizza le attività centrali della società:  il sistema bancario, la gestione delle Compagnie, i grandi archivi, le comunicazioni. Tutto. Ma in ogni campo la G presenta delle contraddizioni. Informatizzazione: la facilità di divulgazione di dati contrasta con la crescente necessità della loro salvaguardia. Comunicazioni: la facilità di spostamento di persone, cose, animali, aumenta le possibilità di contagi, malattie, inquinamenti. Industria: la potenza dei programmi impiegati contrasta coi pericoli di black out. Commercio: aumenta la competitività e si riducono i costi ma aumentano consumismo e sprechi. Morale: grandi benefici, ma grandi pericoli. Oppure: effetti benèfici sì, ma legati a effetti deleteri. La G in definitiva si presenta come entità dal duplice potere: di assemblamento ma anche di frantumazione delle cose. La G si è rivelata (finora) un fenomeno inarrestabile, frutto della evoluzione tecnologica, che quindi è doveroso accettare, ma di cui bisogna saper sfruttare i lati positivi, e di cui occorre arginare quelli negativi. Il paragone con la Rivoluzione Industriale sorta in Inghilterra negli ultimi decenni del ‘700, che prese le mosse dalla produzione dei tessuti, sollecitata da una forte espansione della domanda, è facilmente proponibile. È l’ipotesi più attesa. Ma qualche autorevole filosofo ammonisce: la storia non si ripete. Ogni volta dà l’impressione di ripetersi, ma è un ‘finto’ ripetersi. In realtà è un proporsi nuovo, ingombrante, sorprendente. In tal caso si tratterebbe di stabilire come domare la G, come impiegarla, come sfruttarla.

Ma è proprio così? Insomma, la G è qualcosa di fantastico, di cui andare fieri o… “Si stava meglio quando si stava peggio”?
L’insegnamento dei modelli passati non deve trarre in inganno. Una corretta visione ha da essere sempre presente e purificata per mantenersi significativa e autorevole.
Ordunque! Giovani e meno giovani, che ne pensate della G? Il dialogo è aperto.

Walter Visconti

 

 

La grande nevicata di gennaio 2006

Numero2-2006

 

La perturbazione era annunciata. Iniziò a nevicare nella mattinata inoltrata di giovedì 26 gennaio, prima debolmente, poi quasi subito, con maggiore intensità. Alle due del pomeriggio un manto uniforme di alcuni centimetri copriva il panorama. La nevicata continuò per tutto il giorno. In serata si verificarono ingorghi colossali lungo i percorsi critici dell’interland milanese, con code chilometriche sulle strade. Intanto lo scenario di Gessate mutava lentamente e andava assumendo le forme incantate e melodiose delle favole fatate. Le larghe falde scendevano lente nella notte; la bianca e fresca coltre produceva una luce pallida e soffusa. Il manto cresceva inesorabile. La sua morsa uniforme, delicata, leggera, si chiudeva sui giardini, sui prati, sulle auto parcheggiate. La luce dei lampioni era velata, le ombre indecise e vellutate, le tenebre non erano profonde. I rumori restavano attutiti.

Il mattino che seguì sorse fiducioso; il chiarore si impadronì del giorno senza clamore e riconobbe ancor più a stento i contorni delle cose. Guardammo di buonora dalla finestra con ansia e curiosità. Tutto era sepolto ormai, le distese delle strade immacolate, senza orma (impronta) alcuna dei passaggi. Veniva voglia di correre giù a incidere per primi il fresco manto. I neri rami delle piante sostenevano in bilico la neve. Le reti delle siepi, le griglie dei cancelli, ogni esile forma aveva un cumulo in precario equilibrio su di sé. Nel mattino inoltrato di venerdì, a 24 ore dall’inizio, la nevicata continuava, ancor più fitta, intensa e regolare. A breve distanza la visione sfumava in una impenetrabile cortina biancastra. I fiocchi di neve sembravano riempire tutto. Lo spettacolo era maestoso, da ammirare, con rispetto, nel silenzio. Il traffico era quasi inesistente. La gente si spostava indecisa al centro delle vie, per non affondare le ginocchia nei cumuli addossati ai marciapiedi creati dai primi spalaneve. Si udivano le ruote delle rare auto battere il manto fresco coi cigolii delle catene. E sordi tonfi annunciavano lo schianto al suolo della neve caduta dai rami.

Proprio al culmine della nevicata, gli abitanti della zona a ridosso del metrò assistettero a un evento inusuale. Quel mattino udirono all’improvviso un tintinnio, in lontananza, prima lieve, attutito dai vetri doppi, poi distinguersi sempre più dai rumori abituali. Attratti da quel fruscio di campanelli e dal tramestio di passi, si affacciarono alle finestre, e videro un folto gregge procedere per via san Pancrazio. Le pecore, i cani da guardia, i due pastori, per brevi attimi sfilarono sull’inedito palco offerto dalla scena innevata, e la occuparono interamente; poi, così come erano venuti, sparirono nel nulla alla fine della strada, lasciando come traccia una distesa di neve smossa. Per tutto il pomeriggio di quel giorno, i fiocchi scesero abbondantemente; solo verso sera il fenomeno si attenuò, e finalmente cessò, dopo aver perseverato ininterrottamente per 36 ore. Solo allora il paesaggio smise di gonfiarsi.

Walter Visconti

 

 

Manifestazione Storica: Novità in vista

Numero 3-2006

 

Ci sono novità in via di sviluppo per quanto riguarda la Manifestazione Storica. È in fase di studio la possibilità di un cambiamento. Non si vuole abolire certo la recita della “disputa” col Bonesana, tanto cara ai Gessatesi. Però si pensa di dare spazio anche ad altre vicende di cui Gessate è per così dire “culla”, anche per dare un carica di novità e curiosità alla sagra del paese.

Paolo Leoni annuncia il progetto con grande entusiasmo. Si vede che è contento: «Ammetto che al primo impatto la notizia potrebbe suscitare qualche perplessità, ma confido che verrà accolta molto bene. Bisogna che i Gessatesi però si abituino all’idea». Mi incuriosisco sempre più e lo invito a spiegarmi tutto. Lo fa con grande disponibilità. «In pratica – mi spiega - il nuovo palinsesto passerà per la direttrice Beccaria – Manzoni. All’inizio (come inizio si intendono i primi anni), si pensa di evocare la figura di Cesare Beccaria, sia dal lato umano, sia come meriti letterari. I punti focali da sviluppare sono essenzialmente tre. 1) Discorso sulla figura del Beccaria come uomo. 2) Discorso sulla statura della sua opera. 3) Discorso sulla amicizia col Verri e sul viaggio a Parigi».

Continua: «I fatti, gli spunti, le vicende che si intrecciano e che forniranno il materiale per l’interpretazione teatrale sono tanti. E poi, approfondimenti, ricerche, proposte nuove verranno dai cittadini. Si vorrebbe portare questa innovazione nelle sagre del 2007 e 2008 in occasione della XX edizione. Poi, negli anni a seguire, si alternerebbero, di volta in volta, la rievocazione della disputa con i Bonesana e una rievocazione delle vicende del Beccaria. L’evoluzione naturale porterebbe poi a sconfinare dal Beccaria fino alle vicende Manzoniane, legate sia al Manzoni stesso, alla sua vita, ai suoi trascorsi a Gessate, sia al romanzo dei Promessi Sposi. Ma parlare di questa fase successiva è ancora prematuro. Meglio un passo alla volta». Insomma, questa è l’idea nuova. Che ne pensano i Gessatesi?

Paolo Leoni avverte che c’è da lavorare parecchio. Si cambia secolo, poiché si passa dal 1650 circa alla seconda metà del 1700. Occorrono nuovi costumi. Si devono studiare i carteggi, le lettere, documenti. Il materiale, disponibile in biblioteca, è notevole: ci sono dieci tomi messi a disposizione da MedioBanca. Il numero di persone coinvolte nelle recite sarebbe tra 15 e 18. Si tratta di un’innovazione non indifferente. Pertanto è meglio cominciare per tempo ad aprire il discorso sui vari passaggi di avvicinamento a questa nuova tappa. Ma bisogna farlo con pazienza, maestria, devozione, meticolosità. Intanto speriamo che quest’anno, durante la 35a Sagra, non piova.

Walter Visconti

 

 

Mondiali  di Calcio 2006– Un augurio per l’Italia

Numero 3-2006

 

Dal 9 giugno al 9 luglio: un mese esatto di calcio mondiale, di pallone puro. Per depurarci da tutte le forzature del calcio dei “club”. Il tifo di “club” ispira spesso rivalità, astii ingiustificati, sfoghi spesso rozzi, triviali. Dicono che i Milanesi (e circondario), tra tanti sport, capiscono solo di calcio. E hai voglia a sforzarti di dire che si cerca il bel gioco, la lealtà, che i gol sono tutto, che l’importante sono i giocatori. La realtà è: soldi tanti (per loro), stadi mezzi vuoti, pericolo di violenze, agonismo spinto ai massimi livelli, gente rintanata in casa davanti al video. Ma dal 9 giugno, per un mese, il calcio televisivo sarà giustificato. Occorrerà immedesimarsi in una situazione ormai anomala: una squadra composta da soli giocatori italiani; una rosa di soli 23 giocatori (e non di 35-40); un torneo intenso concentrato in un breve periodo. Tutte cose a cui non siamo abituati. Un piatto particolare, che assaggiamo solo ogni due anni (Mondiali ed Europei). Il torneo porta ufficialmente nome “Fifa World Cup Germany 2006”, ma a qualcuno di noi, sotto sotto, verrà spontaneo di chiamarlo ancora ed erroneamente “Mundial”, tanto siamo affezionali a quella parola ispanica dal lontano 1982 (da quando non vinciamo più il mondiale). È tempo di rinnovare i fasti, accidentaccio, e sarà la volta buona. Loro (i tedeschi) sono venuti pure a casa nostra a prendersi un titolo (nel 1990) e ora si trovano a quota 3 nelle vittorie dei campionati del mondo, a pari merito con noi Italiani. Ora, inchiniamoci pure al Brasile (che ha vinto 5 volte), a cui spetta giustamente il primato di nazione più forte del mondo, perché il Brasile è il paese calciofilo per eccellenza, e se lo merita. Dopo, però, viene l’Italia, e, perbacco, bisogna dimostrarlo. Primo, perché “Il Mondiale” si disputa in Europa e le squadre sudamericane non hanno mai vinto nel vecchio continente tranne una volta. Secondo, perché dobbiamo farci valere in territorio germanico per pareggiare il conto lasciato aperto a Italia ‘90. Così l’Italia arriverà a quota 4, e sarà la seconda squadra al mondo di tutti i tempi, dopo il Brasile. Tale impegno comporta una specie di turismo virtuale con cui sosterremo la nazionale: Inizieremo il viaggio da Hannover, per passare da Kaiserslautern, poi da Hamburg, e poi chissà, da Dortmund, Frankfurt, Munchen e infine Berlin. I 23 giocatori di Lippi possono farcela. La difesa è forte e attenta, il centrocampo è solido, sulle fasce c’è gente ispirata e grintosa, i rifinitori hanno qualità e potenza, le punte sono impetuose, qualche anziano di classe ed esperienza l’abbiamo, il portiere è una sicurezza. Soprattutto c'é la fresca novità in rifinitura che è De Rossi (in ogni mondiale ci vuole la rivelazione). Quindi siamo pronti e fiduciosi. Del resto non costa… esserlo.

Walter Visconti

 

 

Maxi schermo per i Mondiali di Calcio

Numero 3-2006

 

In occasione dei Campionati del Mondo di Calcio 2006, che si disputeranno in Germania dal 9 giugno al 9 luglio, verrà allestito nei giardini di Villa Daccò un maxi-schermo dalle dimensioni di 2,5 per 3 metri. L’intera struttura garantirà circa 80 posti a sedere al coperto. Un video proiettore, attraverso i canali satellitari di SKY, trasmetterà tutte le 64 partite dei mondiali. Gli orari di inizio spaziano dalle ore 15:00 fino alle ore 21:00. La finale inizierà alle ore 20:00 del 9 luglio.

Walter Visconti

ARTICOLI 2006 - 2° SEMESTRE

XXXV Sagra della Paciaréla e 18° Manifestazione Storica
(dal 22 settembre al 1° ottobre 2006)

Numero 4-2006

 

Abbiamo due novità: le “gemme dell’età adulta” (di cui parliamo a parte), come le ha affettuosamente battezzate il Presidente.
Ci sono buoni motivi per inorgoglirsi quest’anno alla Sagra di Gessate. L’elenco delle manifestazioni è ben nutrito, e si faticherà a coglierle tutte quante.

Il 22 e 23 settembre (venerdì e sabato) i panettieri di Gessate omaggeranno “pangialt e lacc”, a coloro che acquisteranno del pane.
Gli eventi si apriranno il 23 e 24 di settembre (sabato e domenica sera) con la IX Cena Rinascimentale, durante la quale si potranno gustare preparazioni specifiche ispirate a “I Gonzaga a Mantova” (periodo 1600-1700). Si verrà accolti dalle guardie in costume e accompagnati nella Sala di Villa Daccò. La cena verrà allietata da musici che suoneranno strumenti d’epoca. È un’esperienza da non perdere.
Il 28 settembre (giovedì sera) nel salone dell’Oratorio avverrà la presentazione ufficiale delle due “gemme” acquisite nell’età adulta dal C.M.S.:

La prima, consiste nell’attestato di assegnazione della Denominazione Comunale di Origine (DE.C.O.) al dolce tradizionale “Paciaréla di Gessate”. L’evento sarà organizzato in collaborazione con l’Amministrazione Comunale e il Gruppo Gastronomico Culturale dalla Martesana “Papillon”, famoso a carattere nazionale (è previsto un assaggio).

La seconda, consiste nella concessione del Patrocinio della Provincia di Milano alla Sagra della Paciaréla. È un riconoscimento di prestigio. Significa che l’evento verrà sponsorizzato dalla Provincia e che il depliant illustartivo della Sagra potrà fregiarsi anche dello stemma della Provincia 
Il 30 settembre (sabato pomeriggio e sera) inizieranno le manifestazioni della Sagra. Nel pomeriggio avverrà il bando del Palio per le vie del paese. In serata ci sarà la Rievocazione Storica della famosa disputa tra i Gessatesi e il Conte Bonesana, in forma itinerante, con partenza dallo “Stalun” in via Badia 23 e conclusione davanti alla Chiesa (ogni anno le recite interpretano particolari inediti sulla vicenda storica); a seguire gusteremo l’esibizione degli Sbandieratori di Asti in Villa Daccò (spettacolo sempre emozionante), e potremo assaggiare pane e salame e la Paciaréla.

Il 1° ottobre (domenica mattina e pomeriggio) in mattinata, durante la Messa nella Chiesa Parrocchiale si avrà la benedizione del Palio. Nel pomeriggio, in piazza Roma si potrà assistere alla esibizione del gruppo “Contraddanza di Rodano”; poi assisteremo alla “Grande Sfilata Storica” per le vie del paese; a seguire avverrà la disputa del “Palio del Pane”; infine avremo l’estrazione della “Lotteria del Palio” nel prato di Villa Daccò (per gli orari degli eventi, per conoscere i luoghi e gli itinerari dei percorsi vedere il programma dettagliato qui a fianco – è lo stesso del depliant illustrativo della sagra che dovreste già avere).

Walter Visconti

 

 

La DE.C.O. alla Torta Paciaréla di Gessate

Numero 4-2006

 

È stata assegnata la DE.C.O. alla Pacarèla. Finalmente la torta di Gessate verrà valorizzata come merita. Illustriamo sinteticamente la procedura di assegnazione.

Prima fase: approvazione del “Regolamento”.
Con la delibera n 35 del 30 giugno 2006 il Comune di Gessate ha approvato il “regolamento comunale per la valorizzazione delle attività agro-alimentari locali e ha istituito la De.C.O. (Denominazione Comunale di Origine”). Significa che è stato istituito un “albo” comunale delle produzioni agro-alimentari De.C.O. Per richiedere l’iscrizioni di un prodotto nell’albo occorre dare prove storiche dell’origine e presentare un “Disciplinare di produzione”. Una commissione si pronuncerà sulla ammissibilità della richiesta. Inoltre è stato istituito un “registro” dei produttori e distributori di prodotti De.C.O. Alla fine il Comune concede l’utilizzo del marchio De.C.O.

Seconda fase: Assegnazione della De.C.O. alla Paciaréla.
In occasione della XXXV Sagra, il Comitato per la Manifestazione Storica ed Il palio del Pane ne ha fatto richiesta al Comune di Gessate. È stata formulata la bozza del “Disciplinare di produzione della torta” (in collaborazione col Gruppo culturale-gastronomico “Papillon-Zona Martesana”). Il disciplinare è stato poi affinato dalla Giunta Comunale. É stato ideato il Logo. L’apposita Commissione nominata dalla Giunta ha ammesso l’iscrizione all’albo della Torta Paciaréla e ha depositato il Logo. La denominazione presente sul Logo De.C.O. è: “Paciaréla di Gessate”.

Il “Disciplinare di produzione”.
Il “disciplinare” è un testo in cui vengono dichiarati ufficialmente: il sistema di identificazione, gli ingredienti necessari per produrlo, la descrizione del processo produttivo, le caratteristiche del prodotto, le norme di confezionamento e commercializzazione, le regole di controllo e le sanzioni per le trasgressioni. È un allegato alla Delibera n° 35 del 30 giugno 2006 ed è conservato presso il Comune.

Identificazione della Paciarèla.
Da ben 35 anni la Sagra della Paciarèla propone questo dolce, che partendo dal riporto orale, pur non riscontrando una data certa, fa sì che la sua identificazione si perda nei tempi.
È comunque certo che la sua evoluzione trae origine dal famoso “paciarel” che ancora agli inizi del secolo XX  abitualmente veniva preparato e consumato in base alla più semplice delle ricettate: latte, pane raffermo e cacao (una punta di cucchiaio), il tutto a macero per circa un’ora, quindi versato in un tegamino e messo a scaldare tra la brace del camino.  Il “paciarel” era pronto. Da questo punto fermo il miglior supporto per la nostra ricetta perché latte e pane, pur nell’evoluzione da “paciarel”a “paciaréla”, erano, sono, e saranno prodotti qualificanti dell’agroalimentare.

Passando alle caratteristiche analitiche, oggi, di base, si utilizzano i seguenti ingredienti:
Latte, pane, zucchero, zucchero vanigliato, amaretti, pane d’anice, cacao, cioccolato fondente, uva sultanina, cedro candito, burro. È possibile unire altri elementi tipo scorza di limone, liquori vari, uova, sale fino, che servono ad armonizzare gli ingredienti di base al fine di trovare il profumo ed il gusto della “paciaréla”.

Walter Visconti

 

Ricetta della Paciarèla:
Recipiente capiente: mettere a macerare il pane nel latte.

A seguire unire amaretti sbriciolati finemente, gli zuccheri, il pane d’anice, il cioccolato (fatto sciogliere a bagno maria), il cacao, l’uva sultanina (messa a bagno con acqua tiepida e ben strizzata), il cedro a dadini e altri ingredienti.
Lasciare riposare per qualche ora e passare nelle tortiere bene imburrate, poi a forno caldo 180/200 °C per due ore o più in base alla consistenza dell’impasto.
Togliere dal forno ed aspettare un paio d’ore prima di travasare la “paciaréla”.

