Segnalibri 

Senza illusioni, senza veli, con molta speranza   

(Serie di riflessioni, spunti, fantasie, pensieri, articoli, di Walter Visconti)

Prologo,

Decido di iniziare una registrazione sistematica di pensieri e parole. Inutile nascondersi. L’ispirazione mi viene dallo Zibaldone Leopardiano. Sono rimasto profondamente segnato dalla visita alla casa del grande poeta a Recanati, l’estate scorsa. Per questo mi sento di voler emulare qualcosa di lui. Beninteso, non si tratta di una presunzione, ma di una precisa esigenza che sento sorgere dal cuore. La pretesa non è certo ambiziosa come quella del ‘poeta’. Ciò nonostante voglio pensare alla stesura di riflessioni e congetture che possano in qualche modo fissare alcuni momenti sintomatici della mia combattuta esistenza e, nel contempo, vorrei poter dare un contributo, questa sì che è presunzione, al chiarimento dei sentimenti più reconditi dell’animo umano. Auguri a me stesso per l’impresa.


Come scandire gli argomenti:  

a - delle grandi opportunità   
b - delle scelte politiche 
c - delle scelte finanziarie 
d - delle scelte morali 
e - delle scelte scientifiche 
f - delle scelte etiche 
g - delle scelte filosofiche 
h - delle scelte religiose
i - dei grandi misteri 
j - delle cose artistiche 
k - delle situazioni strane 
l - dei sentimenti 
m - degli eventi storici 
n - dei casi letterari 
o - dei casi matematici 
p - dei sogni 
q - della natura 
r - degli eventi sportivi

 

40-b

Chiarimento elettorale *

19 febbraio 2013

Ragazzi, le prossime elezioni politiche sono le più importanti, secondo me, della storia d’Italia dal 1945 ad oggi.

Purtroppo si svolgeranno con una legge elettorale pessima, la legge Calderoli, che ricorda la legge Acerbo, fatta approvare da Mussolini nel 1923 e utilizzata per legalizzare il fascismo nel 1924. Quella legge assegnava una maggioranza dei due terzi in parlamento a un partito che avesse superato il 25% delle preferenze. Quella con cui votiamo oggi assegna una maggioranza parlamentare del 55% al partito o alla coalizione dichiarata di partiti che ottiene la maggioranza relativa. Lo spirito è lo stesso. Ho parlato con alcune persone nei giorni scorsi e mi sono accorto che sottovalutavano, o non conoscevano, il meccanismo della Camera. Poiché i media in questi giorni insistono continuamente sull’importanza di voto al senato dove dicono che si rischia il pareggio, il risultato è che qualcuno pensa che alla Camera non esita il premio di maggioranza. Invece c’è, eccome! Deve essere chiaro a tutti che le coalizioni dichiarate alla Camera sono PDL+lega e PD+Sel. Chi delle due vince si cucca il 55% di deputati, chiaro? Per questo è importantissimo rendersi conto dell’importanza delle coalizioni. Lo stesso concetto vale per il Senato dove però i conti si fanno a livello regionale, un po’ come avviene per i singoli stati nelle elezioni USA (per questo si parla di Lombardia come di Ohio o Califoruia) ma qui penso che i giornali siano esaurienti.


39 quater -b

Considerazione su Ratzinger *

12/2/2013

Lunedì h 21:30. Mentre Vespa fa il suo p.a.p., le dimissioni di Ratzinger mi fanno pensare. Pensiamo. Pensate. Mi sento amico di Ratzinger. Perché ha affermato la sua debolezza, i suoi dubbi. E io, da dubbioso, mi sento a lui vicino. E perciò più forte nei confronti degli invincibili signori sicuri del nulla. Andiamo ragazzi, é un insegnamento chiarificatore. Apparirà sempre più chiaro nei giorni a venire.


39 ter-b

Berluscones *

7 dicembre 2012

Ancora! Non la smettono mai! Ma quanti sono?

Che gli Italiani fossero un po’ duri di comprendonio lo sospettavamo. Prima di capire di essere turlupinati hanno bisogno di circa 20 anni.

Possibile che la gente non sia ancora stanca di quel “parassita che trascina con false promesse” (Montanelli a Biagi).

Quel sant’uomo, giusto e onesto, che è Montanelli, nel 2001, purtroppo si sbagliò, quando affermò che sarebbe stato un bene se B. avesse vinto le elezioni, così gli Italiani, dopo averlo visto all’opera, sarebbero stati vaccinati contro il berlusconismo.

Ora però siamo contenti che si ricandidi, così le sue schiere di mercenari non otterranno nemmeno la soglia per le “Camere” (non quelle da letto beninteso).

