ARTICOLI 2003

Motivi ad incastro

Ricordo di Marcello Candia
Evento in Chiesa parrocchiale

11 aprile  2003

Scocca la scintilla che lo spinge al passo definitivo. L’incontro con un missionario lo convince. Lascia l’attività imprenditoriale per dedicarsi ai poveri. La famiglia aveva riposto in lui l’avvenire della fabbrica. La vende, e con il denaro va in Amazzonia, in Brasile, per costruire un ospedale.

È il 1970. Là si moriva di tutto. Ecco l’idea: trasferire la sua managerialità al servizio dei bisognosi. L’ospedale deve essere all’altezza di un ospedale europeo. E così viene fatto. Ogni cosa deve funzionare.
Fa tutto per amore. «Il Vangelo l’ho fatto mio. Ho ricevuto tanta ricchezza, intelligenza e la voglio dare ai poveri». Ogni anno torna in Italia a relazionare parenti e amici. E nuovi amici chiedono di partecipare. Così raccoglie soldi per continuare. Passano gli anni. Dopo l’avviamento dell’ospedale, si dedica ad altre miserie in Brasile: bambini handicappati, lebbrosi...  Il cerchio si allarga. È una situazione strana. M.Candia diventa un “testimone che sollecita la solidarietà”.
È importante essere “stimolo per gli altri” – insiste. Invita amici ad assistere alla miseria e così riceve nuovi consensi.
Il più grande momento della sua vita è quando, malato di tumore sul letto di morte, a coloro che si avvicinano, dice che la gioia sua vissuta è più grande della gioia ottenibile dalle sue ricchezze. Alla fine dice: «Grazie per l’esperienza del dolore. Adesso mi rendo conto di essere fratello di questi miei fratelli ammalati. Non è più solo un dare ma un compartecipare al loro dolore».

Il cardinale Martini ha aperto una causa di canonizzazione perché M.Candia possa essere riconosciuto come santo. È stato un testimone esemplare. Era luce. La sua è stata una scelta totale. Ci fa riflettere in continuo. M.Candia prima di morire vuole istituire una fondazione che possa continuare l’opera da lui iniziata. Dice: «Voi dovete andare avanti. Non preoccupatevi. Se voi concretamente continuerete ad annunciare che vorrete aiutare i poveri, arriveranno altri ospedali, altre opere».
A 20 anni dalla morte, dopo una vita spesa per gli altri, il processo di solidarietà continua: 5 ospedali più varie iniziative a favore dei poveri. È stato un uomo che ha fatto una scelta profonda, con un profondo senso di solidarietà.
Le parole precedenti penso siano una discreta sintesi della relazione su M.Candia fatta da Marco Liva, vice presidente della “Fondazione Marcello Candia”, il venerdì santo 11 aprile 2003 nella chiesa parrocchiale di Gessate.

Ma non basta. Scopro con somma gioia che la nostra amica Fernanda Albertarelli ha conosciuto personalmente Marcello Candia.  Le chiedo: «vuoi raccontarmi di lui?»
«Volentieri.»
«Qual’era il suo sostegno?»
«La preghiera.»
«Qual’era il suo simbolo?»
«La rosa rossa.»
«Forse perché è il simbolo dell’amore?»