Comitato per la Manifestazione Storica ed il Palio del Pane



 

Serate  magiche al teatro tenda (Italia vittoriosa al Mondiale)

Numero 4-2006

 

Serate magiche a Gessate davanti al maxischermo, nei giardini di Villa Daccò. Un solido tendone. Un centinaio di posti a sedere. Tutto OK. C’è attesa. Alla partita d’apertura Germania-Costa Rica del 9 giugno, un venerdì pomeriggio, l’impatto è buono. Si preannunciano forti emozioni. Il Bar di Villa Daccò offre ottimo supporto logistico per i rifornimenti (di bibite e quant’altro) e per i festeggiamenti (tocchiamo ferro). La prova del fuoco si ha all’esordio dell’Italia contro il Ghana, il 12 giugno. La struttura è colma. Tifo da stadio. Il Mondiale procede a ritmo frenetico. Il popolo dei tifosi si affeziona. Il “Tempio-Tenda” porta buono.
L’Italia si qualifica per gli ottavi. In una sorta di turismo calcistico si passa per Hannover, Kaiserslautern, Amburgo. Con l’inizio degli ottavi le partite si diradano. Italia-Australia si gioca ancora a Kaiserslautern il 26 giugno, un lunedì, alle 17.
Ormai vesto sempre camicia azzurra, cravatta blu, stemma in oro della Coppa FIFA acquistato a Italia’90. Sento che ci sta. L’Italia passa per un rigore dubbio segnato da Totti al 90’. È la catapulta verso l’Olimpo. La gioia sotto il tendone è indescrivibile.
Il 30 giugno c’è da sbrigare la formalità Ukrajna (quarti) alle 21, di nuovo ad Amburgo. Nel ministadio parallelo di Gessate si registra il pieno assoluto. Abbracci, gioia, giusta euforia.
Si va in semifinale con Germania-Italia del 4 luglio, a Dortmund alle 21. Chi si arrischia a non seguire la partita al Tempio di Villa Daccò? Gli sguardi sono seri, vigili, guardinghi, la calma è falsa. Alla fine dei supplementari, l’urlo al primo gol dell’Italia si unisce a quello del secondo, un minuto dopo, al 120’.
Si va all’Olympiastadion di Berlino per la finale del 9 luglio, alle 20 e, in parallelo, al Tempo-Tenda di Villa Daccò a Gessate.
Folla straripante. È una lunga sfida psicologica, una contesa di sport e di nervi, con toni aspri, contro la Francia.
Il Tempio-Tenda è il luogo ideale per viverla a distanza, per parteciparvi col cuore.
I supplementari, i rigori. Non c’è fine. Il gol decisivo di Grosso. Tutto in 1 secondo, atteso per 10.000 secondi.
Non mi scorderò mai l’interminabile goooool urlato insieme ai i presenti. Ero con mia moglie e mio figlio. Ci siamo abbracciati, congratulati con pacche sulle spalle. Poi mi sono chiuso nella gioia. Osservavo tutto per non perdere quegli attimi e ottenerne un dì il ricordo. Si è compiuto ciò che doveva compiersi.
Coppa del Mondo a Noi inguaribili calciofili, e non ai presuntuosi allievi francesi. Il calcio ha una sua logica nascosta; questa volta non sono stati commessi errori e il premio finale è arrivato.
Dopo la rete segnata da Grosso che ha dato il titolo di Campioni del Mondo all’Italia, si è scatenato un putiferio. Erano passate da poco le 23. Mentre il portiere Bartez stava accovacciato ai piedi del palo di destra in silenzio e gli azzurri a Berlino impazzivano per il campo, a Gessate in via Badia si radunava un popolo festante in uno sventolio di tricolori e maglie azzurre. La concentrazione dei festeggiamenti si aveva davanti alla Villa Daccò e sulla piazza della chiesa antistante. Bambini avvolti nella bandiera accompagnati dai grandi, giovani euforici con trombe e sirene, anziani che assentivano felici. Gente che applaudiva al lento passaggio delle auto sotto un immenso tricolore. Clacson a tutto spiano, sventolii dai finestrini, saluti a braccia alzate tra gente sconosciuta, segni d’intesa e di vittoria. Perfino trattori con fari abbaglianti nella notte e Harley Davidson a sparare bordate dallo scappamento.
Nei giorni seguenti, l’euforia da Campioni del Mondo appare e si propaga ovunque per le strade di Gessate. Tricolori, maglie, striscioni, invadono piazze, strade, balconi, finestre. Pennoni nei cortili delle fabbriche e alberi nei giardini delle ville, cancellate, portici, ogni luogo si tinge dei colori nazionali. Le vetrine dei negozi, i bar, le edicole espongono manifesti della Nazionale.
Anche il Tempio-Tenda di Gessate vuole i suoi meriti, giustamente. Bene. Arrivederci agli Europei 2008, piacendo, ancora sotto le stelle, ancora nei giardini di Villa Daccò.

Walter Visconti

 

 

INCASTIGO: Una Band al GESS in ROCK

Numero 4 2006

 

Gli INCASTIGO si gustano il preludio della manifestazione con animo sereno, nella calura del tramonto, sdraiati nelle poltroncine davanti al palco sul quale altre Band stanno provando. Chi saranno mai i componenti di questo Gruppo di musica moderna (e di tutti i Gruppi in concorso?) e chi saranno mai i loro estrosi adulatori? Sono giovani, modesti, quasi schivi, ma disponibili e preparati. I componenti del Gruppo INCASTIGO sono quattro. Marco ha 23 anni, Sergio 25, Davide 24, Diego 21. Due chitarre, un basso, una batteria. Sergio è anche cantante. Io, una preparazione come  la loro, a 20 anni me la sognavo. Mi sento a disagio davanti alla loro modestia. Sento che devo loro una specie di risarcimento. Sale in me un bisogno di conoscenza, ma so di non farcela. Li invidio per il loro candore, la spontaneità, il non calcolo…

Ci allontaniamo dal frastuono del palco così possiamo udire le nostre parole.  Suonano insieme dal 2003. Hanno fatto circa 100 concerti, la maggioranza nel Nord Italia, ma anche all’estero, in Olanda, Germania, Austria. Ex compagni di scuola, tre di Inzago, uno di Basiano. Critiche degli Incastigo all’ambiente musicale italiano: «Assenza di mentalità in grado di apprezzare la musica “live” specie dei Gruppi emergenti, che per questo non trovano spazio. A prescindere dai generi musicali, la gente non riesce ad apprezzare questo tipo di manifestazioni, almeno nella fase iniziale. Però questo è il momento più importante perché se una manifestazione non decolla spesso non trova poi il tempo per essere replicata. Mancanza di appoggi e di strutture nelle quali esibirsi.» Testimonianza degli Incastigo sulla manifestazione: «Questa allestita a Gessate appare buona, perché sono stati riparati alcuni errori commessi l’anno scorso. La festa dovrebbe tenere (è la serata iniziale). Pochi giorni d’estate sono l’unica occasione dell’anno per dare spazio a queste esibizioni di giovani.» Uno degli Incastigo consiglia di insistere: «La logistica è buona, l’organizzazione anche. Il luogo scelto è bello. Bisogna ingranare un attimo. È solo il secondo anno. Bisogna perseverare come per tutti gli investimenti. Uno non può pensare di fare un investimento minimo e che gli vada bene subito. Secondo me può diventare una bella cosa, ad esempio come il Fara Rock, sono anni che c’è: hanno investito soldi, chiamato gente che riempiva. Si parla di migliaia di visitatori ogni anno. Avendo un nome che “gira” si possono richiamare migliaia di persone a prescindere dal Gruppo che suona.» 

Gli INCASTIGO sono stati chiari e sinceri. È un buon Gruppo, ne sono convinto.  Auguri e arrivederci.

Walter Visconti

 

 

15° Concerto d’Autunno - 14 ottobre 2006

Numero 5-2006

 

Prima di tutto Buon compleanno alla Corale: 20 anni di vita e 15 Concerti d’Autunno. La chiesa è addobbata per le grandi occasioni. Inizia il concerto.

Prima parte dedicata alla musica sacra. Omaggio a Mozart, di cui ricorre il 250° anniversario dalla nascita, con tre brani. Subito la “Sinfonia 40”, primo movimento, per sola orchestra, opera incalzante. Precisa esecuzione diretta dal maestro Pierangelo Pelucchi. La Corale esordisce al secondo brano: ”Ave Verum Corpus KV618”. Entrata dolcissima, fraseggi delicati, mirabilmente accompagnati dai violini. Poi, Kirje, Gloria e Credo dalla “Spatzen Messe KV 220”, una delle 19 composte da Mozart: opera rappresentata la prima volta dalla corale il 2 giugno 2006 a Gorgonzola in occasione del 200° anniversario della dedicazione della Chiesa parrocchiale ai santi Gervasio e Protasio. Altri interpreti sono il soprano Emilia Bertoncello, che sostituisce Sandra vanni, il mezzo soprano Giovanna Caravaggio, il tenore Sergio Rocchi, il basso Alberto Rota. La serata prosegue con alcuni brani tratti da “La passione di Cristo secondo San Marco” di Lorenzo Persosi, sacerdote, assiduo compositore di musica sacra, che ritrovò con lui momenti di larga diffusione e si trasferì dalle chiese nelle sale di concerto, - come informa Mario Ronchi -. La “schola cantorum” di Gessate la eseguì la prima volta a Roma il 23 novembre 2003 al XXVII Congresso Nazionale di Musica Sacra nell’Aula Paolo VI alla presenza di Papa Giovanni Paolo II. Fu il momento in cui la Corale decollò definitivamente, anche per l’impulso datole dal maestro Pelucchi. Attimi che restarono impressi nella mente di ogni corista. Si chiude la prima parte con il brano struggente “Lacrimosa”, dal Requiem, di Mozart per coro e orchestra.

Seconda parte dedicata alla lirica, in particolare alla magia imperiosa e spumeggiante di Verdi. Subito un brano per sola orchestra, per scaldare i cuori: l’Ouverture da “I Vespri Siciliani”, note ariose e volteggianti, in un travolgente crescendo. A seguire un classico di Verdi: “Oh signore dal tetto natio” da “I lombardi alla prima crociata”, ove i gorgheggi del flauto offrono motivi di passione a scandire i toccanti passaggi del coro. Poi è la volta della famosissima aria “Il santo nome di Dio” da “La forza del destino”. Entrata d’organo in funzione preparatoria del famosissimo assolo di violino. Pelle d’oca. Soprano, basso, coro e orchestra si esprimono in vasti e arditi fraseggi. Finale grandioso e veemente. Al termine Mario Ronchi inneggia giustamente al primo violino, il maestro Alessandro Milani. Chiude il concerto il finale del secondo atto dell’Aida. A sorpresa entra in scena la corale San Gervasio di Capriate, invitata in gran segreto dal maestro Costante, e si unisce a rafforzare la corale di Gessate, a festeggiarne i 20 anni e a ricordare i tempi in cui i due gruppi cantavano uniti nelle grandi occasioni. La melodia del “grande coro” introduce le magiche trombe dell’entrata trionfale e si distende verso l’altissima enfasi della chiusura. Finisce qui la parte ufficiale. Riconoscimento a Costante Ronchi, per essere Maestro della Corale fin dall’inizio e ideatore del Concerto d’Autunno, e ai coristi più anziani. Un grazie speciale a Monsignor Tarcisio Cola, presidente dell’Associazione Italiana S.Cecilia, anche quest’anno presente, e grande estimatore della Corale di Gessate.

Walter Visconti

 

 

Il “mese lungo” – Riassunto di una Sagra

Numero 5-2006

 

Com’è andata quest’anno la Sagra della Paciarèla? Ripercorriamola insieme, programma alla mano. Innanzi tutto una premessa. Vorrei considerare il periodo dal 9 settembre al 15 ottobre, cioè il “mese lungo” che include gli eventi più rilevanti.

Week end artistico, musicale e poetico.
9 e 10 settembre, in via Cittadella 14 esposizione di quadri allestita dal Gruppo Artisti Gessatesi “il Gelso”. La gente comincia ad abituarsi all’idea che per visitare mostre d’arte a Gessate occorre recarsi allo “Stalun”, struttura adatta e accogliente. Quest’anno molti espositori hanno venduto. Per la prima volta si è sperimentata una rassegna modulare. Sabato è stato offerto un aperitivo letterario con presentazione e lettura di brani in vernacolo della attrice-scrittrice gessatese Franca Brambilla, recita di poesie del poeta-contadino Gino Mapelli, nonché del sottoscritto. Al termine, aperitivo e liberi commenti sull’angolo letterario. Domenica pomeriggio, un evento musicale con il gruppo dei “Lepricorns” che ha eseguito canti e musiche popolari irlandesi, scozzesi, bretoni. Al termine dell’esibizione, buffet e conversazione con i componenti del gruppo.

Pangialt e lacc.
22 e 23 settembre, distribuzione di “pangialt e lacc” da parte dei fornai. Ho appurato che il pangialt (che non è giallo bensì marrone) è composto per il  50% di segale integrale, per il 50% di “uradigo”, che sarebbe la “farinetta di granoturco”, cioè macinata più fine della farina da polenta.

Cena storica.
23 e 24 settembre, nel salone di Villa Daccò cena storica. Piatti riesumati dal passato, coreografia molto curata, guardie all’ingresso, servitori e camerieri in costume, musiche e balli d’epoca, ambiente fiabesco, ispirata quest’anno ai Gonzaga di Mantova. Piatti raffinati preparati dallo chef Scibilia.

De.C.O.
28 settembre, al cineteatro dell’oratorio presentazione ufficiale della DeCO alla torta Paciarèla. Assegnazione fortemente voluta dal presidente della Manifestazione Storica. La voglia di preservare la Paciarèla nel tempo, con la sua storia, la sua genuinità, le sue caratteristiche, di metterla in salvo dalle deformazioni del tempo, ha avuto esito positivo. Una presa di coscienza del Comune di portata storica. Significa impegnarsi nel preservare dall’individualismo dilagante qualcosa che appartiene alla storia di Gessate. Una specie di battaglia vinta da una comunità contro biechi disegni commerciali e consumistici con il beneficio di un’identità ritrovata e di un marketing territoriale assicurato. Dopo la presentazione, prima mangiata ufficiale di torte Paciarèle DeCO nel salone dell’oratorio, preparate secondo la ricetta ufficiale dai fornai di Gessate, veramente squisite. Tre i vini proposti per l’accostamento: Passito di Pantelleria, Moscato di Pantelleria e Recioto bianco della Valpulicella. Tutti perfetti.

Duccio di Boninsegna.
29 settembre, al cineteatro dell’oratorio presentazione della Mostra dal titolo” Figlia del tuo figlio”. Serie di prestigiose riproduzioni su pannelli della più grande pala d’altare del medioevo, opera di Duccio di Boninsegna, conservata nel duomo di Siena, realizzata tra il 1309 e il 1313. Esposizione rimasta aperta fino al 9 ottobre presso la chiesa dell’Addolorata. Evento curato con la consueta dedizione e competenza dal Centro Culturale San Mauro. Visite guidate e vasta bibliografia.

Manifestazione storica.
30 settembre, rievocazione della disputa tra i contadini e il Bonesana. Anche quest’anno in forma itinerante, con recite di notevole levatura specie nella prima stazione nel cortile Stalun di via Badia 23. Alla fine raduno del pubblico in Villa Daccò per gustare una fetta della neopromossa Paciarèla DeCO, pane e salame e vino offerti dal Comune.

Sfilata storica e palio del pane.
1° ottobre, sfilata di costumi e disputa del Palio. Ha voluto piovere a intervalli tutto il giorno, ma il programma è stato regolarmente rispettato. La sfilata storica ha avuto momenti di grande valore artistico. Tempi e modi scanditi al meglio per una manifestazione ormai diventata adulta. Hanno sfilato circa 200 preziosi costumi, del ‘600, ‘700, ‘800, di cui 130 confezionati dal laboratorio del Comitato (circa 70 maschili, 60 femminili) e 70 noleggiati; circa 70 costumi di popolani; un cospicuo numero di accessori, come stivali, attrezzi agricoli, armi (alabarde, spade, archibugi, pistole).
Il palio del pane è stato vinto dal rione “Castellaccio”.

Il momento più vivo della giornata si è avuto dalle 15 alle 17, in barba alle intemperie, nel “salotto inaspettato” di Gessate, affollatissimo e confuso: su un angolo il portale dell’Addolorata con l’entrata della mostra su Duccio, con a fianco da un lato piazza Roma colma d’espositori e dall’altro l’estendersi delle bancarelle in via IV novembre; sull’angolo a fronte il fornaio di Piazza Roma colmo di torte Paciarèle; altre bancarelle lungo via Cittadella; bar aperti in via Badia per la sosta dei visitatori. Al centro del crocicchio gli sbandieratori di Ferrara con il loro campione a lanciare ben 5 vessilli insieme, e sull’imbocco di piazza Roma il Gruppo Contraddanza di Rodano esibirsi in balli in costume e musiche d’epoca. Un bel vedere. Che più? E tutti in quella piazza improvvisata a commentar gli eventi.

Walter Visconti

 

 

20 anni della Corale

Nunero 5-2006

 

30 settembre e 1° ottobre, tre eventi in Villa Daccò. Primo: mostra dal titolo “Venti anni di note musicali. Il percorso della Corale Ss Pietro e Paolo di Gessate dal 1986 al 2006 rievocato nel 20° anniversario dalla fondazione con una rassegna fotografica molto ben curata, allestita in Sala Matrimoni. Esposti riconoscimenti, locandine di concerti, video dei momenti più significativi. Presentata una bellissima brochure, disponibile a richiesta, con ampie descrizioni, aneddoti, e il curriculum artis. Secondo: iniziativa “Viva la musica” organizzata dall’Associazione Musicale Harmonia, allestita in Sala Musica. Terzo: mostra mercato “India” organizzata dall’Associazione “Un aiuto alla Vita”, allestita in Sala Ritrovo.

Concerto d’Autunno

24 ottobre, appuntamento annuale con il Concerto della Corale Ss Pietro e Paolo. Chiesa parrocchiale gremita un’ora prima dell’inizio, schermi sulle navate laterali. 70 coristi, 4 voci sole, orchestra sinfonica di 45 elementi. Nutrito programma con musica sacra di Mozart e Perosi nella prima parte, musica lirica di Verdi nella seconda. Ospiti autorevoli, ambiente caldo e familiare. Esecuzioni di alto livello.

In totale… 12 eventi solo nell’ambito della Manifestazione Storica e altri 12 organizzati da altre Associazioni. Questo è dunque il “mese lungo” della Sagra. Per Gessate non è poco.

Walter Visconti

 

 

In ricordo d’un animo gentile

Numero 5-2006

 

Caro Gino, ho dato per titolo alle tue poesie d’infinita bellezza “Fremiti di vita”. Quelle che mi lasciasti, quando venni a trovarti ultimamente, rileggendole, mi inducono a riflettere sull’essenza delle cose. Così, spesso la vedo e la colgo, da te presentata com’è, emplice e chiara, per merito tuo.
Sento il fruscio dell’erba calpestata mentre percorro il tuo viale e mi avvicino  al tuo amato campo, dove solevi rifugiarti per stare in pace, solo con la tua poesia.
Lì i versi, cercati, composti, trovati, ti facevano compagnia. Lì, ultimamente, forse lacerato dai dubbi, ti consolavi proclamando il tuo amore per il libero pensiero.
Hai preso per mano persone, portandole nei campi della tua poesia, insegnando loro a meditare, spingendole alla ricerca dei misteri della vita, senza pretesa di scoprirli, facendoli apprezzare e ammirare come da suprema mente.
Onde poter essere “poeta”, occorre anche morire. E tu l’hai fatto, e già lo eri.
Si è ciò che d’essere si sente.
Si sarà ciò che non si è stati. Perciò ti dico, caro poeta contadino ammirato in silenzio, tu eri e lo sarai.
L’enigma della vita ti è stato accettabile fardello. Ti sei compiaciuto delle persone accanto. Hai saputo ascoltare, scrivere versi diligenti, con loro imprimere traccia feconda d’immagini e pensieri, come deve essere la vera poesia.