Infine, non so quanto sia utile fare gli auguri di Buone Feste a tutti gli adulatori “berluscones”. Ma sì che lo è: perché, ovviamente, auguriamo loro una pur tardiva guarigione dalla grave patologia di cui sono affetti (molto grave, ma non incurabile, almeno si spera…)


39 ter-b

Piazza pulita *

25 febbraio 2012

Ci vorrebbe un “Di Pietro 2 la vendetta” per smuovere dalle pastoie questa masnada di rincitrulliti che continuano a fare danno al Paese e non cavano un ragno dal buco. Dio Bono! Ma è mai possibile che in Italia non ci sia un politico rampante sui 35 che si faccia largo? Non c’è evidentemente, perché il maledetto sistema della pastoia non permette ai giovani di farsi largo, di affermarsi. Accidenti! Perché i vari politici datati non lasciano e se ne vanno in montagna o al mare a leggersi dei buoni libri di filosofia, visto che ne sono tanto amanti? Oppure potrebbero dedicarsi ad attività collaterali alla politica, come Tony Blair, o come Al Gore, per esempio; certo bisogna anche esserne capaci! Così finirebbero di fare danno. Non è vero che mancano i ricambi. I ricambi, sono convinto, ci sono. Solo che occorre rifornirsi di pezzi originali, non di pezzi riciclati comprati dal rottamaio. Occorre fare un tagliando serio, in un’officina autorizzata. Spendere un po’ di più, il che significa investire un po’ di più. Ci vuole una scossa. Alt! Non intervenga il Berlusca da opportunista a dire che la spinta giusta è quella sua, per l’amor del cielo. Questo è un discorso serio. Lui (e i suoi amici) sono solo poltiglia, intendiamoci. Questo discorso è rivolto a gente che abbia a cuore “i lumi”. Nel 1769, a Milano, i Fermieri non si arrendevano. Era dura instaurare la riforma fiscale. La logica dei conservatori ha buon gioco. I disagi che comportano le novità vengono messi in risalto più dei vantaggi che ne derivano. Senza menar troppo il torrone, occorrerebbe un ritorno ai lumi, o meglio, un’accensione di nuovi lumi, lumi diversi, lumi opportuni, lumi essenziali. Il tergiversare nell’intento di salvaguardare tutto e tutti impedisce la reale avanzata del progresso. Il progresso avanza di par suo, ma gli effetti non sono lungimiranti come dovrebbero e potrebbero, perché la salvaguardia del “particulare” proluso dalla casta, frena l’applicazione dell’innovazione a beneficio della società. Se ne avvantaggiano in larghissima misura pochissimi, quei pochi che purtroppo fanno media nel calcolo statistico, ove, nella derivazione del beneficio, si dovrebbe tener conto della varianza, che è sempre altissima.


39 bis-g

La Provvidenza di Don Giuliano *

25 febbraio 2012

Eppure qualcosa mi dice che è bene affidarsi alla Provvidenza. Confidare in una specie di serraglio automatico. Perlomeno, non cercare di svincolarsi ostinatamente dal legame soprannaturale che ci sorveglia.

«Lasciati possedere, lasciaLa fare, fasciati di silenzio e ascolta la voce sommessa che ti vuole possedere...» questo diceva don Giuliano.

E fidati di Lei.