«Credo di sì.»
«E poi?»
«Vado a ruota libera. Presso l’ospedale di Macapà aveva costruito un cosiddetto “carmelo”. Le suore  vi si recavano ogni giorno a pregare per le opere da compiere, perché “la preghiera è il sostegno di ogni cosa” – diceva  . Era devoto di Santa Teresa del Bambino Gesù.»
«Come l’hai conosciuto?»
«Io e i miei ragazzi del catechismo avevamo programmato un incontro con il dr. Candia al centro san Fedele il 14 gennaio del 1982. Quel pomeriggio ho telefonato al P.I.M.E. Mi ha risposto lui in persona. Era appena tornato da uno dei suoi viaggi in Brasile. Ero emozionata. Mi sono intrattenuta con lui al telefono. Quel sabato sera ero felicissima, mi sentivo leggera e felice.»
«Come si comportarono i ragazzi?»
«Gli facemmo domande serene, rispettose, alle quali rispose altrettanto rispettosamente e serenamente. Ci colpiva la sua serenità. Si vedeva: era sorretto da una grande fede.»
«Dimmi dell’altro di lui.»
«Visse nell’alta borghesia milanese; fu un uomo signorile, molto umile. Teneva moltissimo alla dignità umana. Il suo sguardo era illuminato. Lui seminava… ovunque.»
«Continua…»
«Era scapolo, viaggiava molto, così aveva conosciuto la povertà. Aveva una fede profonda, vera, spontanea, senza tanti “ma” e “perché”. Diceva spesso: “Signore, accresci la mia fede!”. Non faceva alcuna speculazione filosofica sui misteri della fede.»
«Era anche una persona decisa.»
«Indubbiamente. Il suo spirito era: investire restando in passivo coi bilanci, perché solo così si era sicuri di aver speso tutto per gli altri. Faceva lunghe code nei ministeri per poter parlare con gente influente, e alla fine otteneva i permessi che gli servivano per i nuovi progetti.»
«Non è facile costruire un contesto simile…»
«Assieme a lui, in quel contesto si trovavano tante altre persone, ma dato che erano sostenute da un’ideologia e non da una fede, si sono rotte… perché quando non vede sorgere nulla, se non ha il supporto di Cristo…, l’uomo è perduto.»
«Come si comportava a Milano?»
«È rimasto sempre quel Signore di alta borghesia che era. La sua famiglia ha messo sempre in prima linea i poveri. Si appoggiava spesso ai frati Francescani di viale Piave.»
Fin qui il piacevole dopocena con Fernanda, a parlare del Candia e del suo messaggio. Poi, a sfogliare documenti riesumati dai prolifici anni ottanta, come un richiamo ardente, ecco emergere una frase da una lettera di Candia da Macapà del 21 maggio 1977: “Signore, fa che io sia sincero quando li chiamo fratelli”. E il cardinale Martini sembra  fargli eco così (da un articolo rivolto ai fedeli della diocesi milanese sulla “solidarietà”, pubblicato dall’Avvenire il 20 gennaio dell’85, che suona come un monito per noi quasi 20 anni dopo): “Siamo chiamati a contrastare il criterio che giudica la bontà di un sistema solo dalla produttività economica e non invece, e anzitutto, dalla qualità di vita che sa diffondere”.
«Avremo il primo “santo” imprenditore, e sarà milanese», auspico con Fernanda.
«Spero proprio di sì! Per ora accontentiamoci di un “Servo di Dio” imprenditore, in base al concetto: No! alla “Provvidenza” con la “P” maiuscola, Sì! invece alla “provvidenza” con la “p” semplice di “pianificazione”.
Alla domanda: “rivelami altri particolari della sua vita“, rispondiamo: per libri, videocassette, informazioni, iscrizioni alla fondazione e altro, contattare il sito:
www.fondazionecandia.org

Walter Visconti

 

 

La Corale e l’orchestra di Gessate a Roma

AL XXVII CONGRESSO DI MUSICA SACRA RENDONO OMAGGIO AL XXV ANNIVERSARIO DI PONTIFICATO DI GIOVANNI PAOLO II

Lo scorso 22 e 23 novembre 2003 un grande evento ha scosso l’orgoglio di Gessate. Le Corali SS Pietro e Paolo di Gessate e San Gervasio di Capriate, nonché l’Orchestra Sinfonica di Gessate, in occasione del XXVII Congresso Nazionale di Musica Sacra, su iniziativa dell’Associazione Italiana Santa Cecilia, sono state invitate a Roma per interpretare il concerto “La passione di Cristo secondo San Marco”, Oratorio scritto dal compositore  Mons. Lorenzo Pelosi, autore di ben 25 “Messe” e di innumerevoli “Melodie Sacre” che sono testimonianza della sua grande arte. L’esecuzione si è svolta nell’Aula Paolo VI alla presenza di Papa Giovanni Paolo II ed ha avuto un ampio successo.