Gino Mapelli, o semplicemente “Gino”. Nasce nel 1937, vive a Gessate, lavora alla Pirelli. I genitori sono contadini. Non va a scuola oltre le elementari. Tuttavia ama la letteratura. Legge molto. È un animo sensibile e gentile. Quando si reca nei campi o assiste agli eventi, ovunque si trovi, descrive con efficacia le circostanze vissute e le sensazioni provate, per donarle agli altri attraverso i suoi versi. Ci ha lasciati il 19 settembre 2006.

La sua è una poesia spontanea e incisiva, a tratti didascalica, a tratti filosofica, in grado di esprimere emozioni e di spingere a profonde meditazioni.
Ha composto più di cento poesie.

Walter Visconti

 

ARTICOLI 2005

Finalmente il “Dialogo”   (Il nuovo Dialogo)

Numero 1-2005

Dopo lungo tempo il nuovo Dialogo si presenta ai Gessatesi. La libertà di esprimere parole, idee, pensieri, la necessità di essere informati sugli eventi rilevanti, l’esigenza di poter interloquire con l’Amministrazione Comunale, tutto ciò tardava ad arrivare, a risistemarsi nella vita della città. Il nuovo Dialogo propone una sfida importante: avviare un meccanismo funzionante che soddisfi le esigenze della popolazione, che riesca a metterla a suo agio, a farla sentire protetta, in qualche modo a responsabilizzarla e a renderla sempre più partecipe dell’evoluzione etica–territoriale.

I temi principali sui quali si svilupperà l’impostazione del giornale, oltre alla scontata “informazione” sono “la novità” e “l’apertura”. A questo punto è necessario che il Dialogo, attraverso la sua redazione e i suoi collaboratori appena entrati in scena, facciano alcune promesse, cioè si compromettano un po’ sulle scelte testé menzionate.

Primo: “la novità”. Il Dialogo vuole giustamente rinnovarsi. Per questo sceglie di uscire in veste colorata (su carta cloro-esente), con nuovi formati e dimensioni. Oltre fornire articoli di taglio convenzionale sull’informazione, ambisce a dare spazio e a offrire partecipazione a tutte le realtà presenti sul territorio. L’intento è di attivare proposte formative e di espressione ad ogni grado. La lista (non definitiva) degli spazi–argomenti proposti è la seguente: “editoriale e/o articolo di fondo”; “sommario”; “cronaca di un evento o trattazione di un argomento forte”; “amministrazione comunale” (spazio dedicato alle comunicazioni, al consiglio comunale, alle opposizioni, al dialogo con i cittadini); “relazioni sui consigli comunali”, spazio per la “politica locale” (interviste alle tre opposizioni); “spazio ecclesiale” (riservato alla parrocchia e all’oratorio); “cultura” (notizie della biblioteca, recensioni, sponsorizzazioni di eventi culturali); “associazioni culturali” (rubrica dedicata a tutte le associazioni sia culturali, sia sportive, sia sociali); “associazioni sportive”; “dialogando dialogando” (rubrica di notizie varie e spazi aperti: aneddoti, personaggi, ricordi e anche creatività, poesie, racconti, proposte…); “spazio ai giovani o spazio formativo” (temi sociali, mondanità, etica); “ecologia locale e generale” (ambiente, trasformazioni territoriali, agricoltura); infine “notizie utili” (riferimenti e indirizzi di interesse, orari, proposte e quant’altro…).

Secondo: come dicevamo, “l’apertura”. Questo è il proposito più impegnativo del nuovo Dialogo. In effetti qui è in gioco la credibilità e la buona fede del progetto. L’apertura va intesa come atteggiamento invitante, come offerta di partecipazione. Ad essa obbediscono norme non scritte: ossia i criteri della responsabilità, della tolleranza, della comprensione, della discrezione, della dignità, della gentilezza, dell’onestà. Il tutto sembrerebbe far capo e riassumersi nella modestia intellettuale.

La parola Dialogo, attraverso una ideale dichiarazione di intenti, viene interpretata come “apertura” verso tutte le componenti della realtà del paese. La speranza è quella di riprendere un discorso, anzi di approfondirlo, di migliorarlo continuamente, come è nell’ordine dei tempi, delle cose.

Walter Visconti

 

 

Il vecchio Bar del Totocalcio in via Badia a Gessate, ora non c’è più

Numero 1-2005

Un stufa a gas in un angolo affossato e marrone. Marroni sono il tavolo e le sedie. Marrone la porta e il bancone, e le mezze pareti rivestite. Marrone la scaffalatura con le bottiglie colorate degli aperitivi, degli amari, dei brandy e dei punch. Le birre sono nascoste, te le danno se le chiedi, subito, e ti porti il bicchiere al tavolo, dove ti compili anche la schedina. Ti puoi leggere la frivola e mitica (o mistica per molti) e voluttuosa “Gazzetta” (dello Sport s’intende), sì, quella additata a strumento di perdizione dal determinato e santo don Milani. Ti puoi anche sfogliare il Corriere, se lo trovi libero e sano sul frigorifero dei semifreddi. Alle pareti compare il poster pieno di rosso con la prima Ferrari mondiale del 2000.
Qualcuno parla della Ferrari con la moglie del Mister, che ride e se ne intende: dice che Shumi l’ha pensata; per scriverle una dedica l’ha pensata e ricordata. Con il nipotino in braccio convalida le schede e serve un caffè profumato e fumante.
La TV sospesa in alto sulla parete parla con voce inascoltata, irradia un programma pubblicitario nella tarda ora mattutina del sabato. Ora ritorna il Mister baffuto e veritiero a dir la sua, a sentenziare, a rivelare a un avventore presuntuoso e sapiente un segreto di calcio, o di ciclismo, una buffata sulla Milano-Sanremo, chi sa…, forse è importante. Ognuno sentenzia ciò che sente, ognuno interviene con vizio e umori alterni; talvolta fa pericolosi discorsi di sport, o discorsi grassi di mogli e fanciulle, per sfogarsi, per ridere un po’, per vivere una vita corposa e paesana. Pochi, o nessuno, bevono un bicchier di vino, sprecandosi nella commedia del giorno ancora a metà. Si vogliono incamerare più accenni per il tempo che resta. Ognuno,dal Bar dell’angolo, vorrebbe portarsi via una fetta di torta, dolce, gustosa, uscirne ancora masticandola per strada, nella fretta di dimenticare alcunché di importuno,ma anche nell’intento di non troncare il sapore dolciastro e gradito dell’essere. Da qualche tempo l’ho un poco abbandonato, accidenti! Non gioco più al totocalcio, ho dimenticato gli scudetti, ho dimenticato le vittorie delle squadre amiche. Guardi il calcio, aspetti il mondiale, aspetti la discussione,i diverbi, le gioie, l’entusiasmo, il vero tripudio dello sport; e prima dell’evento mi farò un giro propiziatorio proprio qui,al bar del Totocalcio, sperando nell’impossibile, perché lo sport deve dare l’impressione dell’utopia, del fantastico... altrimenti che sport è? Lo sport non è uno scherzo importante, è una seria facezia, tanto seria da meritarsi la gloria e gli onori altissimi, le fedi delle folle, i pianti dei figli, le ire, gli abbracci, le esultanze dei fratelli e della gente sconosciuta.
Il Vecchio Bar del Totocalcio, lo voglio ricordare così, come  quando nel 1994 vi andavo per giocarci le schedina del sistema dell’ufficio; e come seguitava ad apparire fino a pochi anni addietro nei freddi sabati del tardo inverno, prima della Milano-Sanremo.

Walter Visconti

 

 

 

Ricordo di don Giuliano, nel decimo anniversario della morte

Numero 2-2005

Negli anni che andarono dal 1990 a 1995, Gessate ebbe un ospite speciale, un Messia che entrava nella città da Re umile e vittorioso, con discrezione, ogni domenica mattina; si avvicinava alla Chiesetta di San Pancrazio, vi entrava, officiava la funzione, si immergeva nel caldo seguito dei suoi discepoli fedeli. La figura di don Giuliano Riva catalizzava le coscienze con un prorompente influsso di modestia e gentilezza, tramite una dialettica incisiva e lineare, dolce, affabile. Il suo avvento in San Pancrazio emulava quello di Gesù nella stalla di Betlemme; l’appropinquarsi dei Gessatesi alla chiesetta quello dei Magi alla natività. La sua vita per sommi capi è la seguente. Entrò in seminario a 15 anni, spinto da un’incontenibile vocazione; fu ordinato sacerdote a 22. Era nato nel ‘29, dunque fu prete nel ‘51. Ebbe la docenza di francese nel seminario in cui studiò. Si laureò in inglese e tedesco alla Bocconi con una tesi sul teologo e filosofo italo-tedesco Romano Guardini. Accolse con entusiasmo le novità del Concilio Vaticano II (‘62-‘65). Bisognava aprirsi! Ebbe un rapporto difficile col Cardinal Colombo negli anni della contestazione (‘68-’69). Si recò in Germania per approfondire gli studi in teologia. Ne nacque un libro, edito da EDB (’75), dal titolo “Romano Guardini e la katholische weltanschauung”: leggendolo si apprende una emozionante interpretazione del credo cristiano. È accolto dalla Parrocchia del Redentore a Milano. Instaura una profonda intesa col Cardinal Martini (dal ’79). Intraprende altri viaggi all’estero: Stati Uniti, Brasile, ancora Germania. È insegnante di tedesco all’ITIS di Milano. Agli inizi degli anni ’90, su invito del compagno di seminario don Primo Lompartini, parroco di Gessate, inizia a celebrare le messe nella chiesetta di San Pancrazio. La chiesa è sempre gremita. Un centinaio di fedeli si affezionano a lui ben presto, rapiti dalla soave armonia delle parole e dall’influsso di bontà e gentilezza emanati dal suo spirito. Nell’aprile del ’95 improvvisamente si sente debole. Sciupa le residue forze nell’assistere la vecchia madre ormai in punto di morte (immancabile il riferimento allo sciupio del dono, all’amore che non calcola, tema trattato la Domenica della Palme). Il 21 maggio non si presenta alla messa in San Pancrazio. Regna una strana atmosfera. I discepoli apprendono increduli della sua morte avvenuta il giorno prima, il 20 di maggio del 1995. Occhi lucidi e silenzio. Profondo scoramento. Infinita tristezza.

Ecco alcuni sprazzi del suo limpido pensiero: “Bisogna fasciarsi di silenzio e ascoltare”. “Santo è colui che paga le tasse, che non evade il fisco, che rifiuta la tangente…”. “La vera regalità si manifesta nel rifiuto della potenza”. “Ho bisogno di te. C’è qualcosa per cui voglio avere bisogno di te”. “Non ci può essere pace se prima non c’è giustizia”. “Quando contempliamo la distesa del cielo trapunto di stelle, e immerso nel silenzio, noi intuiamo qualcosa della sconfinata pace di Dio”. “Vivere vuol dire avere paura. Noi abbiamo paura di cadere nel nulla”. “La dissipazione è una specie di ottundimento delle coscienze per cui si vive da superficiali”. “Occorre combattere la ristrettezza di idee, o angustia mentale, introducendo lo straordinario in vesti povere, normali”. “I dieci comandamenti della legge mosaica sono soltanto indicazioni generali che descrivono un clima…”. “Tenerezza: bisogno di tenerezza. In una società arrabbiata siamo tutti bisognosi di tenerezza”. “Le tentazioni da evitare sono: i beni materiali, il miracolismo, il potere”. “Occorre avere ossequio, rispetto, venerazione per la donna. Fidarsi di lei e confidarsi con lei, perché ogni donna è capace di capire, di accogliere, di accettare l’uomo per quello che è”. “L’esperienza religiosa quando è malata di orgoglio diventa intolleranza”. “Gesù non è venuto a insegnarci la morale storica dell’indifferenza, o la morale orientale della serenità ad ogni costo…”. “L’amore dona gratuitamente, eccessivamente, irragionevolmente, seminando disordine dentro le nostre forme ragionevoli di vivere”. “Un dono è bello se è inutile, inutile tra virgolette, un di più, una cosa non necessaria”.

Walter Visconti

 

  

Manifestazione storica e “Palio del pane”: a ottobre la tradizionale rievocazione

Numero 2-2005

Vengo accolto con calore al primo piano delle scuderie di Villa Daccò dove ha sede il “Comitato”. «Siamo alla 17° edizione» esordisce con orgoglio il presidente Paolo Leoni. «La Sagra del Paese è invece giunta alla 34°. La manifestazione verte attorno alla liberazione dal “dazio dell’imbottato”. Essa rivive sotto l’impulso di documenti ritrovati dal compianto don Maurizio Bidoglio negli archivi di stato di Milano e degli studi dello storico del comitato Antonio Sapere, anch’egli purtroppo deceduto di recente. Il Palio del Pane è nato su una “questione” del conte Pirogalli che all’inizio si pensava basata su una tradizione orale, mentre invece abbiamo rintracciato un istromento del 1556 che recita: [… dell’onere di perpetua corresponsione di farina di bella qualità è dovuta ogni anno alla congregazione di carità di Gessate per ”legata” disposta dal dottor Francesco Pirogalli con atto in data 10 aprile 1556 nella misura di un quintale all’anno.]. In pratica ogni anno i contadini consegnavano prima alla Congregazione, poi ai Podestà, poi ai Sindaci, la farina che veniva poi usata per omaggiare tutti i residenti di Gessate di un panino di farina bianca il sabato vigilia della festa della Madonna del Rosario che cade la prima domenica di ottobre». Il presidente Leoni poi precisa: «Ma il punto di forza del “Comitato” è la “costumistica”. Abbiamo creato da tre anni il “Laboratorio del costume”, dove le sarte si ritrovano due volte alla settimana e confezionano costumi che sono autentiche opere d’arte». «Come è strutturata la vostra associazione?» domando. «È interamente autogestita; significa che non intervengono imprese esterne per i preparativi, i montaggi, i supporti tecnici, e questo è un grosso vantaggio in termini di costi. I contributi vengono dedicati all’arricchimento del patrimonio storico-culturale. La manifestazione ultimamente è itinerante: tappe in due cortili, all’asilo, conclusione sul sagrato della chiesa con il pronunciamento della la sentenza. Dall’anno scorso abbiamo introdotto una scena di apertura con due contadini e due contadine a rendere edotti gli spettatori di quello che avverrà; poi si parte dalla morte del famoso “Triulzi” che era un po’ il proprietario di tutto nella pieve di Melzo, e poi via via si snoda la vicenda…». «È un impegno notevole» ammetto con ammirazione. Poi, col mio silenzio lo invito a proseguire, e lui accetta di buon grado: «Vede, durante l’anno noi collaboriamo con altri gruppi in due momenti abbastanza noti: il primo è quello con la “Tenuta del Castello di Grumello al Monte”. D’intesa con “Ville e Castelli d’Italia” loro organizzano cinque cene storiche rinascimentali, a una delle quali partecipiamo con i nostri costumi, e ne abbiamo gran risonanza. La domenica dopo Pasqua ci uniamo ai Vignatesi. Loro celebrano la “Festa della Redenzione” che corrisponde più o meno alla nostra, come epoca, e lì andiamo con personaggi e costumi, oltre a collaborare tecnicamente. Si pensa ormai a un gemellaggio con Vignate, culturale e collaborativo». «È perfetto!» lo gratifico.
 «Ultima notizia: Il 2 giugno il “Comitato” ha partecipato ad Ascoli Piceno a un “Concorso Nazionale del Costume Storico” presso la Fortezza di Acquaviva Picena, con un prezioso costume femminile del tardo 1600 confezionato dal nostro “laboratorio”».

Walter Visconti

 

  

Vacanze contadine

Numero 3-2005

È tempo di vacanze. Siamo nel solleone di luglio. Si avvicina il mitico ‘agosto’. Sembra necessario ‘staccare’ per ritemprarsi. Ma dover ‘staccare’ per forza può rivelarsi uno stress anche maggiore. Perché per meditare e riposarsi non è necessario recarsi nel Nepal a quota 5000, volendo lo si può fare anche rimanendo a Gessate. Perché è la fantasia che apre il cuore, la coscienza che lo rinfranca. C’è pure qualcuno abituato a restare, o per tradizione, o per necessità. Specialmente le persone anziane, i contadini. “Lei è abituato ad andare in vacanza?”
“Vacanza? È una parola nuova per me. Vede, nel semplice fatto…”. “Prego continui”.
“Nel semplice fatto che noi anziani siamo qui da tanti anni e abbiamo visto le cose nascere… Non ci possiamo separare tanto facilmente dalla nostra casa, dalla nostra terra. Anche se non sembra, noi siamo affezionati alla nostra terra. Preferiamo restare qui, non abbandonarla mai”.
“Potreste andare due settimane in vacanza, nella Riviera Romagnola per esempio”.
“Dove vuole che andiamo, si creerebbe un tradimento alla nostra terra. Noi le vogliamo sempre bene. L’unica cosa negativa è che da qualche tempo qui innanzi l’orizzonte non è ampio come prima. Là è sorto un capannone. Là un condominio. Quando al mattino dalla mia finestra non vedo più la Grigna e il Resegone, questo mi dispiace”.
“È vero, da qui non si vedono. Però li vedranno chi abita le nuove case a nord, per qualche anno”.
“Vede, nel semplice fatto… che io mi trovo in mezzo alle nuove costruzioni mi dà una gran tristezza. Perché a me sembra di stare sempre più stretto in casa mia anche se nessuno mi dà la caccia o tenta di sollevarmi dal mio orto, beninteso. Però questo restringersi dell’orizzonte mi disturba. Io lo sento stretto intorno a me quando alla sera mi addormento al chiaro delle 8, e quando al mattino d’estate mi alzo alle 4 e lo ritrovo sempre lì, e quando esco e mi avvicino al mio orto per controllare le colture, allora mi dispiace che non vedo l’orizzonte più lontano. Mi sento chiuso dentro, come frenato. Ed è un bel dire che la case nuove ci vogliono. Guardi, nel semplice fatto… si potevano ristrutturare quelle vecchie, ce n’è tante… E i giovani ci andavano lo stesso. Lo stesso mio podere va a mille, e produce bene, frutta, pomodori, zucche, là c’è un po’ di prezzemolo, e lì la vite dell’uva fragolina. Venga, venga che le mostro. Qui siamo in un piccolo mattatoio, dove una volta si uccideva il maiale, è tutto pulito, c’erano i permessi, e poi si lavorava tutto. La mia vacanza è quella di curare l’orto, senza stare attento di continuare a vivere. Qui, dopotutto, si sta bene. Si passa la giornata, si sistemano le cose. Vede, nel semplice fatto…”.

Walter Visconti

  

Poeti a Gessate  
“ANIMA

Numero 2-2005

O mente aperta al canto
delle memorie, al tempo
che più vaghi i nembi il vento trascina
a sperdere il velo sulle oblïate
ricordanze, quanto trascuri, quanto
volentïeri abbandoni le pene!
Solo, traluce pauroso dal buio
profanato degli anni
il chiaro lume accetto
della riacquistata felicità.
La sfinita coscienza,
e bisognosa d’essere placata,
si fugge e si assicura
nella culla dolcissima di quelli.
O anima assopita, come desideri
furtiva ritrovare il vuoto posto
di sempre al corpo mio!
Là t’apre con pazienza,
che pure mai lasciasti a consolarmi.