38-m

Annotazioni su Papa Ratzinger *

15 febbraio 2012

Le dimissioni del papa continuano a far discutere, e più se ne prende atto, più appaiono misteriose e ammonitrici. Il gesto appare un’estrema ratio, un tentativo di arginare l’insensibilità, l’immoralità, l’irresponsabilità della civiltà, quella che sta trascinando il mondo verso il baratro, se non si redime in tempo utile. Ci sono vari approcci all’interpretazione del gesto, che alla fine portano alle medesime conclusioni, e dunque lo avvalorano e lo svelano. Il primo sviluppo è quello di una forte scossa di moralità, un appello accorato a svegliarsi, a reagire. Un po’ come quando per scuotere l’ambiente in seno ad una squadra di calcio non resta che giocare la carta del cambio di allenatore. Non appariva possibile affrontare una volta per tutte mille argomenti di crisi in un’omelia domenicale dalla finestra su Piazza San Pietro: argomenti interni alla Chiesa quali le divisioni nella curia, gli scandali della pedofilia nella chiesa irlandese, le trame economiche dello IOR, le disobbedienze alla disciplina; e argomenti esterni alla Chiesa riguardanti la società civile (e qui ahimè occorre specificare che stiamo parlando di quella occidentale) come la deriva della moralità, la denuncia del capitalismo, la violazione delle regole a tutti i livelli, la corruzione, l’ingiustizia, e la lista non è finita. Non si potevano denunciare in un elenco lunghissimo i mali del mondo, e anche se il papa lo avesse fatto, sarebbe risultato inutile, l’appello si sarebbe perso nel vuoto domenicale, come un sussurro, in un vociare sguaiato. Allora che fare? Che fare per costringere la gente a meditare, non per un’ora sola come dopo una conferenza, ma per giorni, giorni, mesi, anni, sui problemi del mondo? Ratzinger sembra aver detto: “Voi non volete impegnarvi a pensare? Allora io vi frego e vi costringo a farlo con un trucco. Vi spiazzo tutti con un gesto impensabile, ormai dimenticato, come non appare da settecento anni. Voi ora non potete più esimervi dal chiedervi cosa rovini il Mondo. Basta ignorare le cause! Perbacco! Reagite, decidete, scegliete!”. E qui non occorrono ragionamenti profondissimi per arrivarci. Occorre, però, “profondissima quiete”, sì, quella meditativa, infinita, leopardiana, che ognuno di noi può crearsi intorno, nel suo silenzio, ed è gratis. È interessante notare che da qualsiasi parte si giri l’argomento, si arrivi sempre alla stessa conclusione, almeno per me è così. Mi viene da pensare che la novella di Gesù è ricolma di segni, che vanno interpretati: bene! Interpretiamoli. Il sacrificio di Wojtyla va interpretato, come le dimissioni di Ratzinger vanno interpretate. Mi sforzo di sintetizzare questi gesti pontificali: il primo parrebbe voler dire… “Porgete l’altra guancia”. Il secondo parrebbe significare… “Svegliatevi!”. Entrambi sono ammonimenti validi, beninteso, però, mentre il primo è un atteggiamento “possibile”, il secondo è un atteggiamento “necessario”. Il che equivale al detto: “Non esistono guerre utili (posizione passiva), ma esistono guerre necessarie (posizione attiva)”. Sarà anche una strumentalizzazione, ma il ragionamento mi porta qui. Vogliamo arrivarci seguendo un altro percorso? È inutile predicare la pace senza prima preoccuparsi di spianarle la strada d’accesso seminando la giustizia (ricordiamoci a questo proposito che anche papa Wojtyla a un certo punto approvò l’intervento italiano, aereo, in Kosovo perché era in atto un genocidio). Da qui in poi il discorso si estende, per via deduttiva, al capitalismo, che sta all’origine di tutti mali.

Il capitalismo è come una dittatura. Una volta instaurato si ramifica dal di dentro, e si radica bene. Dopo un po’ la sua normalità si spalma sulle cose e le abbellisce, le placa, le plasma.

Si rende appetibile, è foriero di speranze, di illusioni, e di… ingiustizie; ci siamo… eccole di nuovo le ingiustizie… L’ingiustizia si diffonde in modo subdolo, mentre nel contempo la giustizia parziale, pur presente, la difende, acquista potere e conquista la piazza, e a quel punto la democraticità del sistema svanisce, diventa effimera, poiché, appunto, la dittatura del capitalismo la sovverte o la nasconde. Quando la ricchezza è già stata assegnata nelle mani di pochi si rende difficile applicare un sistema democratico che sia in grado ridistribuirla. Così alla fine, per ripristinare la legalità occorre sovvertire tutto in maniera drastica. Che Ratzinger sia un vero rivoluzionario? 


37 bis-g

Di più e più in fretta (Hesse) *

11-novembre 201

Svolgimento

“Fretta”, “nervosismo”, “divertimenti numerosi” da una parte; “moderazione”, “piccoli piaceri”, “piccole gioie” dall’altra. Da un lato troviamo sinonimi di “frenesia”; dall’altro un invito alla “moderazione”. Le tematiche contrapposte da Hesse invitano a qualche approfondimento.  

Noi oggi viviamo nella frenesia. Non lo vogliamo ammettere espressamente, ma viviamo in maniera concitata. Ciascuno di noi, nei modi e comportamenti, con piccole spinte, alimenta il ruotare veloce della giostra della vita. Siamo terrorizzati dalla paura di non riuscire a tenere il passo dei tempi. Dobbiamo acquisire a tutti i costi i mutamenti che si succedono a ritmo incalzante, pena la “sensazione” di perdere il treno della vita.

Inoltre, viviamo a contatto diretto con la tecnologia. Il non usufruirne appieno, o il semplice rifiutarne alcuni aspetti, ci restituisce la “sensazione” di rimanere esclusi dal mondo.

Noto che in entrambe le succitate considerazioni ho utilizzato il termine “sensazione”, il che è sintomatico di una semplice percezione, non di una realtà effettiva. Questo fatto mi rincuora non poco poiché mi libera dagli apparenti obblighi di vivere una vita frenetica e di adottare forzatamente la tecnologia. In altre parole, mi convince della possibilità di vivere a ritmi umani senza dover abbracciare incondizionatamente la modernità.

Dal motto citato da Hesse “di più e più in fretta” si deduce che la frenesia e la velocità consentono di compiere un grande numero di azioni nel minore tempo possibile. Questo traguardo dovrebbe portare all’acquisizione di benessere e gioia. Tale affermazione suggerisce però una proverbiale e secondo me significativa citazione, che pone seri ostacoli al conseguimento del traguardo stesso: la quantità è nemica della qualità.