Riportiamo le parole di stima pronunciate da Don Giuseppe Ferri, direttore del Segretariato delle Scholae Cantorum durante il gioioso saluto: «Che sostegno meraviglioso danno i cantori e gli organisti alle celebrazioni! Quanti sacrifici per il canto, quante rinunce, quante prove e lezioni per rendere decorose le cerimonie! Ma quante soddisfazioni! Siamo giunti a Roma in tanti per questo straordinario congresso, che nemmeno gli ambienti vaticani sono in grado di contenerci. Le presenze ufficiali: 15102 cantori, 7403 parenti e accompagnatori, 242 sacerdoti, 511 direttori, 395 organisti. Per questo stesso Concerto e per la santa messa di domenica 23 novembre in San Pietro, a più della metà dei congressisti è stato chiesto il grosso sacrificio di assistere e di partecipare fuori dall’Aula e fuori Basilica, attraverso i maxischermi».

L’esecuzione dei gruppi vocali e strumentali gessatesi è stata posta in risalto in un articolo di Giampiero Mattei dal titolo “Quelle splendide note di Mons. Perosi” apparso il giorno seguente sull’ “Osservatore Romano” di cui riportiamo alcuni stralci: […è stato un gioioso e artistico omaggio in occasione del XXV anniversario di Pontificato del Santo Padre e dell’inizio del XXVI anno…]; [… il Concerto dedicato al Santo Padre è stato il momento “culminante” del XXVII Congresso Nazionale di Musica Sacra …]; [… i componenti delle due «scholae cantorum» e l’orchestra hanno cantato e suonato con profonda emozione…]; [… è significativo che la «schola» Santi Pietro e Paolo di Gessate e la «schola» San Gervasio di Capriate siano due alte espressioni artistiche scaturite dalla fede del Popolo di Dio e da quella eccezionale realtà che sono le “parrocchie”].

Walter Visconti

  

24° premio “Fondazione  Guido Tresoladi”

Cine Teatro di Gessate
23 aprile  2003

 

A Gessate esiste un mito. Ogni anno un evento la scuote, la nutre di nascosto, in modo discreto, come a voler mantenere lustro ed elegante l’indumento più ricco di una città pavida e modesta. Come un pastrano di stoffa resistente, ben acconciato, ben tagliato, bene indossato da un viandante al suo passaggio stagionale per le vie del borgo verso il suo destino già tracciato. Anche Gessate ha il suo premio “Nobel”: il “Riconoscimento Fondazione Tresoldi”.
Guido Tresoldi fu un grande gessatese. Lasciò una traccia importante. Infuse gioia ed esaltazione con varie iniziative benefiche.

Breve cronaca di una serata di gloria.
Subito una sorpresa come introduzione. Gli alpini di Gessate hanno un coro. Lo dirige Costante Ronchi, ex ufficiale della “Tridentina”. Addolcisce la prima parte della serata “Il testamento del capitano”: è il pezzo che forse estende meglio l’emozione dell’evento nella magistrale interpretazione: «Un capitano ferito da un colpo di obice durante la difesa della fortezza dall’assalto delle truppe borboniche  – per usare le testuali parole della presentazione – detta le sue ultime volontà ai suoi soldati riuniti attorno al suo capezzale: rimane intatta la profonda e umana poesia del capitano che consegna ai suoi alpini il proprio testamento pur nel rispetto del rapporto di comando che esiste tra l’ufficiale e i suoi ragazzi». Il coro c’è. Si dimostra di qualità. La voce è composta. Il colloquiare preciso e incantato. È difficile credere che viva da un solo anno. I coristi sono 25. Seguono altri canti, introdotti da teneri versi magistralmente scanditi da una voce appassionata: la signora Villa. Applausi scroscianti.