Walter Visconti - marzo 1969

 

Il laboratorio del costume d’epoca

Numero 4-2005

 

Doris Wilms, chi la conosce non può perdersela. È una signora ricca di idee, esperta di taglio, costumista teatrale. Non è gelosa, è disponibile ad insegnare. È istruttivo vederla muovere le mani, osservarle come trattano i tessuti, che lei ama, come il suo lavoro. È lei che ha offerto lo spunto per la creazione di un vestito d’epoca del tardo ‘500 che si è imposto davanti a molti altri esemplari proposti anche da sartorie specializzate nel settore. E che dire di Rosanna, Angela, Luigia, Savina, Amalia, Vesna, Rosa? Sono i nomi delle Egregie Signore esperte di stoffe, cucito, che hanno collaborato al confezionamento del vestito classificatosi al 3° posto al secondo concorso nazionale del costume d’epoca. Denominato “La più bella del reame”. L’opera rispecchia un capo indossato da Anna di Spagna, figlia di Massimiliano, raffigurato in un quadro di Juan Pantoja de la Cruz.

«I vestiti non nascono mai da uno schema preciso, ma si creano man mano a seconda del parere di tutti», mi spiega Rosanna, e prosegue «anche in funzione del materiale disponibile, che spesso è frutto di donazioni: lenzuola per i sottogonna, tessuti donati da tappezzieri, o tagli pregiati rinvenuti dai cittadini in qualche soffitta. Cerchiamo prima di rispettare il periodo storico, lo stile e le finiture dell’epoca. Infatti i tagli sono uniti a macchina, poi tutte le passamanerie sono cucite a mano».
«Mi spieghi come avete iniziato a confezionare vestiti d’epoca».
«Abbiamo iniziato con abiti da contadino, una decina, con gilet e gonne, vestiti semplici, con esigenze limitate. Poi siamo passati ai vestiti nobili. Ne abbiamo confezionati 12 finora. Quello portato al concorso è il primo, il più elegante, quello che secondo noi “rende” maggiormente. Esso include anche componenti affettive, è il vestito che ci ha unito, che ha legato il gruppo, anche perché all’inizio le persone si conoscevano appena, poi sono diventate amiche».
«Così avete deciso di presentarvi con il vestito più caro e più amato».
«Sì, è così».
«Mi spieghi come si è svolta la manifestazione».
«Appena arrivati, ci siamo presentati per “staccare“ il numero di partecipazione. Assieme a noi c’era una Sartoria di Pavia che presentava un vestito con più di 1200 pietre. Altre sartorie presentavano importanti abiti scintillanti. Ci sentivamo scoraggiati, ma abbiamo proseguito con umiltà. Durante la vestizione dell’indossatrice,si è cominciata notare la validità del nostro vestito. Altri gruppi si preparavano al defilé con l’ausilio di parrucchieri e costumisti. Al termine della sfilata c’è stato un intervallo durante il quale 10 giudici, dislocati in posti diversi della sala in modo che non potessero comunicare tra di loro, elaboravano il loro verdetto. Quasi stavamo per dire all’indossatrice di andare pure a cambiarsi. Poi, finalmente è giunto il momento del verdetto. Il presentatore ha annunciato che sarebbero partiti dal 3° classificato, e ha detto: “Vince il 3° premio il Gruppo di Lavoro per il Comitato e la Manifestazione storica ed il Palio del Pane” di Gessate”, al che ci siamo guardati ma non abbiamo realizzato subito, non eravamo sicuri di aver capito bene, anche perché eravamo piuttosto lontani dal palco, quasi “relegati” come si suol dire, nelle ultime file. Il presentatore ha dovuto ripetere l’annuncio altre due volte, prima che l’indossatrice potesse riguadagnare il palco per la sfilata d’onore».
«Bello, meraviglioso, dico a Rossana, mentre scrivo queste note».
E lei conclude: «Ci siamo abbracciati tutti quanti. Eravamo emozionantissimi. Dovevo dirlo subito a qualcuno. Avevo promesso ad Angela che le avrei comunicato subito l’esito della premiazione. A metà telefonata si è messa piangere al telefono, poi è corsa a dirlo ai suoi».

Classifica ufficiale del concorso “La più bella del reame":

1° premio: Sartoria Meneghini di Foligno, specializzata in abiti/costumi d’epoca..

2° premio: Sartoria Daniele Gelsi di Gualdo Tadino specializzata in abiti/costumi d’epoca.

3° premio: Gruppo di Lavoro per il Comitato Manifestazione Storica ed il Palio, di Gessate

Scheda tecnica del costume di sfilata del Laboratorio di Gessate:

Periodo storico:           1580-1600

Foggia:            Spagnola

Riferimento di classe: Nobile

Tessuti Utilizzati:
            Velluto e taffettà nero
            Organza lavorata con velluto e oro
            Organza bianca per il collo
            Passamanerie
Velluto nero e tulle oro per il copricapo.

Walter Visconti

 

Concerto d’Autunno,  
15 ottobre 2005

Numero 4-2005

La folla silenziosa s’avvicina alla chiesa, inquieta, impaziente di udire l’anima fasciarsi di mistiche armonie, come promesse puntuali, mantenute, come amichevoli intese a cui affidare speranze e da cui aspettarsi rassicuranti parole. Vuol sentire la corale sussurrare. Dopo, avvertirà un senso di fierezza e convinzione.
I cantori, i maestri e l’orchestra lì presenti si son preparati con cura e dedizione, ed attendono l’esame.
Tutto è pronto. La cupola absidale illuminata a festa rifulge di colori. Confido in una gran serata. Ogni anno è un fuoco sempre vivo, qualcosa in più trascende: un impegno maggiore, un incremento di qualità.

Prima Parte. L’anima musicale di Mozart suggerisce un brano frizzante: l’Ouverture dalle “Nozze di Figaro”, per sola orchestra. Evoluzioni, riprese e stacchi imperiosi; fraseggi delicati, in una esecuzione perfetta dell’Orchestra Sinfonica di Gessate magistralmente diretta dal Maestro Pierangelo Pelucchi; è un assaggio concreto e deciso, salutato dai primi applausi generosi.
L’attesa è per la corale, condotta durante l’anno con somma dedizione dal Maestro Costante Ronchi: un’interpretazione sublime dell’”Ave Verum Corum”, scritto da Mozart un mese e mezzo prima di morire. L’esecuzione è impegnativa, riesce estremamente delicata e soave, comunica sensazioni di pace e grandiosità. L’anima musicale del grande compositore avvicina all’essere divino. È un invito al direttore artistico a farcela riascoltare quanto prima. A seguire, il Laudate Dominum, sempre di Mozart: introduzione orchestrale, poi entrata solenne del soprano Sandra Vanni, melodia dolcissima, dialogo tra coro e voce sola, eccelsi virtuosismi vocali. Grande apprezzamento finale del pubblico.
Si passa a Salieri, stimatissimo maestro italiano, con tre brani tratti dalla messa n°1 in re maggiore. “Gloria”, “Credo” e “Santus”: subito una acclamazione al suono di trombe, poi spianata di osanna. Clarinetti e coro ai massimi espressivi, con interventi del soprano, del mezzo soprano e del baritono.

La Parte Seconda del “Concerto del Cuore” ci riserva in primis l’Ouverture dal “Guglielmo Tell” di Rossini. Apprezzato assolo di violoncello del maestro Macrì, poi un possente incedere d’orchestra a figurare l’ineluttabilità del destino, poi l’investitura del cielo alle tremolanti note del corno inglese a cui fa eco il flauto, come preludio alla fantastica cavalcata di chiusura. Soli, coro e orchestra per il “Finale” sempre dal “Guglielmo Tell”: musica grandiosa, qui eseguita veramente col cuore; un intreccio ardito di voci e suoni, come un fiume in piena traboccante in mille rivoli di emozionanti vivide proposte.
La conclusione del Concerto è riservata alla “Cavalleria Rusticana”, di Mascagni, rivisitata in quattro momenti. Il “Preludio”. Entrata di violini, poi il crescendo, quasi un’attesa, infine un’esplosione. Voce del tenore fuori scena nella celebre “Siciliana”. Infine, ripresa e conclusione: sulla piazza della chiesa rimane solo Santuzza. Tema mistico. Tragedia incombente. A seguire “Gli aranci olezzano”. Brano fresco, primaverile, gioioso, luminoso: è Pasqua. Inizio di campane, andamenti ondulanti tra orchestra e violini con raccordi immediati. Delicati fraseggi del coro. Le voci femminili si intrecciano con le maschili in clima festoso, inneggiano in ambiente agreste, idilliaco. I coristi raggiungono il massimo espressivo. È la volta dell’attesissimo ”Intermezzo”. Brano di delicatezza infinita. Dominano i violini. Nenia tristissima e struggente, melodia nostalgica, a voler elargire amore e clemenza. Si protrae imperiosa in un delicato insistere. Infine “Inneggiamo al Signore”. Qui Sandra Vanni dialoga magistralmente con il coro. Si termina con un’apoteosi finale di voci e orchestra. Applausi, applausi.
Dopo i bis d’obbligo arriva il brano di chiusura con i solisti inseriti nel coro: l’immancabile “Alleluia” dalla messa di Hendel. Tripudio generale e un Arrivederci!

Walter Visconti

 

 

Nuovo Gruppo Artisti Gessatesi

Numero 5-2005

Sabato 29 ottobre si è tenuta presso il locale “Stalun” una prima riunione della costituenda Associazione Artisti Gessatesi. Alla riunione erano presenti il promotore dell’iniziativa Guido Baroni e i primi aspiranti soci del Gruppo. Alcuni pittori sono conosciuti per aver esposto opere già in precedenti manifestazioni sia Gessate sia in altri ambiti. Ha partecipato anche l’Assessore allo Sport e Cultura Matteo Magnifico. Il Gruppo nasce per riportare l’attenzione su mostre non solo di pittura ma anche di altre arti. Il compito è quello di tenere vivo e animato il settore culturale di Gessate. Si vogliono dare al Gruppo gli spazi e gli strumenti per riuscire in questo. Si penserebbe di aggiungere degli allestimenti permanenti nelle due aule dello “Stalun”. L’iniziativa ha preso le mosse dalla mostra che si è svolta il 2 ottobre in occasione della Festa del Paese, alla quale molti hanno esposto in condizioni anche precarie, che ha fatto capire la disponibilità e la validità degli artisti. Per Natale c’è in programma una nuova mostra di pittura e/o oggettistica sempre allo “Stalun” nei giorni 16-17-18 dicembre. Gli artisti che per ora aderiscono al Gruppo sono: Paola Borro (Gruppo Giallo Ocra), Roberto Villa, pittore gessatese, Elisa Frigerio, pittrice gessatese, Luisa Necchi, pittrice gessatese, Oscar Visconti, disegnatore gessatese, Iwona Potrac, pittrce gessatese, Vincenzo Corti, pittore gessatese, Rita Moretti, pittrice gessatese, Ezio Ovizzi, pittore gessatese, Roberto Reggiani, pittore gessatese, Alberto Migliorini (Gruppo Artisatico Melzese).

Walter Visconti

ARTICOLI 2004

Motivi ad incastro

Il Cardinale Tettamanzi a Gessate
11 gennaio  2004

La chiesa parrocchiale dei SS Pietro e Paolo è gremita e fremente, il brusio dei Gessatesi s’alza nell’attesa del loro Cardinale Dionigi Tettamanzi. La “schola cantorum” di Gessate, per l’occasione arricchita dalle nuove “voci bianche” (l’iniziativa è partita lo scorso settembre, è nata con la funzione di produrre ricambi per la corale maggiore, ne fanno parte allievi delle scuole elementari e medie, la formazione è arrivata a 25 elementi ed è diretta dal maestro Simone Giani che è anche l’organista del coro), è pronta e motivata.
Il maestro Costante Ronchi attende con misura… Le giacche e le bluse nere dei coristi contrastano finemente con il candore delle camicie. I fanciulli, pure bianchi, accucciati in prima fila scalpitano in attesa di cinguettare.

Il direttore artistico Mario Ronchi segue con attenzione le fasi preliminari. Entrano le varie associazioni con stendardi e insegne, ad occupare i posti di rilievo nella navata centrale. L’atmosfera è tesa e gioiosa. Finalmente arriva il Cardinale Dionigi Tettamanzi, preceduto dal parroco don Enzo e da altri sacerdoti; la coreografia e l’organizzazione sono affidate al “fantasista “ don Stefano. Il Cardinale proviene dall’oratorio “don Bosco” dove poco prima ha inaugurato quattro aule dedicate rispettivamente al compianto don Primo Lobartini ex parroco di Gessate, al carissimo e indimenticato don Maurizio Badoglio, anima fragile e dubbiosa come tutte,  morto per essersi tolto la vita, già donata agli altri per farli meditare sul suo gesto, alla signora Alberica Fagnani, madre del neo ordinato sacerdote don Fulvio e alla gentilissima, sensibile e sapiente Signora Marilena Mapelli ex redattrice di questo giornale e promotrice di numerose iniziative. In apertura il “benvenuto” di don Enzo dichiara la gioia dei Gessatesi per avere tra loro il Cardinale. Inizia l’eucaristia, e la corale subito interviene ad arricchire la cerimonia con un’ampia manifestazione di giubilo sviluppata nel “Gloria” dalla “Credo Messe KV 257”, opera scritta da Mozart all’età di vent’anni. La musica s’invola ad altezze vertiginose, le voci dialogano in un virtuoso crescendo di arresti e riprese: un “Gloria” quasi ritmato, in chiave moderna, toccante, strepitoso.

Nell’omelia si esprime Dionigi Tettamanzi. «Il cuore di tutta la storia» dice il Cardinale, «è Gesù Cristo. Egli rappresenta l’intera felicità che noi vogliamo. Ogni Figlio deve parlare con Cristo». Ma i temi principali toccati  sono quelli della responsabilità (dalla quale non ci si può esimere) e insieme della fraternità (siamo tanti e diversi):

«Ci troviamo in una comunità e dunque dobbiamo adottare uno spirito fraterno nei confronti degli altri. Dobbiamo vivere la carità, renderla concreta e generosa. Occorre difendere la dignità e la grazia per essere cristiani. Entrare nelle problematiche della vita sociale. Sfruttare il dono di avere nel cuore l’amore di Dio. Impegnarsi nella vita. Avere una vita significativa e generosa. Lasciarsi trasformare dal Signore».

Infine la reciprocità: il Cardinale promette che pregherà per la comunità di Gessate; ma chiede che quest’ultima faccia altrettanto per lui, perché lui possa seguire come regola la via dell’umiltà, della convinzione, della sincerità.
Dopo l’omelia segue un magico ”Alleluia” scritto dal vescovo e compositore contemporaneo Ivo Meini, pezzo già eseguito dalla corale di Gessate durante il “XXVII Congresso di Musica Sacra” svoltosi in San Pietro a Roma in presenza del Papa lo scorso 22 novembre. La melodia portante è qui affidata alle “voci bianche”; è di una delicatezza infinita, come un sublime saliscendi di didascalie musicali rafforzate dalle eco della corale maggiore.

Al culmine della messa si procede con la distribuzione da più punti dell’eucaristia per tutti i fedeli. Il secondo brano ad allietare la comunione, una “Ninna nanna” natalizia del quasi sconosciuto musicista Antonio Volpi, si rivela d’una dolcezza infinita, meraviglioso e toccante, quanto misterioso. Di questo pezzo manca la partitura ufficiale. In pratica, un certo Vincenzo Cantore, seminarista in crisi mistica che veniva a Gessate per animare le liturgie della domenica, ha tramandato oralmente la melodia al direttore artistico della corale Mario Ronchi che a sua volta l’ha rielaborata scrivendo l’attuale partitura.

Le tenui note della “Ninna nanna” creano un’atmosfera di mistico ringraziamento. Personalmente ne resto estasiato. La musica mi fa rabbrividire per la bontà e il languore che m’incute. Provo ebbrezza, contentezza, distensione: «È magia o realtà?» mi domando. Mi concentro per impedire alla melodia di abbandonarmi al suo finire; so che lo sforzo sarà inutile, tuttavia ci provo. Quando essa se ne va, nella pausa di silenzio che ne segue, nella mia mente ancora vive, tarda a svanire. Tuttavia, appena inizia il brano successivo, il suo ricordo, pur suadente, svanisce. Ho un attimo di delusione: potrò mai rintracciare quel brano?  La comunione si protrae per la larga partecipazione dei fedeli e c’è tempo per l’ultimo accompagnamento musicale che riserva un’altra lieta sorpresa. Viene infatti eseguito il “Te Deum” di Joseph Haydn, di cui è previsto solo il primo movimento, l’allegro (su questo il coro s’era preparato a fondo). Il cardinale Tettamanzi, lui stesso musicista e fine intenditore, mostra un evidente apprezzamento; prima della conclusione si rivolge dritto al direttore Costante e a tutta la corale incitandola: «Proseguite pure…». Così… si passa all’adagio e infine all’allegro moderato di chiusura, interpretati con evidente emozione e impareggiabile bravura. Al termine dell’esecuzione (e delle comunioni), Tettamanzi dichiara soddisfatto: «Finalmente ho sentito un vero “Te Deum”». C’è di che inorgoglirsi.

La messa è finita. La cerimonia volge al termine. La coreografia didascalica di don Stefano premia lui e tutti i presenti con la maestosa sfilata di dodici cerchi colorati raffiguranti i volti degli apostoli. È una riflessione sulla Chiesa apostolica. Immagini evangeliche costruite dai ragazzi dell’oratorio e da don Stefano. I giovani delle medie li portano fin sull’altare al cospetto del Cardinale: rappresentano un augurio per lui e i buoni propositi dei Gessatesi nei confronti di Gesù e del suo apostolo.

Come ringraziamento don Enzo dona al Cardinale il libro “Il volto dei volti” (Edizioni “ Velar”, il volume contiene una serie di dipinti del volto di Gesù). Il Cardinale, in chiusura, come gesto di familiarità e fratellanza, si concede a tutti indistintamente, col suo saluto, col suo viso aperto, generoso, convincente, donando a ognuno uno sguardo intenso, responsabile, gioioso. Così si chiude una mattina densa ed impetuosa, ricca di simboli, di significati, di propositi.

P.S. Alcuni giorni dopo telefono al Maestro Ronchi per chiedere lumi sulla misteriosa sfuggita melodia; m’invita alle prove del coro e me la fa risentire dal vivo: «Ora sì me la ricordo, è lei, ne rimango estasiato, non mi par vero di riascoltarla. La corale di Gessate la canta per me. Mi sento onorato!». Assomiglia a uno scampanellio soave, ripetuto, come se scendesse da lontano un dolce tremolio di Ninna nanna…

Walter Visconti

 

 

 

EVENTO DI SETTEMBRE  

Non pubblicato

AVIS di Gessate - 40° anniversario di fondazione
Per una degna celebrazione sono intervenuti:
Associazione Culturale Teatrale “ ITINERARIA” 
Coro Alpini “MONTE CERVINO”

17 settembre 2004

 

L’eco della rappresentazione teatrale alla quale ho partecipato venerdì sera all’Oratorio Don Bosco tarda a svanire.
È stata una serata ricca di impegno e svago. Di impegno perché l’occasione è stata fornita dalla ricorrenza dei 40 anni di vita dell’AVIS di Gessate. Quindi il pretesto di responsabilità, serietà, impegno per l’appunto, e abnegazione suscitati dall’evento bastavano ad arricchire di motivazioni il festeggiamento.
Il responsabile zonale di Melzo dott. Ettore Pollini ha ricordato con decisione a TUTTI che donare il sangue fa bene al corpo e allo spirito, oltre che essere una pratica utile e civile e necessaria. L’appello è soprattutto rivolto ai giovani che non rilevano l’importanza di un gesto semplice e rigoglioso per l’essenza di vita che trattiene in sé. Dunque si iscrivano numerosi all’associazione AVIS dei donatori di sangue! Entreranno a far parte di un ‘giro’ di salute e vanto finché ne avranno le facoltà. Il loro corpo verrà monitorato, gratis per giunta, il ricambio del loro sangue sarà assicurato e avverrà in condizioni controllate, sane e benefiche. Occorre dunque rinnovare l’appello affinché TUTTI, giovani e anziani, verifichino la loro possibilità di donare il sangue e iscriversi all’AVIS.
Ma la serata, come dicevo, AVIS permettendo, ha acquisito i sintomi del benessere con la fine esibizione dal titolo “IL RISO FA BUON SANGUE” condotta da due bravi doppiatori, Lorella De Luca e Fabrizio De Giovanni, appartenenti al gruppo teatrale ITINERARIA, i quali hanno letto gustose parodie assoggettate alle regole tradizionali della più classica ironia del cabaret. Lo spettacolo aveva formula efficace, incisiva, di una piacevolezza esaustiva e convincente. Le letture erano precedute da un cappello introduttivo interpretato con abilità e fervore dall’anima del gruppo, il prof.  Roberto Carusi: l’obiettivo era suscitare interesse nel pubblico con aneddoti e menzioni, usando tatto e competenza, approfittando di una voce modulata e affabile, piacevole. Subito dopo iniziavano i dialoghi ancor meglio recitati a riempire l’aspettativa creata con maestria. L’ascolto dunque non risultava mai forzato, bensì attento e interessato, e ciò era l’offerta migliore ad un pubblico esperto ma pur sempre scettico e guardingo nei confronti di attori per lui nuovi o sconosciuti. Le parodie venivano abilmente accompagnate, e intervallate da pezzi di musica leggera scelti all’uopo e mixati con gusto dalla brava scenografa Maria Chiara Di Marco.