Credo che la percezione della “qualità” sia un fatto importantissimo, e che dipenda dalla sensibilità dell’animo di ognuno. Scoprire la qualità di un oggetto, di un evento, di un sentimento, significa essere in grado di assaporarne l’essenza.

La conseguenza, che oso definire “matematica”, per me estremamente confortante, è che l’intelletto umano impiega necessariamente del tempo per conferire o rilevare la qualità. Più l’entità analizzata risulta complessa, più aumenta il tempo occorrente per valutarne la qualità. E questo rappresenta senz’altro un ulteriore punto a sfavore della frenesia.

Mi accorgo che la qualità è strettamente legata anche al tema del “godimento”. Il tenore del godimento, oltre ad essere influenzato dal numero delle opportunità di divertimento (Hesse), è funzione di un’altra variabile fondamentale: il tempo. Chi potrebbe godere intensamente e ripetutamente per un tempo indefinito? Nessuno. L’intensità del godimento dipende dunque dall’assuefazione, ma anche dalla sua durata. La gioia non può durare all’infinito. Anche qui il nervosismo (citato da Hesse) e la concitazione, tutti parenti della frenesia, sono entità che contrastano col godimento della vita. Il godimento dipende in gran parte dai requisiti soggettivi di una persona: il grado di consapevolezza, la capacità di valutazione, la sensibilità. In definitiva anche la gestione del godimento è una questione di qualità più che di quantità.

La qualità e la sensibilità permettono di rilevare la spiritualità delle piccole cose. È questo un punto cruciale, come rilevato da Hesse, che permette di raggiungere un elevato stato di godimento interiore. Le osservazioni dei particolari e le analisi dei piccoli eventi che movimentano la natura, offrono la possibilità di immergersi nei misteri della vita. Conseguente da questa analisi è il piacere della meditazione. Quest’ultima è favorita dalla condizione del silenzio. Il silenzio è una condizione impareggiabile che si ottiene tramite l’estraniazione, anche temporanea, dalla vita quotidiana. La natura è silenzio, i sentimenti sono silenzio. Il silenzio permette allo spirito di svincolarsi dal presente e di valutare con un’alta percezione l’essenza delle cose. Il silenzio permette l’avvicinamento all’origine delle cose. E dobbiamo ammettere che, sia la meditazione sia il silenzio, sono incompatibili con la frenesia.

Soprattutto la ricerca infinita, favorita dalla meditazione e dal silenzio, permette lo studio e la scoperta di nuovi orizzonti. La meditazione favorisce le grandi idee portatrici di innovazioni, ma anche le piccole intuizioni che donano serenità all’animo. Entrambe le prospettive contribuiscono all’elevazione personale dello spirito e all’incremento della qualità globale.


37-r

Scudetto al Milan *

8 maggio 2011

Ieri il Milan ha vinto lo scudetto. Sono milanista da sempre, ma ieri non ho gioito. Mi sono accorto con disappunto che non ce la facevo a gioire. Sono antiberlusconiano, profondamente, ero moderatamente di sinistra, sono stato ulivista convinto, ora sono trasversale, perché ritengo che non si possa essere, oggi, obiettivamente, schierati a sinistra o a destra, ma che si debbano semplicemente fare le cose giuste, e bene. Perciò sono profondamente antiberlusconiano. Ieri il Milan ha vinto lo scudetto e io non ho gioito. È forse colpa mia se non ho gioito? Come potevo impormi di gioire? Grazie, Berlusca, per avermi tolto anche questa gioia.


36-m

Destra e Sinistra in Italia *

2011

Mi piacerebbe sollevare la seguente considerazione. In Italia Destra e Sinistra si odiano. Destra significa fascismo e sinistra comunismo. Questa profonda barriera ideologica persiste dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale. Tuttavia, nel tempo, eventi storici come l’emigrazione sud-nord, il boom economico, il centrosinistra, il compromesso storico, Tangentopoli, l’immigrazione, stavano lentamente riuscendo ad abbatterla. Oltretutto, da un lato spariva la sigla PC, nasceva il PDS, poi DS, infine PD, dall’altro si spegneva la fiamma MSI e si accendeva la sigla AN. Erano tutte convergenze che sapevano di buono. Forse i rancori politici si stavano affievolendo di fronte alle nuove generazioni non partecipi e disposte a dimenticare. Ma a un tratto irrompe Berlusconi a occupare con tempismo la voragine aperta dalla dissoluzione della DC, ed eccoci qua. Risultato: mezzo secolo di sforzi buttati via, e tentativi di convergenza vanificati. Italia divisa in due fazioni: berlusconiani e antiberlusconiani, e tra le due c’è odio accecante. Gli ex scudocrociati che sostengono la destra pensino alla fatica spesa per rimarginare le ferite di un tempo e sappiano che ora sono state riaperte. Di chi è la colpa maggiore dell’erezione di tale barriera? Se lo chiedano. Fino agli anni ’90, a tavola, tra parenti o amici si discuteva di politica senza tragedie, ora si preferisce glissare altrimenti ci si scanna. Proprio un bel regalo, il berlusconismo!