Siamo alla premiazione.
«Il 24° riconoscimento della Fondazione Tresoldi per l’anno 2002 va alla “ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI –  Gruppo di Gessate” nel ventesimo anno della sua costituzione. Assieme si vuole premiare la grande famiglia degli alpini, per tutte le azioni umanitarie in cui si sono distinti negli anni, e rendere omaggio a un’arma che onora la fama italiana nel mondo. La storia degli alpini è antica. Le prime tre legioni alpine furono create dall’Imperatore Augusto con il nome di Julia, divenuto glorioso in tempi a noi prossimi. L’anno di nascita ufficiale è il 15 ottobre 1872, quando un decreto governativo del Regno d’Italia istituì regolari truppe alpine. Oggi gli iscritti all’ANA sono circa 329.000. Il Gruppo Alpini di Gessate conta 47 iscritti. Viene premiato il collegamento-passaggio da alpini di guerra ad alpini di pace. A tale concetto si è arrivati al momento della scelta. Occorreva un organismo che incarnasse un ideale alto e significativo per la popolazione gessatese e che desse una risposta ad un’esigenza sentita e propria del momento storico presente. La “Fondazione Tresoldi” ha avvertito il bisogno di sottolineare nuove relazioni, non solo formali, che sollecitino il risveglio dell’energia interna alle persone e che spingano le nuove generazioni al “fare” operativo e responsabile. L”Associazione Alpini di Gessate” esprime  il forte richiamo alla pace non in forma propagandistica ma come stato di fatto». Dunque Alpini di pace.

Le imprese degli alpini italiani dal 1945 ad oggi parlano di pace e solidarietà. Possiamo ricordare imprese e opere a cui hanno partecipato gli alpini gessatesi: terremoto in Friuli nel ’76; in Madagascar per il progetto “Villaggio impresa”; in Valtellina e in Val Brembana nell’alluvione dell’87; in Piemonte per l’alluvione del ’94; in Russia a Rozosk nel ’93 per la costruzione di un asilo; in Kosovo nel ’99; nel 2003 in Afghanistan. Gli alpini sanno fare corpo da soli, senza la necessità di dettami esterni. Gli alpini sentono la necessità di rinnovare il vincolo di alleanza nel tempo.
Altro intervento, altra menzione: «Gli alpini vogliono la pace perché hanno conosciuto la guerra».

Annotazione del parroco, don Enzo: «Il precedente premio “Guido Tresoldi” era andato alla “Fondazione don Carlo Gnocchi”. Si intravede un legame di continuità: don Gnocchi fu cappellano degli alpini in Russia, e con gli alpini aiutò quella gente, tornò salvo per miracolo, e, capita la lezione, si oppose alla guerra, fu imprigionato, poi liberato dal cardinal Schuster con l’aiuto delle suore, quindi iniziò ad operare come tutti sappiamo pro piccoli mutilati per cause belliche. È aperto il processo di beatificazione di don Gnocchi. Se lui è santo possiamo esserlo un po’ tutti, quindi anche tutti gli alpini. L’amore divino di don Gnocchi si sposa col servizio totale e completo degli alpini verso le persone, proprio come volle dimostrare Guido Tresoldi ai gessatesi con il suo stile di vita, la solidarietà, l’apertura. Nell’etica degli alpini v’è completa dedizione alla pace, la quale, come dice il cardinale Martini in un recente scritto, ha il suo costo. Gli alpini pagano tale prezzo con la loro abnegazione».

Finale. Un canto degli alpini racconta di un invito fatto dall’innamorato alla sua bella perché lasci la campagna raggiungendolo in città. Questo invito però non trova la risposta, lei preferisce i suoi prati, i suoi pascoli, la meravigliosa purezza del suo mondo contadino, gli stessi valori che forse noi oggi vorremmo riscoprire.
È stata una serata festosa.
L’”Associazione Guido Tresoldi” è senza scopo di lucro, è aperta a tutti i cittadini che vorranno aderire.

PRECEDENTI ASSEGNAZIONI
Riconoscimento “GUIDO TRESOLDI”

 