L’ultimo richiamo della serata, sempre AVIS permettendo, era imperniato sull’esibizione del Coro degli alpini di Gessate, il CORO MONTE CERVINO, sempre magistralmente diretto dall’appassionato Mario Rochi, il quale, occorre dire, ha ceduto la direzione di un brano al giovane promettente maestro MARIO ???????, che ha così potuto dimostrare il suo talento: auguri naturalmente! Tra i brani più famosi eseguiti, “La montanara”, triste e patetica canzone, sempre struggente e suggestiva. Il presentatore del coro Marino Cassisi  risulta ormai irrinunciabile, tanto incisive sono le sue  vivissime introduzioni con cui riesce a raffigurare, con poche schiette pennellate dialettiche, i sentimenti suscitati.

Concludendo, concludendo, mi auguro che vengano rinnovati al più presto i fasti di una simile serata, invitando ancora a Gessate i simpatici attori di ITINERARIA. Se qualcuno si fosse già affezionato a loro, li può ritrovare il giovedì sera a Cologno Monzese  in via Goldoni al n° 18.

Il loro programma è disponibile sul sito Internet www.itineraria.it.

Occorre informare che le serate di ITINERARIA sono versatili, nel senso che si concludono con simpatici conviti tra i presenti, attori, organizzatori e pubblico. Così v’è modo di conversare, chiacchierare, commentare e trascorrere una piacevole serata arricchita non solo da recite, arte e musica, ma anche da una allegra tavolata.

Walter Visconti

 

EVENTO DI NOVEMBRE

 Non pubblicato

 Concerto d’autunno 2004
16 ottobre 2004

Il popolo devoto di Gessate si appresta garbato e cauto a vivere una serata di gran gala in compagnia della sua corale e della sua orchestra. Nel tardo pomeriggio m’intrufolo in chiesa a spiare i preparativi. Così, senza tensioni mi gusto in anteprima l’assolo di violino da  “La forza del destino” magistralmente eseguito dal maestro Ronfaldi. C’è tensione e sicurezza al punto giusto. Vado a casa a prepararmi, poi ritorno per onorar l’evento. Con me la gente s’avvicina frettolosa, avverte l’ansia. Alle 20.30 la chiesa è già gremita nei posti favoriti. La cupola absidale è illuminata a festa. Le argentee canne dell’organo troneggiano imponenti dietro l’ara, ancora silenziose. Sale il brusio, tutto è pronto. Nelle prime file presenzia la nuova amministrazione di Gessate: anche per loro è un battesimo. Il pubblico festante interessato sfoglia il nutrito programma. Vedo i fratelli Ronchi aggirarsi sicuri lungo l’ambulacro davanti all’altare. Mario, direttore artistico, sorveglia la platea con sguardo vigile e severo. Suo fratello Costante, direttore del coro, sorridente e ansioso, attende l’entrata del suo gregge: 70 elementi, sempre più sicuri, sempre migliori. Anche l’orchestra Sinfonica “Gaetano Donizetti” è attesa in campo dal suo nuovo direttore Pierangelo Pelucchi. L’elevazione nell’olimpo musicale della “schola cantorum” e dell’”orchestra sinfonica” di Gessate è avvenuta a pieni voti a Roma il 23 novembre 2003 dove hanno partecipato al XXVII Congresso Nazionale di Musica Sacra, cantato e suonato nell’Aula Paolo VI alla presenza di Papa Giovanni Paolo II, ottenendo una qualificazione elevata alle più alte vette della concertistica italiana.

Ha inizio la XIII edizione del “Concerto d’autunno”. Il primo pezzo “Music fot the royal fireworks” mette alla prova la compostezza degli inviti orchestrali banditi dai fiati in altisonanti richiami. È musica haendeliana per sola orchestra con espressioni accese e vibranti. L’interpretazione musicale è accurata, precisa. Poi, per la I parte dedicata alla musica sacra  Mario Ronchi presenta un brano di Vivaldi, violinista veneziano, detto il poeta rosso per il colore dei capelli: il Credo RV591. È una prova sommessa e grave della corale, accompagnata dall’orchestra in un mosaico di incroci vocali di elevata difficoltà. «Non era facile», confessa alla fine Mario Ronchi dopo l’ottima riuscita. La scelta ulteriore cade sul “Te Deum” per coro e orchestra dell’austriaco Haydn: conoscitore di molti strumenti in giovane età, accompagnava cantanti e strumentisti «ci spiega Ronchi». Morì nel ‘600 colmo di onori. Prova sublime dell’orchestra a comandare labirintiche esposizioni con alternanze di imponenti eccessi, serene accucciate, tensioni sommesse. Espressioni di somma maestria della corale. Finale in crescendo ancora con dialoghi concitati tra corale e orchestra. Scroscianti applausi di approvazione e apprezzamento.

Via alla Seconda parte. Apre la sinfonia da “La gazza Ladra”. Rossini concilia anche gli animi più impazienti. L’intensa e virtuosa composizione è simbolo di italianità. Le evoluzioni della “Gazza” in un crescendo finale con trombe, arpeggi, flauti infiammano i cuori. Ovazione meritatissima. Si prosegue ancora con Rossini: la delicata preghiera “Dal tuo stellato Soglio” interpretata dal soprano Sandra Vanni, del tenore Luigi Frattola, dal basso Alberto Rota. Musica melodiosa, divino dialogare tra corale e solisti. Arpa a scandire i tempi, serbandone delicatezza e armonia. Le singole voci e il coro si uniscono in un’apoteosi finale.

È la volta di Verdi, immancabile protagonista dei concerti gessatesi. Viene presentata l’aria “Il santo nome di Dio” da  “La forza del destino”. Sandra Vanni, soprano, e Alberto Rota, basso, sono pronti. Il coro è pronto. Entrata d’organo in funzione preparatoria del famosissimo assolo di violino. Pelle d’oca. Poi di nuovo il coro a mitigare le repliche del violino. Il brano “Il santo nome di Dio” è cantato magistralmente da Alberto Rota. Il coro lo accompagna in una dirompente affermazione. Sembra prepararsi per una nuova esplosione. Così è quasi subito. La preghiera viene così dimostrata. Nuovo fraseggio del coro, sommessa entrata, composta, preludio a Sandra Vanni finalmente paga di spaziare col suo canto pulito e forte. Finale grandioso e veemente. Alla fine dell’esecuzione Mario Ronchi inneggia giustamente al primo violino, il maestro Ronfaldi.

Era il 9 marzo 1842, prima volta alla Scala: “Va pensiero”. Emozione ricorrente ma incontenibile. Apertura in un tremolio di flauti in attesa del coro. Poi arriva… e si ripete: “O mia patria sì bella e perduta…”. Si sale, in attesa di “Arpa d’or…” l’acuto più dolce del mondo che smuove le radici degli animi. È sempre così, è inarrestabile il flusso dei sentimenti, proprio come Verdi fu capace di scuoterli quel dì nei cuori frementi e addolorati. La corale è impareggiabile. Si chiude con l’”Inno delle nazioni” composto da Verdi in occasione della grande esposizione universale del 1862 di Londra. Brano d’occasione. Esecuzione assai rara. Fu eseguito con un colossale dispendio orchestrale a New York da Toscanini nel 1944. È una composizione complessa e impegnativa, nella quale vengono riproposti spezzoni elaborati degli inni nazionali di Francia, Inghilterra, Italia, Germania. Esecuzione magistrale.

Con questo termina il programma ufficiale. Applausi scroscianti.
È tempo di presentazioni e ringraziamenti. Ci sono presenze importanti: il presidente della corale don Enzo, il neo assessore alla cultura Matteo Magnifico. Il neo sindaco Mario Leoni, ex corista, si esprime con poche concise parole di elogio: «È con grande gioia che ho colto l’invito rivoltomi dalla corale SS Pietro e Paolo ad essere presente a questa serata nella quale la comunità di Gessate ha l’occasione di ascoltare musica di così alto spessore. Ho avuto l’onore di far parte di questo coro che mi ha dato la grande opportunità di avviare le mie amicizie che ancora oggi ricordo con piacere. Ed è proprio come ex corista che conosco quanto impegno e quanta dedizione occorrono per raggiungere un così alto livello artistico. Vi auguro pertanto che il vostro percorso sia sempre all’insegna di maggiori soddisfazioni. Per quanto mi riguarda, vi assicuro che cercheremo di esservi sempre vicini favorendo in ogni modo e con ogni mezzo la vostra attività. Vi ringrazio per quanto ci state regalando, che consente a tutti noi, seppur per breve tempo, di estraniarci dai problemi quotidiani per immergerci in una aurea di pace e serenità che solo la musica riesce a regalare».
E si continua in “un’aura di pace e serenità”. Sono presenti i vertici dell’Associazione Italiana Santa Cecilia, venuti appositamente da Roma per ricambiare la cortesia dello scorso autunno: il presidente Monsignor Tarcisio Cola, il direttore del Segretariato delle Scholae Cantorum don Giuseppe Ferri, colui che ha reso possibile l’esibizione romana.
Una lieta sorpresa. Le due corali offrono un ricordo al loro direttore artistico Mario Ronchi: è la fotografia di un “tocco”, quello della mano del Santo Padre alla mano di Mario in quel memorabile momento.

A questo punto non rimane che il bis. Viene riproposto il brano finale della prima parte della Trilogia “La passione di Cristo Secondo san Marco” eseguito nel novembre 2003 a Roma alla presenza del pontefice.
Tutti assieme ad assistere al brano che, come da tradizione, chiude la serata trionfale: “Alleluia” dalla “Messa” di Hendel.
Un grazie infinito ai protagonisti.
Arrivederci.

Walter Visconti

ARTICOLI 2003

Motivi ad incastro

Ricordo di Marcello Candia
Evento in Chiesa parrocchiale

11 aprile  2003

Scocca la scintilla che lo spinge al passo definitivo. L’incontro con un missionario lo convince. Lascia l’attività imprenditoriale per dedicarsi ai poveri. La famiglia aveva riposto in lui l’avvenire della fabbrica. La vende, e con il denaro va in Amazzonia, in Brasile, per costruire un ospedale.

È il 1970. Là si moriva di tutto. Ecco l’idea: trasferire la sua managerialità al servizio dei bisognosi. L’ospedale deve essere all’altezza di un ospedale europeo. E così viene fatto. Ogni cosa deve funzionare.
Fa tutto per amore. «Il Vangelo l’ho fatto mio. Ho ricevuto tanta ricchezza, intelligenza e la voglio dare ai poveri». Ogni anno torna in Italia a relazionare parenti e amici. E nuovi amici chiedono di partecipare. Così raccoglie soldi per continuare. Passano gli anni. Dopo l’avviamento dell’ospedale, si dedica ad altre miserie in Brasile: bambini handicappati, lebbrosi...  Il cerchio si allarga. È una situazione strana. M.Candia diventa un “testimone che sollecita la solidarietà”.
È importante essere “stimolo per gli altri” – insiste. Invita amici ad assistere alla miseria e così riceve nuovi consensi.
Il più grande momento della sua vita è quando, malato di tumore sul letto di morte, a coloro che si avvicinano, dice che la gioia sua vissuta è più grande della gioia ottenibile dalle sue ricchezze. Alla fine dice: «Grazie per l’esperienza del dolore. Adesso mi rendo conto di essere fratello di questi miei fratelli ammalati. Non è più solo un dare ma un compartecipare al loro dolore».

Il cardinale Martini ha aperto una causa di canonizzazione perché M.Candia possa essere riconosciuto come santo. È stato un testimone esemplare. Era luce. La sua è stata una scelta totale. Ci fa riflettere in continuo. M.Candia prima di morire vuole istituire una fondazione che possa continuare l’opera da lui iniziata. Dice: «Voi dovete andare avanti. Non preoccupatevi. Se voi concretamente continuerete ad annunciare che vorrete aiutare i poveri, arriveranno altri ospedali, altre opere».
A 20 anni dalla morte, dopo una vita spesa per gli altri, il processo di solidarietà continua: 5 ospedali più varie iniziative a favore dei poveri. È stato un uomo che ha fatto una scelta profonda, con un profondo senso di solidarietà.
Le parole precedenti penso siano una discreta sintesi della relazione su M.Candia fatta da Marco Liva, vice presidente della “Fondazione Marcello Candia”, il venerdì santo 11 aprile 2003 nella chiesa parrocchiale di Gessate.

Ma non basta. Scopro con somma gioia che la nostra amica Fernanda Albertarelli ha conosciuto personalmente Marcello Candia.  Le chiedo: «vuoi raccontarmi di lui?»
«Volentieri.»
«Qual’era il suo sostegno?»
«La preghiera.»
«Qual’era il suo simbolo?»
«La rosa rossa.»
«Forse perché è il simbolo dell’amore?»

«Credo di sì.»
«E poi?»
«Vado a ruota libera. Presso l’ospedale di Macapà aveva costruito un cosiddetto “carmelo”. Le suore  vi si recavano ogni giorno a pregare per le opere da compiere, perché “la preghiera è il sostegno di ogni cosa” – diceva  . Era devoto di Santa Teresa del Bambino Gesù.»
«Come l’hai conosciuto?»
«Io e i miei ragazzi del catechismo avevamo programmato un incontro con il dr. Candia al centro san Fedele il 14 gennaio del 1982. Quel pomeriggio ho telefonato al P.I.M.E. Mi ha risposto lui in persona. Era appena tornato da uno dei suoi viaggi in Brasile. Ero emozionata. Mi sono intrattenuta con lui al telefono. Quel sabato sera ero felicissima, mi sentivo leggera e felice.»
«Come si comportarono i ragazzi?»
«Gli facemmo domande serene, rispettose, alle quali rispose altrettanto rispettosamente e serenamente. Ci colpiva la sua serenità. Si vedeva: era sorretto da una grande fede.»
«Dimmi dell’altro di lui.»
«Visse nell’alta borghesia milanese; fu un uomo signorile, molto umile. Teneva moltissimo alla dignità umana. Il suo sguardo era illuminato. Lui seminava… ovunque.»
«Continua…»
«Era scapolo, viaggiava molto, così aveva conosciuto la povertà. Aveva una fede profonda, vera, spontanea, senza tanti “ma” e “perché”. Diceva spesso: “Signore, accresci la mia fede!”. Non faceva alcuna speculazione filosofica sui misteri della fede.»
«Era anche una persona decisa.»
«Indubbiamente. Il suo spirito era: investire restando in passivo coi bilanci, perché solo così si era sicuri di aver speso tutto per gli altri. Faceva lunghe code nei ministeri per poter parlare con gente influente, e alla fine otteneva i permessi che gli servivano per i nuovi progetti.»
«Non è facile costruire un contesto simile…»
«Assieme a lui, in quel contesto si trovavano tante altre persone, ma dato che erano sostenute da un’ideologia e non da una fede, si sono rotte… perché quando non vede sorgere nulla, se non ha il supporto di Cristo…, l’uomo è perduto.»
«Come si comportava a Milano?»
«È rimasto sempre quel Signore di alta borghesia che era. La sua famiglia ha messo sempre in prima linea i poveri. Si appoggiava spesso ai frati Francescani di viale Piave.»
Fin qui il piacevole dopocena con Fernanda, a parlare del Candia e del suo messaggio. Poi, a sfogliare documenti riesumati dai prolifici anni ottanta, come un richiamo ardente, ecco emergere una frase da una lettera di Candia da Macapà del 21 maggio 1977: “Signore, fa che io sia sincero quando li chiamo fratelli”. E il cardinale Martini sembra  fargli eco così (da un articolo rivolto ai fedeli della diocesi milanese sulla “solidarietà”, pubblicato dall’Avvenire il 20 gennaio dell’85, che suona come un monito per noi quasi 20 anni dopo): “Siamo chiamati a contrastare il criterio che giudica la bontà di un sistema solo dalla produttività economica e non invece, e anzitutto, dalla qualità di vita che sa diffondere”.
«Avremo il primo “santo” imprenditore, e sarà milanese», auspico con Fernanda.
«Spero proprio di sì! Per ora accontentiamoci di un “Servo di Dio” imprenditore, in base al concetto: No! alla “Provvidenza” con la “P” maiuscola, Sì! invece alla “provvidenza” con la “p” semplice di “pianificazione”.
Alla domanda: “rivelami altri particolari della sua vita“, rispondiamo: per libri, videocassette, informazioni, iscrizioni alla fondazione e altro, contattare il sito:
www.fondazionecandia.org

Walter Visconti

 

 

La Corale e l’orchestra di Gessate a Roma

AL XXVII CONGRESSO DI MUSICA SACRA RENDONO OMAGGIO AL XXV ANNIVERSARIO DI PONTIFICATO DI GIOVANNI PAOLO II

Lo scorso 22 e 23 novembre 2003 un grande evento ha scosso l’orgoglio di Gessate. Le Corali SS Pietro e Paolo di Gessate e San Gervasio di Capriate, nonché l’Orchestra Sinfonica di Gessate, in occasione del XXVII Congresso Nazionale di Musica Sacra, su iniziativa dell’Associazione Italiana Santa Cecilia, sono state invitate a Roma per interpretare il concerto “La passione di Cristo secondo San Marco”, Oratorio scritto dal compositore  Mons. Lorenzo Pelosi, autore di ben 25 “Messe” e di innumerevoli “Melodie Sacre” che sono testimonianza della sua grande arte. L’esecuzione si è svolta nell’Aula Paolo VI alla presenza di Papa Giovanni Paolo II ed ha avuto un ampio successo.

Riportiamo le parole di stima pronunciate da Don Giuseppe Ferri, direttore del Segretariato delle Scholae Cantorum durante il gioioso saluto: «Che sostegno meraviglioso danno i cantori e gli organisti alle celebrazioni! Quanti sacrifici per il canto, quante rinunce, quante prove e lezioni per rendere decorose le cerimonie! Ma quante soddisfazioni! Siamo giunti a Roma in tanti per questo straordinario congresso, che nemmeno gli ambienti vaticani sono in grado di contenerci. Le presenze ufficiali: 15102 cantori, 7403 parenti e accompagnatori, 242 sacerdoti, 511 direttori, 395 organisti. Per questo stesso Concerto e per la santa messa di domenica 23 novembre in San Pietro, a più della metà dei congressisti è stato chiesto il grosso sacrificio di assistere e di partecipare fuori dall’Aula e fuori Basilica, attraverso i maxischermi».