Tutto per colpa di uno spavaldo avventuriero che non sa fare altro che parlare di affari, predica il businnes, lo applica pro domo sua, decuplica la sua ricchezza in pochi anni, scambia una Nazione per un’impresa (forse travisando il primo articolo della costituzione). Prima, a Natale, a tavola, parlavo di politica con mia suocera, i cognati, ora è meglio che taccia per non incrinare i rapporti. Quasi quasi rimpiango la vecchia DC e i Comunisti.


35-d

Annotazioni su Bruno Vespa *

marzo 2011

Affascinato dalla possibilità di acquisire se non altro delle chicche risorgimentali, ho ceduto alla tentazione, ho acquistato il mastodontico “Il cuore e la spada” di Vespa, di cui ho letto finora le prime 50 pagine. Subito sono rimasto alquanto esterrefatto da alcune scelte dell’autore che definirei curiosamente ”anomale”, comunque sintomatiche della sua personalità e che vorrei pertanto segnalare ai lettori.

Come è possibile che al rigo 13 della prima pagina (di un tomo di oltre 800), in cui si nominano Camillo Cavour, Napoleone III, Garibaldi, Mazzini, Vittorio Emanuele II, per citare solo i grandi protagonisti della storia risorgimentale, il dr. Vespa abbia scelto di nominare Umberto Bossi? (lo nomina per puntualizzare che non avrebbe fatto la Spedizione dei Mille e che Cavour avrebbe dovuto fermarsi al progetto delle tre Italie concordato con Napoleone III). Perdici! Ma era proprio necessario tirare in ballo il nome di Bossi nella prefazione di un libro monumentale sull’Italia risorgimentale?
Un’altra osservazione non proprio edificante. Vespa recentemente ha confessato (in un salotto di Costanzo) di essersi innamorato perdutamente di Garibaldi. Bene! Invece, nel gigantesco librone vespiano non traspare minimamente alcun rispetto mistico per l’eroe dei due mondi. Le descrizioni di Garibaldi e delle sue gesta assumono quasi sempre toni sarcastici. Vespa non perde occasione di scherzare con la storia tra l'ironico e il faceto, il che non si addice a un eroe puro. Non essendoci vana gloria ma gloria pura, purissima in tutto quello che Garibaldi ha fatto, e dato che Vespa se ne proclama ammirato ed estasiato, ebbene, che si applichi ad adorarlo e riverirlo, con parole e stile degni di una penna che sa farlo e sa di volerlo fare. Un solo esempio: a pg. 30 viene menzionata l’occupazione di Varese da parte di Garibaldi nel 1848, fallita per l’intervento dell’esercito di Radetzky e conclusasi con il suo ripiegamento in Svizzera. Il commento finale di Vespa è: «Insomma, non era ancora tornato che doveva scappare di nuovo». Come scelta dialettica non mi sembra il massimo. Altra scelta maniacale. Sul Risorgimento è disponibile una bibliografia a dir poco sterminata. Orbene è così importante quello che pensa e scrive l’esimia Pellicciari nel suo “L’Altro Risorgimento”?. Per Vespa sembra esser l’unico libro scritto sul Risorgimento, o, perlomeno dev’essergli piaciuto un sacco, perché lo cita a pg. 37. Mah! Caro Vespa, sarai anche un grande giornalista, ma l’obiettività, secondo me, è un’altra cosa. E non parliamo delle tue simpatie. 


34 ter-b

Ancora nazionalismo! No, patriottismo *

Gennaio 2011

Sono reduce dalle mangiate natalizie. Mi sono accorto a tavola che è sempre più difficile parlare con parenti e conoscenti di argomenti tipo il Risorgimento, la Nazionale di calcio, le Missioni all’estero dell’esercito. Ho riflettuto. È l’effetto “Lega”. In Lombardia (perciò nel mio parentado) la percentuale di simpatizzanti leghisti è altissima. È gente che fino a ieri non perdeva occasione per ostentare l’italianità in ogni forma (dalla pizza alle vacanze al sud, dalla nazionale di calcio alla Gioconda…). Ora, questi miei carissimi concittadini, impastoiati di ‘Roma ladrona’, di proclami separatisti, di boiate sul federalismo, non sanno più che pesci pigliare. Quando tiri in ballo questioni storiche-nazionali, tipo Vittorio Emanuele II, o le guerre d’indipendenza, o Cavour, o Garibaldi, o Mazzini, oppure anche Lippi o l’Afghanistan, o la medaglia al merito data a Quatrocchi, o simili argomenti di italianità, questa persone infinocchiate di leghismo, diventano evasive, diplomatiche, tendono a cambiare discorso. Non prendono posizioni nazionaliste per disciplina di movimento, cioè minimizzano i valori nazionali piuttosto che difenderli. Ma è possibile arrivare a rifiutare il sole dell’italianità e difendere un turbinoso nubifragio mentale? Si vede, oltretutto, che lo fanno controvoglia, per mera presa di posizione, sembrano come imbambolati, bloccati. Sono stati indottrinati male dal gran capo verde che li ha condotti in un vicolo cieco dal quale, per coerenza, non possono (e non vogliono) uscire.