1979    Contributo Apparecchiatura Dialisi Ospedale Gorgonzola

1980    Passoni Teresa – Colombo Fiorenti-*

1981    Suor Cecilia

1982    AVIS Sezione di Gessate

1983    VOS – Volontari Ospedalieri Sanitari

1984    Polisportiva di Gessate

1985    AIDO Gruppo Comunale di Gessate

1986    Brambilla Franca – Scrittrice/Attrice di origine gessatese

1987    Villa dott. Nemesio Primo – Medico condotto

1988    CARITAS - Sezione di Gessate

1989    Cooperativa «Il Naviglio» Gorgonzola

1990    Don Maurizio Bidoglio

1991    Associazione Nazionale Combattenti e Reduci – Sezione di Gessate

1992    AVSS – Associazione Volontari Solidarietà Sociale

1993    Comitato «Maria Letizia Verga»  Ospedale di S. Gherardo di Monza

1994    Società Sportiva  «Atletica Gessate»

1995    Don Umberto Zerbi – Don Augusto Meroni

1996    Corale Ss Pietro e Paolo  - Gessate

1997    Associazione Calcio - Gessate

1998    Patronati F.N.P. - I.N.A.S. - S.P.I.  I.N.C.A.

1999    Sergio Mauri – Maestro di musica

2000    Don Primo Lobartini – Parroco di Gessate

2001    Fondazione Don Carlo Gnocchi 

Walter Visconti

 

Motivi ad incastro

Serata di presentazione del libro “Ville in Gessate”
Asilo infantile Lattuada, 20 dicembre  2003

 

Nel brusio dell’attesa conosco una delle autrici, che mi assicura essere ben otto le ville in Gessate, almeno quelle di più antica  costruzione meritevoli di studio e menzione.
Ne sono ben lieto e ci credo veramente.
Ora che lo so, mi propongo di fare un giro turistico per ville. E in più, a rassicurami l’animo che nulla se ne scappi, mi trovo un bel libro fatto e finito che unisce il materiale didascalico e nozionistico sulle «Ville in Gessate». È il 3° volume in 5 anni ad arricchire la collana di opere sulla nostra città. Gessate  possiede dunque un suo valore turistico, paesaggistico, storico.

Le autrici Vanna Mazzei e Maria Teresa Campora hanno girato per archivi di stato, raccolto materiale tra vecchi catasti e atti notarili, fotografato, disegnato, intervistato. Dopo un anno e più di sforzi, nella gioiosa serata gessatese hanno così presentato e illustrato il loro libro.

Dunque l’Est milanese può apparire zona misteriosa, tra corsi d’acqua, ville, architettura, filosofia e lettere; nel suo ambiente aleggiano ricordi, ispirazioni magiche s’insinuano tra le siepi, passi solenni e fuggitivi calcano i sentieri. Ma, attenti… non di Cassano, Vaprio, Gorgonzola, Cernusco, Vimodrone si parla, ma… di Gessate! Ebbene sì! Proprio Gessate!

Personaggi illustri in gita sul Naviglio Martesana si fermavano volentieri in questa piana accogliente, facile meta da Milano e non lontana dai pittoreschi margini dell’Adda. Esponenti del patriziato milanese vi edificarono ville ove trascorrere i mesi estivi al riparo dall’umida calura. 

Tre  sono le tipologie di ville presenti: la seicentesca, come la Casati e la Ponzellini; la villa in tardo barocco, come Villa Fuentes-Salazar; la classica, come la Beccaria, la Daccò, la Sartirana, la Lattuada.

Un’idea: portare i ragazzi a vedere ciò che è loro, a conoscere le storie dei personaggi che le abitarono. Far conseguire il godimento pubblico della villa: un’espansione non programmata della città. Ed eccole le ville.

“Palazzo Casati” si trova in zona nord. Struttura a corte. È rimasta la torre e una ghiacciaia. Risale al 1500. Prima abitato dai nobili milanesi Carcassola, poi acquistato, ai primi del ’600, da Carlo Bonesana, mercante avveduto, dove, è possibile, volle sfuggire la peste, e dove invece mori nel 1630 (a Milano 80.000 furono le vittime  su un popolo di 150.000, a Gessate il frangente era migliore). La storia dei Bonesana si dipana tra successioni e liti giudiziarie (vedasi il libro di Federico Bertini a pg. 138) fino al 1744, anno di voltura dai Bonesana ai Beccaria.

“Villa Beccaria Lattuada”, in zona Cittadella. Struttura a blocco, a pianta rettangolare, a tre piani, sobria ed imponente. Fu edificata ai primi dell’ottocento forse da Giulio Beccaria. Proprietaria fu la famiglia che diede i natali a Cesare Beccarla, autore del celebre trattato “Dei delitti e delle pene”: Beccarla è il nonno del Manzoni. Tentò un matrimonio a meraviglia con Teresa Blasco, episodio dai cui racconti poté liberamente ispirarsi il Manzoni per i suoi Promessi Sposi. Divenne proprietà di Stefano Lattuada nella seconda metà dell’ottocento.