L’esecuzione dei gruppi vocali e strumentali gessatesi è stata posta in risalto in un articolo di Giampiero Mattei dal titolo “Quelle splendide note di Mons. Perosi” apparso il giorno seguente sull’ “Osservatore Romano” di cui riportiamo alcuni stralci: […è stato un gioioso e artistico omaggio in occasione del XXV anniversario di Pontificato del Santo Padre e dell’inizio del XXVI anno…]; [… il Concerto dedicato al Santo Padre è stato il momento “culminante” del XXVII Congresso Nazionale di Musica Sacra …]; [… i componenti delle due «scholae cantorum» e l’orchestra hanno cantato e suonato con profonda emozione…]; [… è significativo che la «schola» Santi Pietro e Paolo di Gessate e la «schola» San Gervasio di Capriate siano due alte espressioni artistiche scaturite dalla fede del Popolo di Dio e da quella eccezionale realtà che sono le “parrocchie”].

Walter Visconti

  

24° premio “Fondazione  Guido Tresoladi”

Cine Teatro di Gessate
23 aprile  2003

 

A Gessate esiste un mito. Ogni anno un evento la scuote, la nutre di nascosto, in modo discreto, come a voler mantenere lustro ed elegante l’indumento più ricco di una città pavida e modesta. Come un pastrano di stoffa resistente, ben acconciato, ben tagliato, bene indossato da un viandante al suo passaggio stagionale per le vie del borgo verso il suo destino già tracciato. Anche Gessate ha il suo premio “Nobel”: il “Riconoscimento Fondazione Tresoldi”.
Guido Tresoldi fu un grande gessatese. Lasciò una traccia importante. Infuse gioia ed esaltazione con varie iniziative benefiche.

Breve cronaca di una serata di gloria.
Subito una sorpresa come introduzione. Gli alpini di Gessate hanno un coro. Lo dirige Costante Ronchi, ex ufficiale della “Tridentina”. Addolcisce la prima parte della serata “Il testamento del capitano”: è il pezzo che forse estende meglio l’emozione dell’evento nella magistrale interpretazione: «Un capitano ferito da un colpo di obice durante la difesa della fortezza dall’assalto delle truppe borboniche  – per usare le testuali parole della presentazione – detta le sue ultime volontà ai suoi soldati riuniti attorno al suo capezzale: rimane intatta la profonda e umana poesia del capitano che consegna ai suoi alpini il proprio testamento pur nel rispetto del rapporto di comando che esiste tra l’ufficiale e i suoi ragazzi». Il coro c’è. Si dimostra di qualità. La voce è composta. Il colloquiare preciso e incantato. È difficile credere che viva da un solo anno. I coristi sono 25. Seguono altri canti, introdotti da teneri versi magistralmente scanditi da una voce appassionata: la signora Villa. Applausi scroscianti.

Siamo alla premiazione.
«Il 24° riconoscimento della Fondazione Tresoldi per l’anno 2002 va alla “ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI –  Gruppo di Gessate” nel ventesimo anno della sua costituzione. Assieme si vuole premiare la grande famiglia degli alpini, per tutte le azioni umanitarie in cui si sono distinti negli anni, e rendere omaggio a un’arma che onora la fama italiana nel mondo. La storia degli alpini è antica. Le prime tre legioni alpine furono create dall’Imperatore Augusto con il nome di Julia, divenuto glorioso in tempi a noi prossimi. L’anno di nascita ufficiale è il 15 ottobre 1872, quando un decreto governativo del Regno d’Italia istituì regolari truppe alpine. Oggi gli iscritti all’ANA sono circa 329.000. Il Gruppo Alpini di Gessate conta 47 iscritti. Viene premiato il collegamento-passaggio da alpini di guerra ad alpini di pace. A tale concetto si è arrivati al momento della scelta. Occorreva un organismo che incarnasse un ideale alto e significativo per la popolazione gessatese e che desse una risposta ad un’esigenza sentita e propria del momento storico presente. La “Fondazione Tresoldi” ha avvertito il bisogno di sottolineare nuove relazioni, non solo formali, che sollecitino il risveglio dell’energia interna alle persone e che spingano le nuove generazioni al “fare” operativo e responsabile. L”Associazione Alpini di Gessate” esprime  il forte richiamo alla pace non in forma propagandistica ma come stato di fatto». Dunque Alpini di pace.

Le imprese degli alpini italiani dal 1945 ad oggi parlano di pace e solidarietà. Possiamo ricordare imprese e opere a cui hanno partecipato gli alpini gessatesi: terremoto in Friuli nel ’76; in Madagascar per il progetto “Villaggio impresa”; in Valtellina e in Val Brembana nell’alluvione dell’87; in Piemonte per l’alluvione del ’94; in Russia a Rozosk nel ’93 per la costruzione di un asilo; in Kosovo nel ’99; nel 2003 in Afghanistan. Gli alpini sanno fare corpo da soli, senza la necessità di dettami esterni. Gli alpini sentono la necessità di rinnovare il vincolo di alleanza nel tempo.
Altro intervento, altra menzione: «Gli alpini vogliono la pace perché hanno conosciuto la guerra».

Annotazione del parroco, don Enzo: «Il precedente premio “Guido Tresoldi” era andato alla “Fondazione don Carlo Gnocchi”. Si intravede un legame di continuità: don Gnocchi fu cappellano degli alpini in Russia, e con gli alpini aiutò quella gente, tornò salvo per miracolo, e, capita la lezione, si oppose alla guerra, fu imprigionato, poi liberato dal cardinal Schuster con l’aiuto delle suore, quindi iniziò ad operare come tutti sappiamo pro piccoli mutilati per cause belliche. È aperto il processo di beatificazione di don Gnocchi. Se lui è santo possiamo esserlo un po’ tutti, quindi anche tutti gli alpini. L’amore divino di don Gnocchi si sposa col servizio totale e completo degli alpini verso le persone, proprio come volle dimostrare Guido Tresoldi ai gessatesi con il suo stile di vita, la solidarietà, l’apertura. Nell’etica degli alpini v’è completa dedizione alla pace, la quale, come dice il cardinale Martini in un recente scritto, ha il suo costo. Gli alpini pagano tale prezzo con la loro abnegazione».

Finale. Un canto degli alpini racconta di un invito fatto dall’innamorato alla sua bella perché lasci la campagna raggiungendolo in città. Questo invito però non trova la risposta, lei preferisce i suoi prati, i suoi pascoli, la meravigliosa purezza del suo mondo contadino, gli stessi valori che forse noi oggi vorremmo riscoprire.
È stata una serata festosa.
L’”Associazione Guido Tresoldi” è senza scopo di lucro, è aperta a tutti i cittadini che vorranno aderire.

PRECEDENTI ASSEGNAZIONI
Riconoscimento “GUIDO TRESOLDI”

 

1979    Contributo Apparecchiatura Dialisi Ospedale Gorgonzola

1980    Passoni Teresa – Colombo Fiorenti-*

1981    Suor Cecilia

1982    AVIS Sezione di Gessate

1983    VOS – Volontari Ospedalieri Sanitari

1984    Polisportiva di Gessate

1985    AIDO Gruppo Comunale di Gessate

1986    Brambilla Franca – Scrittrice/Attrice di origine gessatese

1987    Villa dott. Nemesio Primo – Medico condotto

1988    CARITAS - Sezione di Gessate

1989    Cooperativa «Il Naviglio» Gorgonzola

1990    Don Maurizio Bidoglio

1991    Associazione Nazionale Combattenti e Reduci – Sezione di Gessate

1992    AVSS – Associazione Volontari Solidarietà Sociale

1993    Comitato «Maria Letizia Verga»  Ospedale di S. Gherardo di Monza

1994    Società Sportiva  «Atletica Gessate»

1995    Don Umberto Zerbi – Don Augusto Meroni

1996    Corale Ss Pietro e Paolo  - Gessate

1997    Associazione Calcio - Gessate

1998    Patronati F.N.P. - I.N.A.S. - S.P.I.  I.N.C.A.

1999    Sergio Mauri – Maestro di musica

2000    Don Primo Lobartini – Parroco di Gessate

2001    Fondazione Don Carlo Gnocchi 

Walter Visconti

 

Motivi ad incastro

Serata di presentazione del libro “Ville in Gessate”
Asilo infantile Lattuada, 20 dicembre  2003

 

Nel brusio dell’attesa conosco una delle autrici, che mi assicura essere ben otto le ville in Gessate, almeno quelle di più antica  costruzione meritevoli di studio e menzione.
Ne sono ben lieto e ci credo veramente.
Ora che lo so, mi propongo di fare un giro turistico per ville. E in più, a rassicurami l’animo che nulla se ne scappi, mi trovo un bel libro fatto e finito che unisce il materiale didascalico e nozionistico sulle «Ville in Gessate». È il 3° volume in 5 anni ad arricchire la collana di opere sulla nostra città. Gessate  possiede dunque un suo valore turistico, paesaggistico, storico.

Le autrici Vanna Mazzei e Maria Teresa Campora hanno girato per archivi di stato, raccolto materiale tra vecchi catasti e atti notarili, fotografato, disegnato, intervistato. Dopo un anno e più di sforzi, nella gioiosa serata gessatese hanno così presentato e illustrato il loro libro.

Dunque l’Est milanese può apparire zona misteriosa, tra corsi d’acqua, ville, architettura, filosofia e lettere; nel suo ambiente aleggiano ricordi, ispirazioni magiche s’insinuano tra le siepi, passi solenni e fuggitivi calcano i sentieri. Ma, attenti… non di Cassano, Vaprio, Gorgonzola, Cernusco, Vimodrone si parla, ma… di Gessate! Ebbene sì! Proprio Gessate!

Personaggi illustri in gita sul Naviglio Martesana si fermavano volentieri in questa piana accogliente, facile meta da Milano e non lontana dai pittoreschi margini dell’Adda. Esponenti del patriziato milanese vi edificarono ville ove trascorrere i mesi estivi al riparo dall’umida calura. 

Tre  sono le tipologie di ville presenti: la seicentesca, come la Casati e la Ponzellini; la villa in tardo barocco, come Villa Fuentes-Salazar; la classica, come la Beccaria, la Daccò, la Sartirana, la Lattuada.

Un’idea: portare i ragazzi a vedere ciò che è loro, a conoscere le storie dei personaggi che le abitarono. Far conseguire il godimento pubblico della villa: un’espansione non programmata della città. Ed eccole le ville.

“Palazzo Casati” si trova in zona nord. Struttura a corte. È rimasta la torre e una ghiacciaia. Risale al 1500. Prima abitato dai nobili milanesi Carcassola, poi acquistato, ai primi del ’600, da Carlo Bonesana, mercante avveduto, dove, è possibile, volle sfuggire la peste, e dove invece mori nel 1630 (a Milano 80.000 furono le vittime  su un popolo di 150.000, a Gessate il frangente era migliore). La storia dei Bonesana si dipana tra successioni e liti giudiziarie (vedasi il libro di Federico Bertini a pg. 138) fino al 1744, anno di voltura dai Bonesana ai Beccaria.

“Villa Beccaria Lattuada”, in zona Cittadella. Struttura a blocco, a pianta rettangolare, a tre piani, sobria ed imponente. Fu edificata ai primi dell’ottocento forse da Giulio Beccaria. Proprietaria fu la famiglia che diede i natali a Cesare Beccarla, autore del celebre trattato “Dei delitti e delle pene”: Beccarla è il nonno del Manzoni. Tentò un matrimonio a meraviglia con Teresa Blasco, episodio dai cui racconti poté liberamente ispirarsi il Manzoni per i suoi Promessi Sposi. Divenne proprietà di Stefano Lattuada nella seconda metà dell’ottocento.

“Villa Del Conte-Osnaghi-Ponzellini”, in via Cittadella. Il nucleo centrale sovrastato da una torre risale al 1600. La costruzione è  sobria ed elegante, a struttura chiusa, con annessa scuderia, abitazione per la servitù, con portico. La costruirono i Del Ponte, poi passò agli Osnaghi, poi ai Ponzellini. 

“Villa Sartirana”, in via Badia. Ampia e articolata costruzione, dalla struttura anomala, divisa da due cortili, formata da ben sei corpi disposti a rettangolo: la villa residenziale con portici a colonne, una filanda per la produzione di seta, la residenza di servizio, alloggi per i lavoratori della filanda, la zona dei fienili, il divisorio fra le due corti. Non vive un momento di gloria: è bisognosa di restauri.

“Villa Daccò” fu edificata verso il 1835 sulla scia dell’esempio dei Beccaria con la loro. Stile neoclassico puro. Ha struttura a blocco rettangolare, sobria ed elegante. Locali non amplissimi, soffitti non ad altezze spropositate, con decori e affreschi. Ampio parco e notevole passeggiata. Cancello neoclassico puro con greche e lance. Di proprietà del comune, sede di associazioni, interamente visitabile.

“Palazzo Martelli” risale al 1600, dimora dei conti Masserati, e poi della famiglia Martelli. Culla di antichi clamori. Struttura modificata a più riprese, ora con portico passante. Di proprietà del comune, sede del Municipio, della biblioteca e di associazioni.

“Villa Lattuada”, in via Badia. Fu costruita nel 1870. Donata al comune alla fine del 1800 e adibita ad asilo infantile. Struttura semplice e lineare, non affrescata all’interno, facciata composta. Circondata da un ampio giardino. Cancellata neoclassica con motivi a greca.

“Villa Fuentes o Casa Salazar”, in località Villa Fornaci, poco distante dalla Martesana. Interessante e misteriosa. È possibile farla  risalire al 1740, costruita dal nobile Remigio Fuentes, gentiluomo storico e letterato, imparentato con la famiglia di Don Pedro Enrico, governatore di Milano nel 1600.

“Ville in Gessate” riporta anche note antiche e recenti sul nucleo abitativo di Villa Fornaci; indica l’evento della Sagra della Paciarella come possibilità per ognuno di riappropriarsi del proprio passato; riporta testimonianze del contrastato amore tra Cesare Beccarla e Teresa Blasco; descrive il carteggio tra Federico Bertini e il Metropolitan Museum di New York dove si trova un disegno del maggior vedutista francese dell’epoca Camille Corot raffigurante il Naviglio Martesana in località Villa Fornaci; documenta la profonda malinconia del Beccaria in viaggio per Parigi, la difficile amicizia tra lui e Pietro Verri, il suo sconforto e la tristezza espresse nelle struggenti lettere a Teresa, gesti che finirono per limitare la portata dell’illuminismo italiano (impedirono approfondimenti filosofici con gli intellettuali francesi e in seguito anche il viaggio a Mosca su invito di Caterina di Russia che comunque inserì in blocco il “trattato” del Beccarla nella futura costituzione).

Gustiamoci dunque le immagini di Renzo in fuga da Milano a ricercare informazioni sui valichi dell’Adda all’osteria delle Fornaci. Evochiamo le scene del contrastato amore tra Cesare e Teresa, nato tra le ville estive di Gessate e Gorgonzola. Pensiamo al Manzoni in vacanza a Gessate in Villa Beccaria, ispirato dai racconti della madre sulle vicende del nonno Cesare. Immaginiamo le riunioni conviviali tra il Beccaria e i fratelli Verri in villa Casati-Bonesana, foriere di glorie e apprezzamenti fino a Parigi, a Londra, a Mosca; pensiamo a Gessate, luogo compartecipe.

Il volume “Ville in Gessate”è disponibile presso la Biblioteca. Il ricavato della vendita è devoluto al “Gruppo Cernobil” di Gessate.

Walter Visconti

ARTICOLI 2002

Motivi ad incastro

Festa di Sant’Antonio 2002
17 gennaio 2002

 

Il Capodanno. Mi è sempre piaciuta questa festa, che più che una festa è un arrivederci; e più ancora è un augurio per propositi nuovi, una festa in cui è lecito compiacersi di ciò che verrà fatto. E siccome ciò che si farà nessuno lo conosce, si è contenti e felici, proprio come quando si è ricchi di speranze ben piazzate e riposte, e degne di essere nutrite. Che c’entra tutto questo con Sant’Antonio? C’entra perché Sant’Antonio è una festa purificatrice, innovatrice. E’ una festa cosiddetta solstiziale (vedere cenni alla pg. 204 del libro
di Bertini su Gessate); il giorno più corto dell’anno cade il 21 dicembre, e dopo circa un mese si vedono i primi effetti della luce che s’allunga. É il segno della rinascita, della primavera incombente, dell’attesa vera, della speranza che si compie. Allora occorre un cenno, una spinta, come trarre auspici per affrettare i tempi, dare un contributo morale, celebrare i propositi della buona volontà e convincersi,  – l’importante è convincersi –, tutti insieme, che sì, è giunto il momento di disfarsi del passato, seppellirlo se è stato infausto, o invocare il suo ripetersi quand’è stato generoso. Questa usanza contadina segue di poco il Capodanno. Fa freddo e nei campi gelati o in cima alle colline ci si stringe attorno a un gran falò. Le sterpaglie, le fascine e i “malgasc” per quest’anno ancor più secche prendono fuoco in un istante e danno un sonoro scoppiettio di faville che rifulge di splendore nell’arida pianura. Miriadi di piccole comete impauriscono la folla tutt’attorno. I volti spauriti dall’incendio maestoso sono illuminati a intermittenza dai bagliori. Le fiamme incontrastate si spandono nelle imprevedibili direzioni a lambire volti e corpi degli impavidi spettatori. Tocca a uno di fuggire per non rimanere chiuso nell’incanto. Tocca a un altro di rincorrere una lingua di fuoco e non raggiungerla mai dacché  è sparita nel nulla. Così l’andirivieni dal falò è come una sfida già vinta. È come un osare sicuro. Così si vorrebbero tendere i pensieri, mentire che fossero esauditi, avverati con un balzo. Ma tenui sono i pensieri di festa e di follia, e spesso lugubri le note che li animano, pur nel buio illuminato di una sera. Perciò vanno poi intrisi di sudore e di onestà e riproposti con forza e con ragione nella luce del mattino. Non scapperanno, se son buone le intenzioni; fioriranno e daranno i loro frutti nella nuova primavera. Così l’audacia andrà premiata dal bel tempo e le cortine tenebrose dell’inverno spariranno presto sotto il sole più innalzato.

Da testimonianze degne di fede pare che  il patriarca del monachesimo sia morto effettivamente il 17 gennaio. Il santo  vincitore del male è maestro nel resistere alle tentazioni, e nel ridurle, sempre con la fede, la ragione e la volontà. Secondo altre spiegazioni popolari Sant’Antonio sarebbe il padrone del fuoco, e come tale, riuscirebbe a far evitare l’inferno ai non meritevoli delle fiamme. Sarebbe anche padrone, e per questo guaritore, di quella sensazione di  bruciore detta per l’appunto «fuoco di Sant’Antonio»  (dal Calendario delle “feste e dei riti di Alfredo Cattabiani”). Cerimonie agricole di lustrazione dei campi prendono parte in gennaio fin dall’antichità. Sant’Antonio, con la sua testimonianza di modestia e di buona volontà dà lustro e auspici alla vicenda pastorale di gennaio in vista della nuova stagione.  Parla di cose stupefacenti, dello svelamento di misteri, di riti propiziatori, del bello dello sforzarsi per compiere azioni benefiche, quali possono essere la lavorazione dei campi e le sedute di conversione alle regole della gentilezza e dell’onestà. Questo basta per ingraziarsi l’attenzione di Sant’Antonio, e invogliarlo a farlo intervenire su di noi, con tutti i suoi poteri.

Bene! Si innalzino le fiamme dei falò, ma che non durino fino alla bruma mattutina! Siano stagliate nel nero del creato, oscurino le stelle, sprizzino faville tutt’intorno come strali acuti e pungenti a scuotere i cuori timorosi ed avvizziti, a renderli più intrepidi e sagaci! Sant’Antonio! Rito della purificazione e della speranza. Manifestazione di Fede nelle cose semplici, nel pane da mangiare, nella forza dell’uomo, nel valore dei gesti e dei segni.