Questa tendenza, penso solo nordista, arriva oltretutto in un momento in cui ci vorrebbe del sano nazionalismo per riconquistare fiducia e prestigio internazionale. Ebbene, Italiani medi, siamo la maggioranza, siamo noi che contiamo! Perbacco svegliamoci!


34 bis-r

Sorteggio Mondiali 2010 *

dicembre 2010

L’albero del Mondiale pubblicato sulla Gazza del 5 dicembre 2009 a pg. 3 (il giorno dopo i sorteggi effettuati a Johannesburg), è sbagliato. Per l'esattezza, le partite n. 57, 58 e 59 dei quarti sono posizionate nei posti sbagliati e danno adito ad equivoci. Il bello è che sembra abbiano abboccato tutti a un errore grossolano. Mi pare di ricordare che i più autorevoli opinionisti esclusero la possibilità di una finale Italia-Brasile (che diventerebbe uno scontro storico). Invece è vero proprio il contrario. Se Italia e Brasile dovessero vincere i rispettivi gruppi si incontrerebbero solo in finale.  Prego verificare l'esatto albero degli accoppiamenti sul sito ufficiale FIFA. Faccio notare inoltre, che in occasione dei sorteggi di Germania 2006, sul Corsera del 12 dicembre 2006, a pg. 5, fu commesso un errore analogo: secondo l'albero di allora, Italia e Germania non si sarebbero mai potute incontrare il 4 luglio 2006 a Dortmund. Morale: forse qualche vostro reporter dovrebbe padroneggiare di più i meccanismi di sorteggio. Spero che in FIGC (Abete e Lippi) usino uno schema corretto per effettuare le giuste congetture mondiali.


34-g

Sentirsi superati *

10 aprile 2010

Mi sentivo come superato dagli eventi.

Bisogna aggiornarsi continuamente, seguire l’evoluzione, anche se magari non la si condivide.

È disagevole il sentirsi superati. Perché è una sensazione limitante, e fuorviante. E non vale adirarsi o chiudersi. Occorre reagire integrandosi nel compendio delle cose come si stanno evolvendo. Per non sentirsi sfiniti e abbattuti nell’impossibilità di conseguire una giusta tregua col mondo che ci inghiotte occorre darsi da fare per evolversi e non sentirsi superati. Ma è proprio così? Suvvia, svegliamoci! Scrolliamoci di dosso le mille maschere che ci trattengono nell’artificiosità schermandoci la vista del reale.


33 bis-b

Allargamento UE *

2010

Allargamento UE. Proseguire o no?

Romania e Bulgaria trovatelli d’Europa. Prendo spunto da una lettera del 2007 di Sergio Romano sul Corriere della Sera. Ora siamo nel 2010. Romania e Bulgaria, sono ancora il fanalino di coda dell’Unione Europea, e il loro livello economico-sociale trascina verso il basso la media europea del benessere. Ma pensiamo alla condizione in cui questi due paesi si troverebbero ora se non facessero parte dell’Unione. Sarebbero probabilmente rimasti alla deriva a causa del rifiuto di integrazione pronunciato dai “Venticinque di allora. È il discorso del tanto peggio tanto meglio? Certo che lo è! Ed è lo stesso discorso che occorre fare per il futuro della Turchia nella UE. Abbiamo paura ad integrarla. Ma sarà sempre meglio per tutti integrarla che non integrarla. Quando tu integri un’incognita in una realtà ampia, stemperi l’incognita. La annulli, perché la nuova realtà che si crea la assorbe e la condiziona almeno in parte. La realtà nuova allargata perde un poco di consistenza, ma si salva e sopravvive (a breve), si consolida e si migliora (alla lunga). Perciò è bene muoversi sempre verso le direzioni aperte e fiduciose, che sono poi quelle generose. Le posizioni conservatrici non pagano. Lo so che si sconfina nella filosofia. Ma secondo me il problema globalizzante va affrontato proprio in questo modo. Non bisogna più avere timore della filosofia. La filosofia, quella semplice e buona, deve essere come la pastasciutta. Da consumarsi quotidianamente. È ora di guardare lontano, di investire nel pensiero. I problemi si risolvono con le visioni allargate, non guardando l’orticello di casa.