“Villa Del Conte-Osnaghi-Ponzellini”, in via Cittadella. Il nucleo centrale sovrastato da una torre risale al 1600. La costruzione è  sobria ed elegante, a struttura chiusa, con annessa scuderia, abitazione per la servitù, con portico. La costruirono i Del Ponte, poi passò agli Osnaghi, poi ai Ponzellini. 

“Villa Sartirana”, in via Badia. Ampia e articolata costruzione, dalla struttura anomala, divisa da due cortili, formata da ben sei corpi disposti a rettangolo: la villa residenziale con portici a colonne, una filanda per la produzione di seta, la residenza di servizio, alloggi per i lavoratori della filanda, la zona dei fienili, il divisorio fra le due corti. Non vive un momento di gloria: è bisognosa di restauri.

“Villa Daccò” fu edificata verso il 1835 sulla scia dell’esempio dei Beccaria con la loro. Stile neoclassico puro. Ha struttura a blocco rettangolare, sobria ed elegante. Locali non amplissimi, soffitti non ad altezze spropositate, con decori e affreschi. Ampio parco e notevole passeggiata. Cancello neoclassico puro con greche e lance. Di proprietà del comune, sede di associazioni, interamente visitabile.

“Palazzo Martelli” risale al 1600, dimora dei conti Masserati, e poi della famiglia Martelli. Culla di antichi clamori. Struttura modificata a più riprese, ora con portico passante. Di proprietà del comune, sede del Municipio, della biblioteca e di associazioni.

“Villa Lattuada”, in via Badia. Fu costruita nel 1870. Donata al comune alla fine del 1800 e adibita ad asilo infantile. Struttura semplice e lineare, non affrescata all’interno, facciata composta. Circondata da un ampio giardino. Cancellata neoclassica con motivi a greca.

“Villa Fuentes o Casa Salazar”, in località Villa Fornaci, poco distante dalla Martesana. Interessante e misteriosa. È possibile farla  risalire al 1740, costruita dal nobile Remigio Fuentes, gentiluomo storico e letterato, imparentato con la famiglia di Don Pedro Enrico, governatore di Milano nel 1600.

“Ville in Gessate” riporta anche note antiche e recenti sul nucleo abitativo di Villa Fornaci; indica l’evento della Sagra della Paciarella come possibilità per ognuno di riappropriarsi del proprio passato; riporta testimonianze del contrastato amore tra Cesare Beccarla e Teresa Blasco; descrive il carteggio tra Federico Bertini e il Metropolitan Museum di New York dove si trova un disegno del maggior vedutista francese dell’epoca Camille Corot raffigurante il Naviglio Martesana in località Villa Fornaci; documenta la profonda malinconia del Beccaria in viaggio per Parigi, la difficile amicizia tra lui e Pietro Verri, il suo sconforto e la tristezza espresse nelle struggenti lettere a Teresa, gesti che finirono per limitare la portata dell’illuminismo italiano (impedirono approfondimenti filosofici con gli intellettuali francesi e in seguito anche il viaggio a Mosca su invito di Caterina di Russia che comunque inserì in blocco il “trattato” del Beccarla nella futura costituzione).

Gustiamoci dunque le immagini di Renzo in fuga da Milano a ricercare informazioni sui valichi dell’Adda all’osteria delle Fornaci. Evochiamo le scene del contrastato amore tra Cesare e Teresa, nato tra le ville estive di Gessate e Gorgonzola. Pensiamo al Manzoni in vacanza a Gessate in Villa Beccaria, ispirato dai racconti della madre sulle vicende del nonno Cesare. Immaginiamo le riunioni conviviali tra il Beccaria e i fratelli Verri in villa Casati-Bonesana, foriere di glorie e apprezzamenti fino a Parigi, a Londra, a Mosca; pensiamo a Gessate, luogo compartecipe.

Il volume “Ville in Gessate”è disponibile presso la Biblioteca. Il ricavato della vendita è devoluto al “Gruppo Cernobil” di Gessate.

Walter Visconti