La campagna riposa in attesa delle nuove semine e tutto lascia sperare nella novità e nella fecondità. «State alla pingue greppia cinta di serti, o giovenche», cantava Ovidio nei Fasti: «per voi verrà il lavoro con la dolce stagione. L’aratore sospenda al palo l’aratro dimesso: la terra quand’è secca teme ogni solco… faccia festa il villaggio; purgate le ville, o coloni; ponete ogni anno i doni sopra i rustici altari».

La spiritualità delle tradizioni è anche insegnamento e cultura.

Walter Visconti

 

 

Motivi ad incastro

Mostra su “San Massimiliano Kolbe”
2 febbraio 2002

 

Non sono degno di parlare di Padre Kolbe; lo faccio con grande ansia e titubanza, e pieno di dubbi e paure. Detto questo, con egoismo e a mia discolpa, devo aggiungere di essere stato spinto a visitare una mostra sensazionale su di Lui, che ha lasciato non pochi segni sulla pelle della mia anima.

Nel freddo serale avido ed angusto del tardo gennaio aspettiamo con ansia il privilegio di salire nei locali al primo piano dell’oratorio di Gessate dov’è allestita la mostra, sobria, umile, divina, sul Padre francescano Massimiliano Kolbe proclamato “santo” da Giovanni Paolo II il 10 ottobre 1982.

È come entrare in un clima di pace, nelle stanze si prova un senso di serenità e timore, si avverte un monito, un rimprovero, ci si adagia per degli attimi sul nulla della vita e sul tutto del creato. Mutano i sentimenti. È difficile pensare  di meritare lodi, o desiderare di divertirsi, di distrarsi; cambia  il senso del piacere, quello della soddisfazione, la dimensione della realtà viene rimisurata in attimi profondi di concentrazione estrema: l’importante è che lasceranno un solco, una traccia che fornirà al proprio destino un motivo in più di spiritualità, di senso di armonia della vita e delle cose; un proficuo simulacro generosamente donato dalla  provvidenza, e al quale affidarsi in caso di bisogno.

Prima di continuare devo assestare un colpo alla mia coscienza per rimetterla tranquilla e raccomandare a quelli che hanno “saltato” la mostra, di rincorrerla pure dov’essa sta, nei paesi vicini o lontani, ovunque, o altrimenti di documentarsi sulla vita di Padre Kolbe e riflettervi umilmente; lasciarsi avvolgere dai flutti del suo mare e trarne l’emozione miracolosa della salvezza.

Ciò che voglio attingere da questa visita è cronaca di sensazioni e sentimenti, e, lasciatemi dire che n’è valso qualcosa in più di un semplice spaziale appagamento visuale.

Fermezza e fede di Padre Kolbe: ecco gli insegnamenti. Ecco le didascalie che appaiono feconde dai pannelli della mostra. Le idee e le intuizioni, intese come piani di Dio, divengono realtà con la determinazione e l’entusiasmo, a costo della vita. La vita stessa, intesa come viaggio, ha un’andata e un ritorno, e in mezzo sta una calata. L’andata è la volontà di comprendere, l’ipotesi, la speranza (la rivelazione); la calata  è il fulcro della vita, l’analisi, l’ispezione, l’attivazione dei propositi (la missione); il ritorno è sinonimo di fine, di conclusione, di apoteosi e di soddisfazione (il sacrificio).

Ed ecco ancora: i segni. Tutto si sviluppa nella fede e nella visione mistica dei contenuti. Le rivelazioni nella vita avvengono in maniera schiva e segreta. Ognuno le ha e le medita intensamente. Qualcuno ne resta folgorato e pertanto condizionato, talaltro, sciagurato, incautamente le trascura e non fa tesoro degli offerti benefici. Per Padre Kolbe alcuni segni furono: l’apparizione della Madonna con le due corone, l’una bianca (la purezza) e l’altra rossa (il martirio) e il suo dolce sguardo; a Roma la miracolosa guarigione del pollice della mano destra bagnato con l’acqua di Lourdes; il misterioso effetto del colloquio con la madre nel seminario di Leopoli a farlo riflettere sull’intenzione di lasciare l’Ordine dei francescani.

Ma in Padre Kolbe esistono anche le fantasie, dolci, mistiche e felici, perché la speranza e la felicità si mescolano nei sogni e nella fede, attraverso le fantasie, a cui guai rinunciare: l’etereoplano, un velivolo con cui solcare il firmamento; un progetto per catturare le onde sonore del passato e udire la voce di Cristo.

Ma soprattutto cose reali, effettive, pratiche, enormi, incredibili, avveniristiche: la fondazione de “La Milizia dell’Immacolata”, la stampa del giornale “Il Cavaliere dell’Immacolata”, la sua distribuzione per via aerea, la fondazione della città dell’immacolata “Niepokalanow”con la sua organizzazione: la centrale elettrica, la tipografia,la chiesa, la cucina, la mensa,le macchine tessili, il viaggio a Nagasaki e la fondazione della comunità cristiana giapponese “Mugenzai no sono”, la stampa della versione in ideogrammi del “Cavaliere dell’Immacolata” dopo poche settimane, senza bisogno di tipografi locali. Che dire?

Sobrietà e impulsi da ascoltare; fantasticare col cuore e con la mente, con fede profondissima nell’Immacolata tanto cara ai cattolici polacchi, senza alcuna parsimonia di sé. Non, lasciarsi armare da smoderatezze, da velleità, da inconsistenze. Perseguire i sogni, per rifornirsi di carburante per la vita. Solo così le risoluzioni e i progetti si fanno belli e attraenti ai poli del nostro intelletto.

Caro Padre Santo Massimiliano Kolbe, non voglio parlare del tuo sacrificio finale (del tuo ritorno), così ognuno di noi si informerà e lo  immaginerà nella sua mente. Non so se ti seguirò, perché sono tra i deboli. E per morire occorre forza. E poi, quando ci si sveste delle toghe dei misteri e ci si trova davanti al bivio dell’abbandono della vita, allora molti di noi sono stanchi e titubanti, confusi e già sfiniti, ancor prima di morire.

Le tendenze orfiche della vita non si oppongono ai misteri.

L’unica vera consolazione che provo dopo essermi documentato su di te, Padre Kolbe, è che forse, esistono persone che nascono forti e altre che nascono deboli.

Walter Visconti

 

 

Motivi ad incastro

Teatro a Gessate con:
Il Gruppo della Martesana Due

6 aprile 2002

 

I ricordi sono lo strascico dei tempi. Vediamo in proposito quanto è successo nel Teatro Nuovo di Gessate, e quali premesse vi siano di riproporre sempre più spesso avvenimenti teatrali che sappiano creare false realtà e far sognare sogni reali sempre nuovi.

Sono le 21:05, e dietro le tende rosse si notano i primi fermenti. «Sono emozionata, mi piacciono le emozioni, o meglio, le esperienze nuove…» Così un commento sincero e schietto esprime il sentimento suscitato dal teatro in una spettatrice curiosa e fremente. “Il Gruppo della Martesana Due” appare come l’erede de “I Legnanesi” di una volta, quelli che spopolavano negli anni ’70, quelli giusti, quelli veri. Due su tutti i nomi di personaggi della commedia dialetta le milanese (o lombarda) ad essere ripresi: la “Teresa” di Felice Musazzi e la “Mabilia” di Tony Barocco, impersonati nel Gruppo dai bravi Maurizio Maratea e Paolo Cambiaghi rispettivamente.

A ripensarci, tornano alla mente alcuni spunti dei più belli, dei più puri della perduta milanesità…, e qui sta all’età e alla memoria di ognuno, nonché alle tradizioni familiari, trarne gli spunti per rievocare momenti ormai lontanissimi nel tempo; ma basta un richiamo ed eccoli riapparire come svelti malandrini, bonariamente raccomandando di fare silenzio (de fa cito!).

Qui a Gessate siamo quasi ai confini con la Bergamasca d’oltre Adda, a un tiro di schioppo verso nord già ci troviamo ai piedi delle sottocolline brianzole, dove cambia lo strascico delle «e…»  lla meratese. Molti, – stavo dicendo, – ricorderanno il “Ciciarem un cicinin” della domenica pomeriggio radiofonica, quando ancora la famiglia si riuniva in cucina, al calduccio della stufa a carbone, la nonna ad attendere la voce di Evelina Sironi, il papà impaziente del successivo collegamento con “Tutto il calcio minuto per minuto”. Erano momenti di felicità, ora persi e introvabili, nei pomeriggi domenicali di forzata permanenza nell’abitacolo di un’auto, o in fiduciosa attesa in coda a un casello autostradale. Poi, finita l’epopea radiofonica, la TV prese a sostenere tutte quante le vicende domestiche, e anche i nonni, i figli dei nonni, e infine i nipoti dei nonni di allora (che saremmo noi di adesso, dai trenta ai cinquanta), persero un po’ alla volta quegli affetti immeritati.

Ma c’era un nucleo di commedianti (per il vero era sulle scene dal 1949), che si fece riconoscere per lungo tempo e divenne assai rappresentativo della stagione milanese-lombarda negli anni che seguirono: erano la compagnia dei “Legnanesi”. Le impulsività, le urla dialettali fuse nelle magiche vesti sgargianti di colori, costrinsero molti di noi – qualcuno ricorda? –ad accasciarsi al suolo dalle risate, risate sguaiate, genuine; non risolini di satira elegante e appetitosa, ma autentiche genuflessioni alle regole del suono, quasi trasgressioni del ridicolo, vere punzonature per folli gare dell’esagitazione, grancasse per spropositate enfatizzazioni in vernacolo di semplici dialoghi di cortile. Dunque, io spero che lo spettacolo offerto sabato sera a Gessate abbia potuto appropriarsi in giusta misura della memoria e dei fasti di ciò che ognuno avrebbe voluto ricreare, o rivisitare.

Fatto sta che la compagnia ha segnato un bel battesimo per la stagione teatrale del nuovo cinema- teatro di Gessate. Sono scesi in pompa magna i neo Legnanesi (chiamo così il Gruppo di Cernusco nato nel 1983): hanno invaso con scene, costumi, luci e colori vivissimi l’incredulo “palco”, che quasi non conteneva la portata di quel fiume di gesti, parole, musica e balli. La sala è stata inondata dalle 9 a mezzanotte da un’ininterrotta sequela di fraseggi e di azioni recitate con rapita ed entusiastica veemenza. Il pubblico ha accompagnato lo spettacolo con una risata intensa e gaudiosa, come succedeva al Manzoni o allo Smeraldo per i Legnanesi di una volta, e come avveniva in famiglia nella cucina riscaldata dalla stufa a carbone  all’appuntamento domenicale con il “Gamba de legn”. Dunque, ben vengano nuovi ispirati Gruppi teatrali a rischiarare quanti più sabati sera si potrà nella piana lombarda, e particolarmente in quel di Gessate. Li aspettiamo, nuovi emuli delle tradizioni del milanese, col loro fragore, con i loro toni vividi ed energici. Si inventino, si formino nuovi gruppi, nuove compagnie, alla buon’ora! 

Walter Visconti

 

 

Motivi ad incastro

 

La Globalizzazione” dopo l’11 settembre
Convegno al Teatro-Cinema  di Gessate

23 aprile 2002

 

Ecco qua i miei appunti! Globalizzazione!
Medicina che risolve, causa che scatena tutti i mali del mondo.
È vista come un fenomeno da contrastare, come lo fu  la Rivoluzione Industriale due secoli fa, ai suoi esordi. Detto da Padre Gianpaolo Salvini, che si occupa di problemi di sottosviluppo nell’America del Sud, economici del Terzo Mondo, che dirige da 17 anni “La Civiltà Cattolica”, ed è un economista.

La Globalizzazione! Tutti usano questa parola. I Francesi dicono “Mondialization” per distinguersi, come sempre.
Diamo subito la definizione data dall’OCSE: La G è un processo attraverso il quale mercati e produzione nei diversi paesi diventano sempre più dipendenti tra loro a causa della dinamica dello scambio di beni e servizi e attraverso movimenti di capitali e tecnologia..

Ecco una serie di caratteristiche della G: potere di unione economica: sì; potere di unione culturale: no (per ora).
È un mito: per molti; è da demonizzare: per la maggioranza.
È un fenomeno messosi in moto “prima” della sua teorizzazione.
È nato per decisioni “umane”, dal “basso”, non per decisioni “politiche” dall’”alto”.

Altre considerazioni. La G designa uno stato d’animo. La G è un’entità senz’anima, elegge un ambiente soffocante in cui ci si sente rinchiusi. L’impressione è che manchi l’aria. Si globalizza l’economia, ma non si globalizzano i valori (ad esempio la solidarietà). Chi è il soggetto della G? Non si sa. La G non ha ancora una dimensione politica, perché le manca un’etica e una mitologia, quindi non piace molto ai giovani e ai religiosi, gli intellettuali sono critici sul fenomeno, la letteratura è cauta. Perciò i “No Global” la contestano, ma senza proposte alternative (per ora).

Dopo l’attentato alle Twin Towers la G è stata accelerata o ritardata? Padre Salvini dice: «A mio avviso è stata “ampliata”. È stata globalizzata la paura, globalizzato il terrorismo. Conseguenze: violata la sicurezza nazionale; viviamo come in una nuova forma di colonizzazione». Ancora. Nessun governo si oppone alla G.
Tutti vedono in essa dei vantaggi economici. Persino Fidel Castro dice: «È un fenomeno della natura come la forza di gravità. Occorre “regolamentarla” per sfruttarla in senso positivo». Da notare: nessuna enciclica sulla G è apparsa finora. La prima enciclica sociale fu la “Rerum Novarum”. Ogni decennio, dal 1931, esce un documento sociale. È dimenticanza o stanchezza?

Dunque, G nel bene e nel male, secondo l’uso degli uomini.
Il nostro mondo è divenuto piccolo e mobile: scomparse le barriere “tempo” e “spazio”; cambiate la “velocità” e l’”estensione”. La trasmissione a distanza di dati, la velocità dell’informazione fanno venire in mente una “rete” che avvolge tutto il mondo, Internet per l’appunto, una struttura economica sviluppata a rete, per governare i mercati.

Ma la povertà nel mondo, con la G, aumenta? Secondo il mondo missionario aumenta: pensiamo alla Tanzania, pensiamo all’Argentina o all’Africa Nera. Secondo i dati dell’ONU diminuisce. Oggi si fa molto di più che un tempo per combattere la povertà, ma con ciò non è detto che diminuisca.
L’85%  della ricchezza prodotta va nel 22% delle mani (in Italia il 40% della ricchezza appartiene al 10% più ricco). Da quando esiste la G, cioè dal 1975, nel mondo, la ricchezza che prima si stava spalmando un po’ meglio, oggi si concentra sempre di più.
Forse oggi tutti stanno meglio, ma le disparità vanno aumentando. Altre conseguenze della G: aumenta la competitività, le grandi ditte sono costrette a fondersi, si provocano dei licenziamenti, e il bello è che con queste notizie le azioni delle nuove ditte salgono.
Una piccola consolazione in casa nostra: l’Italia è anomala in questo, è molto competitiva all’estero dove le piccole e medie aziende sono molto presenti e tranquille.

E ora si fissino alcuni buoni propositi per la G: lo studio diventa fondamentale per conoscere l’economia mondiale. Meccanismi culturali non indifferenti si annidano nella G, occorre sfruttarli. E guai a dire che la G debba smantellare lo “stato sociale”! La maggiore conquista del secolo appena finito, che ha eliminato la povertà di massa, non si può discutere né smantellare. Estendere lo “stato sociale” a livello globale, globalizzarlo, questo sì! Estendere i meccanismi di trasferimento del benessere. Globalizzare la solidarietà. Non ci sono ancora le avvisaglie di una simile battaglia. Ma questa è la grande sfida a livello mondiale. Ci vorrebbero leggi internazionali, regole che incentivassero certi comportamenti e ne scoraggiassero altri in modo che la G venisse incanalata verso una maggiore equità mondiale. Per esempio, i paradisi fiscali, stati sovrani con leggi favorevoli per chi vuole nascondere soldi, dopo l’11 settembre, da 36 che erano, sono stati ridotti già a11 (per volontà dagli USA dopo la scoperta che in alcuni di questi sostavano i soldi di Bin Laden). Dunque si possono fare delle regole. La UE, costituisce una risposta civile alla G. Attorno ai tavoli si dicono tante cose: occorre restituire il primato alla politica, toglierlo all’economia. L’economia di mercato è come  una pecora: va tosata, non ammazzata. Ancora: l’afflusso dei clandestini che affligge l’Italia deve trovare una soluzione nei loro paesi. Occorre migliorare l’economia di “quei” paesi; certo, ma ciò significa impoverirci noi! E noi abbiamo un difetto: siamo egoisti. Ancora: la fame nel mondo va risolta. Esistono quantità di prodotti per sfamare tutti.Ma i prodotti agricoli, per essere consegnati devono essere pagati (prima)! Ed ecco una frase accomodante: “Ma l’economia di mercato non può arrivare a tutto!” Oh! Che benevola espressione! Se saremo capaci di distribuire ricchezza, allora la G, veramente, sarà una nuova rivoluzione. Ecco la cosa  più importante emersa dal convegno: l’idea che il futuro obiettivo per noi tutti sia quello di  globalizzare l’etica. Ciò potrà veramente costituire la salvezza del mondo intero. Significherebbe uniformare le regole, in senso generale, e quindi raggiungere il compimento di quell’obiettivo tanto ambito che sarebbe “il rispetto reciproco delle religioni”, degli usi e costumi. Significherebbe il superamento dei “nazionalismi” e il ritorno a quella sorta di convivenza tra i popoli delle varie sponde, che si miscelerebbero tranquillamente e senza odi. Ma questo costituirebbe l’instaurazione di un dominio delle etiche mondiali.Ciò costituisce materia di studio e meditazione per tutti.

La Globalizzazione potrebbe costituire la salvezza del mondo. Con l’invito a Padre Salvini il Cine Teatro di Gessate si è lanciato in una sfida veramente affascinante. Il livello culturale è senza precedenti. L’incontro si è sviluppato su temi grandiosi. L’interesse raggiunto è stato notevolissimo. Veramente la serie di inviti si è posta su un binario di assoluta grandezza.

Walter Visconti

 

 

Motivi ad incastro

Concerto d’Autunno 2002
19 ottobre 2002

 

Sera di sabato 19 ottobre 2002: Nella chiesa parrocchiale di Gessate. è grande attesa del Concerto. Le navate sono gremitissime, già 45’ prima dell’inizio. Trovo una sistemazione sufficiente che mi permetterà  di udire e solo intravedere. Sfoglio l’opuscolo e noto che anche quest’anno si è attinto a musicisti italiani, per stare sul sicuro.