33-d

Nella vita c’è dell’altro *

10 aprile 2010

Nella vita c’è dell’altro. Noi ci specializziamo in ciò che amiamo di più, assecondiamo, giustamente, le nostre inclinazioni e diventiamo esperti in discipline, materie, ci applichiamo per saperne di più di ciò che più ci appaga, ci piace, ci soddisfa. È giusto, ma limitante, perché nella vita c’è sempre dell’altro. Qualcosa di diverso rispetto a ciò che ci piace. Un giorno improvvisamente subiremo un trauma che ci farà accorgere che in fondo, oltre al nostro amore interessato, c’è l’amore per la vita disinteressato. Ci può o ci possono essere altri amori, amori diversi, altrettanto meritevoli dei nostri sentimenti.

L’ambito esteso in cui ci muoviamo consente finalmente al nostro Io di muoversi e di accorgersi dell’infinita proposta che appartiene al creato e a noi.



32-g

La cultura fine a se stessa: un grande equivoco *

10 aprile 2010

Mi piace evocare tante cose, e renderle piacevoli e grate alla mia mente. Ma il fatto di imparare tante cose nuove e di non poterle incamerare appieno nel novero delle conoscenze mi delude alquanto e affievolisce in me il desiderio e il bisogno di conoscere cose nuove.

Così accade che le iniziative volte a creare cultura mi risultano spesso insopportabili e leziose, insomma le giudico inutili e pertanto ne respingo l’offerta.

Mi rendo conto che molto spesso l’offerta di condivisione delle esperienze altrui non è altro che ostentazione di egoismo e bisogno di affermazione, non è altro che una richiesta disperata di lode, di approvazione di riconoscimento. Forse è bene e giusto che il soggetto in questione voglia ottenere un riconoscimento, altrimenti non riuscirebbe ad alimentare ulteriormente la propria vena esploratrice.


31 bis-b

Triste considerazione *

Febbraio 2010

La Lega comprende il danno irreparabile che ha provocato in questi anni avendo reso possibili i governi berlusconiani?


31-g

Sconforto *

26-febbraio-2010

Non c’è che la solitudine e l’abbandono come risposta all’incomprensione e alla delusione. Scoprire negli altri illusorie analogie e non poterle confessare o condividere, scoprire intenzioni, velleità, sogni, sapendo di non poterli realizzare mai, tutto questo è deludente. Le speranze: quelle no, per esse non c’è posto ormai. Si può sempre costruire qualcosa nella vita, ma da soli, non più alcunché insieme a qualcuno che si ami, perché è tardi ormai. Per essere felici si può solo dare, perché non si ha più speranza e opportunità di ricevere.

È pazzesco scoprire di avere tante analogie con una persona e di non poterle condividere.

Amore platonico in giovane età.

Amore per la scrittura.

Amore per la filosofia della luna.

Rinuncia a possibilità di affermazione.

Nulla vale, nulla conta più. Le giovani età sono distanti, se ne vanno per la loro strada, inconsciamente e giustamente. Ciò che si desidera lo si vede sfuggire. L’incomprensione della giovinezza esce vittoriosa da un confronto inesistente con la saggezza.



30-k

Vorrei poter non essere ingombrante *

21-febbraio-2010

D’altra parte, come fare se lo sono mio malgrado? È una questione che mi assilla. Vorrei mettermi da parte, ma da un altro lato vorrei anche proseguire nei miei tentativi di affermazione. Forse così risulto patetico.

Ma non riesco a rinunciare al mio diletto primario che è di assuefarmi alla coltivazione di un lento misticismo verso i valori primari dell’italianità, che sono poi limitati all’egoistico consenso personale e alla aspettativa di condivisione della gloria nazionale. Queste sono le mie capacità, queste sono le mie espressioni, le azioni alla mia portata, che mi consentono anche di esprimermi senza interferenze visibili e oggettive con le persone che mi sono legate e che non possono certo pensare di abbandonarmi o distanziarmi. Vorrei fare in modo che queste persone non venissero in alcun modo turbate dalla mia presenza e invadenza, ma che invece, potessero solo beneficiare dei miei interventi anche alla distanza, o delle mie tracce e sovvenzioni secondo le mie modeste possibilità. Sono cose e comportamenti che a volte cerco di esplicitare agli interessati, e ai congiunti, cercando di non interferire con le loro abitudini e interessi, senza peraltro condizionarli. Ma forse non è possibile, né giusto che i miei congiunti non vengano condizionati dalla mia presenza. Se questa effettività dovesse risultare alfine negativa per loro come posso io stabilirlo ora? È un effetto che potrà solo essere stabilito dagli altri in mia assenza quando non ci sarò, ma anche questo è un disegno che non è giusto proporre agli altri miei congiunti, sia per scaramanzia, sia, in definitiva, per rispetto verso di loro. Perché non devono sentirsi condizionati dalla mia esistenza, anche se in realtà lo sono. Ed è giusto che sappiano di esserlo finché io sono presente. Se non lo volessero, dovrebbero decidere loro come comportarsi. Ma se non fossero in grado da decidere da soli un loro comportamento in questo senso ecco, allora, io, anche controvoglia, mi troverei nella posizione di condizionare altre persone, cosa che invece non vorrei che accadesse. Quindi siamo d’accapo. La mia presenza non può non essere considerata. Dunque, l’unico modo per salvare la mia coscienza è di comportarmi come sto facendo, cioè di continuare a dare con generosità esempi di vita pur continuando a esercitare i comportamenti per me irrinunciabili per la mia vita. Il fatto di non riuscire a non risultare ingombrante è quasi un fatto irrinunciabile da parte mia.