I parte. Ore 21.00 in punto: entra l’orchestra Gaetano Donizetti. Segue la “CORALE Ss. PIETRO E PAOLO” a prender posizione innanzi al rosso vellutato dell’altare.
Abbia inizio l’11° Concerto! Dopo il  magico evento verdiano
di cui nostalgico è il ricordo, si apre con le famose “Stagioni” di Vivaldi, musica per archi. È scelto l’Autunno. Sensazioni di fato e abbandono iniziali, da cui però già occhieggia la rinascita, e sempre più si snoda e riconosce la parentesi omeopatica della natura, che non muore, anzi rivive con fulgore crescente di rintocchi distesi ed incalzanti. Virtuosismi di violini si susseguono in turbinii dai malinconici richiami: insistenti, dominanti, operano conquiste e liberano consensi. Applausi e “bravi” subito per tutti, ma è solo l’inizio. Si procede con un fresco assunto dalla corale: il “Gloria RV 588 in re maggiore”, una base rappresentativa della “appassionata e misurata pratica polifonica” di Vivaldi (come Mario Ronchi definisce la musica sacra del compositore). Interpreti Sandra Vanni e Giovanna Caravaggio. La voce della Corale si stende in tutta la sua ampiezza fonica nel primo brano. Nel secondo, acuti contrapposti in fasi colme di nenioso misticismo riassumono la comunicativa ascetica del “gloria”. Alla terza ripresa, virtuosismi del soprano e splendide risposte orchestrali. Quarto brano: breve e intenso richiamo con coro in esplosiva completezza. Quinto brano con dialoghi iniziali tra soprano e orchestra. Melodia morbida e fluente. Sesto brano: di nuovo coro e orchestra in piena espressività, accordo e autonomia. Settimo: soprano e orchestra in delicato confronto. Ottavo: corale in tutta la potenza nel “miserere”. Intrecci fantastici di voci. Nono: ripresa con dolce melodia orchestrale, assolo del soprano. Espressioni come ondulazioni su declivi collinosi si accolgono a vicenda (voci e orchestra). Decimo: orchestra più soprano in ariosi saliscendi. Undicesimo: entrata imponente del coro, subito supportato dall’orchestra. Apoteosi finale. Prova veramente stratosferica della corale, in un finale emozionante e intensissimo. Chiusura monumentale e applauditissima. Superato a pieni voti l’esame anche quest’anno. Intervallo. Un po’ di riposo per tutti. Odo balenare ipotesi di spaghettate, e mi adeguo poiché la fame sale.

II parte. Ecco gli annunciati fuochi d’artificio: dal “Guglielmo Tell” di Rossini, ouverture per orchestra, con direttore Giacomo Mologni. Ossessiva e impetuosa, mutevole, impavida, prima tenue, flebile, poi massiccia e imperativa, colma di eco e rimbombi, tremuli e spavaldi; densi e conclusivi appelli miscelati a perduranti cinguettii e urla trascinanti. Tutte insieme le trombe ad effettuare l’impetuosa cavalcata, tutte al preludio della carica sommessa e travolgente. Enfasi finale con grancassa e scuotere di cuori e trombe e violini e l’orchestra tutta  (fiati e corde). Da “Dal tuo stellato soglio” dal Mosé, ariosi scambi di battute con leggiadra melodia al seguito. Splendida alternanza di voci lungo un ubicato filo conduttore. Riverente e generoso applauso.
Poi due brani dalla “Cavalleria” di Mascagni. Prima “Gli aranci olezzano”. Suono di campane e musica orchestrale variopinta subito in auge. Ritmo e melodia visibili, e riconoscibili. Coro alle prese con l’ouverture ricorrente. Arioso susseguirsi dell’amato ritornello. L’incedere del tenero canto è armonioso, grazioso, sensibile, ammaliante nelle proposte e nei ritorni. Poi è la volta di “Intermezzo”. Musica piena, completa, non dirompente, melodiosa e continua, distaccata, discorsiva, tenace, propositiva, variegata, colloquiale, tenue. Siamo nella sfera del sublime, detto dal Maestro Costante Ronchi. Ultimo brano, sempre  dalla “Cavalleria”: “Il Signore è risorto”. Organo in apertura, con espressione piena. Sandra Vanni e Corale cantano insieme, rivaleggiano. Fusione celeste di voci: scandita dalla solista impetuosa del coro, in una resurrezione irreale e suprema di tutto. Applauso finale interminabile, con diversi richiami. Cose grandi in una piccola città.

Brano di Verdi, immancabile, in chiusura: “Và pensiero”. Fase dirompente iniziale, poi lo sfumato tremolio… come di stelle. Alla euforica ripresa… brividi salire per il corpo e una lacrima scendere sul viso. Esistono ancora bontà e trionfi…
“Alleluia”, di Hendel, trionfale ultimo regalo.
Un grazie infinito ai protagonisti della serata. Arrivederci.

Walter Visconti

 

 

 

IL GIORNO
In ricordo di Marilena Mapelli

 

  1. Cara Marilena, eri e resti persona da conoscere, da non perdere, con cui dialogare, fare…, sempre, anche ora, nel giorno sereno del ricordo. Vedonsi astratti petali di peschi in fiore ad accudire sul vivido tuo viso, ora silente e stanco nella calma del celeste. Altisonanti furono gli impatti ormai divelti con la vita tremula e sagace che tenesti. Si apre dunque una nuova età per te, quella del creato: delle luci, delle acclamazioni, delle dolci pause riposanti. Un fremito: Chi sa! Senza di te paura immensa della vita, più che del nulla!

Quali “motivi ad incastro” potranno ora scriversi per te? Tu che fosti il nostro altare benigno, ora guardi le voci qualificarsi ad una ad una per le vie disaffollate, colme di fiori e piante, a salice, piangenti, ad avvolgerne non il percorso accidentato, ma l’ampio ambulacro per le vie dell’universo misterioso. Chi ti accoglierà placido e sereno non sarà il fato, bensì l’inno alle glorie elargite a profusione.

*

  1. Tu, amorevole, rimarrai nel ricordo: ferma, bonaria, sensibile, sapiente, dolce, modesta, colta. Le sembianze tue, pallide e serene, smosse, non faranno di te cenno alcuno alle speranze ritorte, tradite dagli ultimi tempi riluttanti, gemelli di alterne gioie e dolori.

Era un piacere parlarti. Toccando con l’udito le tue parole virtuose e ponderate si provava un gusto etereo e ammaliante; riverenza al cospetto dell’anima discreta: da lei, taciti consigli e commenti illuminati si insinuavano sicuri in seno alle anse fatiscenti delle sponde.

Ancora, ricordando gli umili richiami a chiarimento delle prove dei futuri “dialoghi” gessatesi. Ansie e impegni, gioie e malumori erano profusi nelle pagine del “tuo” Dialogo, alla fonte di nuove iniziative. A volte un po’ smarrita ti piegavi ad accettare le proposte di noialtri, a volte sembravi ritrovata nell’accogliere degli spunti, senza mai reprimere alcunché, senza sfasature e interdizioni.

Ti piaceva il bel lavoro accorto, complice dei vividi modelli di gioventù che amavi; e amavanti…, con le loro storie, la loro freschezza, tramutate or ora in lacrime e sorrisi, tutti per te…  

*

  1. È bene piangere; non per nulla lo si fa; alquanta è la paura di non poterlo fare a rimembranza inespressa e inesaudita. Ma poiché tu eri ben protesa ai nostri cuori, averli conquistati ti bastava, nevvero?

Ora, ecco che noi si piange copiosamente, senza ritegno alcuno, per te, per la tua memoria melodiosa, che accompagnerà spavalda i nostri “Io”, e li vedrà poi portarti dentro, e te calarsi dentro ai loro cuori, e rimanervi per lungo lungo lungo tempo ancora.

*

  1. Ora tu riposi addormentata nel tuo candore statico e profondo, come a ritemprare le membra, e la maschera del cinico anfitrione non rimarrà al tuo fianco per lucrare mosse e aspetti vaghi e fuggitivi.

*

  1. Cara Marilena, ancor più ricchi del tuo incessante arbitrio schivo e melodioso, non sappiamo come piangerti, ed è questo il merito maggiore dei tuoi pregi veritieri: il non lasciare veli oscuri sulle soglie, il non permettere ad ansanti larve trascinarsi senza speme, a piante e germogli arrestarsi senza fioritura. Che venga il “dunque”, che si faccia la “natura”, che sorgano i “palazzi”, che tutto continui su di te, anche senza la tua fisica presenza, al cospetto del tuo ricordo impellente e duraturo!

*

  1. Le preci serviranno, oppure no! Che importa al divenire degli affanni?

Come sarà, come farà senza di te il “Dialogo”? Non sarà uguale; ma ancor sarà.

*

  1. Ecco, gli animi sono concitati dalla calma e dal pudore dei tuoi gesti. Le tue accorte frasi ancor fanno menzione in mezzo a noi e si accordano al futuro glorioso del tuo animo fecondo. Divini sentimenti approdano al tuo cuore, ovunque si trovi, ora e sempre, nel tempo indefinito dell’eterno.

Lodati siano i canti tuoi orfici, e la notte.

26.09.2002  Walter Visconti


 

 

ARTICOLI 2001

Motivi ad incastro

Sagra de la Paciarèla,
6-7 ottobre 2001

Il corteo compare a stento nella bruma velata in fondo al viale; l’incipiente passo lo dirige verso il destino all’ampia Corte, la Corte Grande così nominata, così inventata da pochi anni; propostasi a ricevere le nuove e future manifestazioni, ad accoglierle con enfasi dall’alto dei pennoni, arricchiti di stendardi antichi, dipinti coi colori degli storici rioni di Gessate.
L’incedere lento del corteo è scandito da un batter di tamburi, poi vengono i carri, addobbati e carichi di donne dorate sulle guance, dagli occhi penetranti, che se le guardi fisso son pronte a far riecheggiare in te lo sguardo senza lanciartelo, standosene ferme, recitando caute la loro parte. Quando l’elemosina del Palio si conclude debolmente, nella piazza agghindata e predisposta, soffici pensieri accorrono alla stralunata gente riunita e desiderosa ‘di chi sa cosa’. Ecco allora l’alveolare abbozzo delle gesta antiche, dimentiche, confuse nel tempo, nascoste nei meandri del passato; tentano di farsi luce debolmente, in una luce sbiadita, malinconica, defunta.Alcunché di occulto e di sfinito tenta di uscire dal profondo di un buio annoso, con tremori e paure. Chi vi assiste non crede alle vesti, né ai costumi. Siamo noi, così mascherati dal gusto amaro del vecchio, siamo noi nel tentativo di risorgere, riuscito?
L’avanzata metodica del corteo, l’applauso indeciso della gente (gli sguardi curiosi, indagatori, volti al vicino travestito, ansiosi di scorgere un difetto), di gente avvezza alla custodia dei segreti, all’esumazione dei ricordi; mentre i segreti andrebbero svelati e i ricordi custoditi. Perché gli sfilanti, beati e sorridenti, non diventano tristi e malinconici per poco? Ma è meglio stare beati e sorridenti o tristi e malinconici? «Entrambi gli stati, all’uopo delle cose» dicono i sapienti. «Come ti va? Come ti senti? È importante che tu sia» dice l’amico che l’ha saputo da un bene informato di questioni, e non ignaro di sentimenti.
Il vero Palio, il più “paciaréloso” che vi sia, si conclude alla Corte, alla Grande Corte di Gessate, tra i volti pensierosi e gli sguardi indagatori, tra una manata e un arrivederci, con l’occhio vigile ai presenti, a veder chi s’aggira tra la gente nella piazza. I vessilli se ne scendono, e ogni complimento è già sprecato, al vicino, al conoscente, all’invitato, all’ospite d’onore.
Alla moglie dell’amico siciliano, venuto con passione, se ne chiede un gesto, un conto, e dice: «Bene, m’è piaciuto, le tradizioni m’appassionano, i costumi m’incantano, le fedi antiche m’abbrividiscono.
È questa la ricerca affannosa della storia. Ogni istante di essa rivissuto non è perso». All’altro, di Lombardia, venuto da Abbiategrasso, con curiosa ‘verve’ di critica e tenzone nella pelle, domando: «Come t’è parsa la sfilata?» E lui risponde: «Oh! Notevole, e sobria la festa di colori, e le menate dei costumi, e gli ottoni a fiato, e l’inscenata tutta». Ultimo, il giovane amico avellinese, - ué, guagliò, che fai accussì? - invitato con la ragazza bellissima e sapiente, non s’oppone al commento colto ed ossequioso: «Un fatto per me nuovo e sconosciuto, gradito ed ammirato, che t’apre una finestra sull’altrui mondo, per riconoscerlo e apprezzarne le diversità».
Sulle piastre lucide di pioggia, s’allinea la modesta gente, fiera con poco, e giunge alla Corte nelle fila ondulanti e rarefatte ad incitare la ‘commedia’ del processo.
Con grande pompa, lingue di fuoco nere e minacciose sul giallo dei vessilli, avanzano annunciate da un rullo di tamburi. Giunte al cospetto della Corte, un ardito sbandieramento mostra il vezzo di tre leggiadrissime coppie di giovani vestiti d’oro, di nero e di rosso.
Dinanzi al palco, sotto i pennoni spogli, l’attesa è ora fra le gocce, e la gente si dirada e lascia spoglio il davanzale. Allora s’affrettano i tempi e ha inizio la commedia’, e per incanto la pioggia dà una tregua.

«Ora cominciamo a rivangar ricordi…»
«Ecco, è il momento…»
«Una voce sento già…»
(una musica antica, un coro di ricordi)
«Ecco…»
«Un tempo lontano…»
«Passavano le giornate…»
«La contesa…»
«Il palio…»
«In casa del Conte…»
«La disputa…»
«Come andrà a finire?»
Trecento anni fa, scarsi di cibo e denaro, si lavorava senza orario. Il feudatario succhiava. Fu così che i paesani si dettero a muovere contesa…
«Benvenuto avvocato…»
Ecco l’inizio attaccato da Nino, senza emozione, il mio vicino, ed ecco il suo primo bicchiere sorseggiato appena dopo 1’e 30’’.
Ah! L’avvocato Sovico! Ma sì, è Ronchi, lo conosco…, Maestro del coro.
«Il Conte Malesani… è ricco…»
«Qualche speranza l’abbiamo»
Era il 1685. Alla fine i paesani divennero protagonisti, e ricevettero del pane.
«Il conte Bonesana… ecco le sue ragioni».
Al ‘silenzio, entra la Corte’… un rullo di tamburi… squilli di trombe...
Bella e decisa la recita finale!
Nino si congratula con Ronchi, e beve un altro sorso, il quarto per gradire (anche Costante beve, se ne intende).
Gessate 15-10-2001

Walter Visconti

 

Motivi ad incastro

Concerto d’autunno,  
20 ottobre 2001

Davanti alla facciata illuminata della chiesa, sul selciato lucido di pioggia, i solerti Gessatesi sostano impazienti nell’attesa dell’evento, come a una prima alla Scala.
Il «Concerto d’Autunno» apre la stagione vitale del paese. Ecco… finalmente siamo pronti! Da qui inizia un nuovo anno di fatiche e di speranze; per tutti, per noi che resteremo fedeli ai sogni, agli inviti e alle premure, consuete e previdenti.
Ecco…, si entra. Due imponenti arpe troneggiano silenziose accanto alle sedute vuote dell’orchestra. Strisce di velluto blu attendono sull’altare le corali. Il ‘Pater noster’ della cupola absidale è illuminato a giorno e a lui si elevano maestose le argentee canne.
È un anno speciale. Tanti sono i genetliaci: è il decimo Concerto d’Autunno; 15 anni per la Corale di Gessate, 25 per quella di Capriate; è il centenario verdiano, e il programma è dedicato al Gran Maestro.
È il 50° di Sacerdozio di Don Primo. E vi saranno regali, lodi e sorprese. I 120 coristi entrano sommessamente e si dispongono sui gradini dell’altare. L’orchestra sinfonica ‘Gaetano Donizetti’ si insinua lenta a prender posto. Dopo l’applauso al direttore Giacomo Mologni, inizia la Prima Parte del Concerto con la Sinfonia da ‘Giovanna d’Arco’. Subito s’impone l’enfasi verdiana, e via via lo sviluppo con gorgheggi melodiosissimi di flauti. E l’orchestra a dialogare sicura. Il brano viene eseguito magistralmente, e trascina il pubblico vigile ed attento. Si conclude in gran trionfo. «Se la partenza è questa…» è il commento del presentatore!
Poi è la volta dell’’Ave Maria‘ da ‘Otello’. Attacco dolce e garbato. I violini accompagnano il soprano Sandra Vanni lungo l’ardito percorso, intonato con voce magica e divina: una preghiera di grande effetto.  Il brano a seguire è la tesi di laurea per l’orchestra e per il coro: il ‘Te Deum’ scritto proprio per doppio coro con orchestra, grido di dolore di Verdi alla fine dei suoi anni: musica maestosa, complessa, dai toni supremi e definitivi, dialoghi profondissimi e altisonanti tra orchestra e corale. La apocalittica difficoltà viene affrontata con tenacia e coraggio, e superata gloriosamente con impeto e fierezz a. L’armonizzazione delle voci è perfetta, la spiritualità della musica è divina.
Il finale è di una incandescenza ‘bianca’. Applausi interminabili. Interviene Don Enzo con un augurio concreto e motivato. Gli viene assegnata ufficialmente la ‘Presidenza’ della Corale, succedendo a Don Primo, che ne fu l’iniziatore.
La Seconda Parte  si apre con la sinfonia da ‘La forza del destino’. È un Verdi maturo, dalla stagione eroica, di San Pietroburgo. Impeccabile l’esecuzione orchestrale. Poi è la volta de ‘La vergine degli angeli’, il notissimo brano sempre da ‘La forza del destino’ col soprano Sandra Vanni e il basso Claudio Zardo. Inizio con organo, poi dolce introduzione sospinta dai violini. Violini e organo a dialogare, come preludio. Soprano e basso si incuneano nel coro e lo sovrastano a vicenda. Gran finale. Un tutt’uno tra coro, orchestra, soprano e basso, con il pubblico amico e fedele ad applaudire intensamente.
9 marzo 1842, Milano… Teatro ‘Alla Scala’. Va in scena ‘Nabucodonosor’. La sinfonia è il pezzo d’apertura, impetuoso, amatissimo e fecondo, scelto per onorare Verdi e scuotere i cuori gessatesi. Battute di violini, di trombe, rullii di tamburi. Poi l’aria maestosa, dolce e malinconica si fa spazio ed anticipa la replica finale, che verrà, trascendente a rivelare a ognuno nuove sensazioni. Orgoglio e passione covano nei cuori per esser rilasciate nel non lontano avvento. Un applauso fragoroso, convinto, benedice l’atto fiero ed elegante. Segue un ulteriore collaudo per le due corali, impegnate in continui saliscendi nel brano ‘Gli arredi festivi’, sempre dal ‘Nabucco’.
Infine ‘cose sublimi’, normalmente sublimi, a tanto si è avvezzi quando s’ascolta ‘Va’ pensiero’, la musica più bella d’Italia.
Il tintinnio scandito in apertura è come il battito del cuore, come il flusso del destino. L’onda dell’aria mesta e generosa ti culla e ti assicura. «Arpa d’or…» è il grandioso ritorno alla speranza, il suo ripetersi… fino all’infinito delle stelle. La tristezza e il dolore scompaiono, si mutano in gioia e virtù.
Seguono applausi e apprezzamenti: al Sindaco e all’Assessore, ai Signori della ‘Buona Volontà’, ai fratelli Angelo ed Emidio Colombo, al Soprano Sandra Vanni, al Basso  Carlo Zardo, al Direttore Giacomo Mologni, all’Orchestra Donizetti, agli Organisti Paolo Giustinoni e Simone Giani, al Capo Coro Benedetto Formicola, ai due Maestri Costante Ronchi e Mario Cattani, ai 120 Coristi (provano due sere a settimana per dieci mesi all’anno), a Mario Ronchi il Presentatore…
Tutto deve continuare, instancabilmente, perché «l’Arte, - ci riporta il Sindaco Luisa Balconi a ciò che disse il Foscolo, - non consiste nel rappresentare cose nuove, bensì nel presentarle con novità».
«Bravi, bravi, così l’ho pensato io» avrebbe detto Verdi. Così noi tutti siamo contenti, per noi, e per Verdi! Ecco il Bis! Sorpresa scontata: ‘Aida’, finale dell’atto secondo… Grande serata! Il 20 ottobre rappresenta per Gessate il 7 dicembre di Milano. Arrivederci!

Walter Visconti