28-m

Nazionalismo? Sì! *

28 dicembre-2006

Talvolta occorrono parole forti. Occorrono immagini forti. Ci vuole una denuncia ferma, una reazione ferma. Quando penso ai dementi che vogliono arrogarsi il diritto di cambiare la Costituzione perdo le staffe. È forse l’unica cosa che mi manda realmente in bestia. Pensa te! Sento blaterare che se non troveranno consensi “andranno diritti per la loro strada”. Pensa te, rappresentano il 9% di consensi a livello nazionale e mi cambiano la Costituzione più invidiata del mondo, istituita dai padri fondatori della Repubblica, cioè da gente come Norberto Bobbio e Nilde Iotti. Loro, che si sentono stranieri, vogliono innovarla con iniziative targate Calderoli, Bossi, Borghezio, Castelli e va là che vai bene. Ma, siamo seri! Dovrei dire: «Prego, fate pure, tanto verrete segati con puntuale referendum confermativo. Film già visto, se non sbaglio. È però una strada pericolosa perché quelli sono capaci di studiare qualche marchingegno per abolire il referendum confermativo, e far così passare le leggi costituzionali a maggioranza semplice, e magari ti istituiscono la monarchia. Credo che non ci riusciranno mai. Bene! Solo, c’è un particolare. Chi mi ridà il tempo sprecato in parlamento per l’approvazione di inutili modifiche costituzionali? Me lo ridà forse mio nonno Ermenegildo, amico del “vecio” scoppiato, malandato, dormiente in quel di Ponte di Legno?

Le fottute idee qualunquiste, insulse, egocentriche, egoistiche del leghismo trovano terreno fertile nell’ignoranza dilagante nel sonnolento (di idee) Nord. Nord buono a blaterale con la lingua e a nascondersi con il culo. Io che ho la cittadinanza italiana, che ho fatto il militare, che ho lavorato 38 anni, che ho sempre pagato le tasse, e quel che più conta, non ho mai rubato allo stato, io, dicevo, dovrei accettare nuove regole ideate da gente che ha offeso il Presidente della Repubblica, che ha detto di volersi pulire il culo con il tricolore, che auspica l’avvento dello stato autonomo della Padania, che afferma che Garibaldi era un bandito, Cavour uno straniero, Mazzini un maniaco, che sostiene che l‘Italia è stata fatta per opposizione alla Chiesa, che ai mondiali di calcio fa il tifo contro, io, dunque, dovrei rimanermene zitto di fronte a tutto questo e sopportate che un simile scempio ideologico si faccia strada nell’ignoranza delle menti dei miei concittadini, senza reagire, senza ribellarmi, in virtù della democrazia, della libertà di opinione, della autodeterminazione, e di tutte quelle manfrine pseudo ideologiche che sono la tomba di una Nazione? Perché qui, di Nazione si parla. Di una grande Nazione, non di un grande Paese, che è un concetto diverso. Ribadisco, si parla di una grande Nazione e della sua storia nazionale, che riemerge, riemerge incontenibile, nonostante tutti i tentativi autolesionisti di soffocarla tenendola legata sotto un telo lacero e marcio. Va liberata invece la fierezza dell’identità nazionale, che non s’è mai spenta nemmeno ai tempi del medio evo e dei secoli più bui, è riaffiorata col Rinascimento e si è imposta col Risorgimento.

Gente senza vergogna! Non azzardatevi a toccare la Costituzione perché, – cavolaccio! – potrei veramente arrabbiarmi; non sono mai sceso in piazza (e ho sbagliato), ma in questo caso lo farò, e impugnerò anche un bastone nodoso (non un fucile, come ha già invocato qualcuno dei vostri in altra occasione), per darlo sul groppone a chi di dovere.

Considerazione ultrademocratica! La Costituzione si può anche cambiare ma, se permettete, due cose. Primo: la devono cambiare gli Italiani, non i tifosi separatisti. Secondo: occorre la volontà del 66,7 % degli Italiani, e non del 9 % degli Italiani. Punto.


27-p

Il ponte sullo stretto *

6 novembre-2006

Ragazzi. Il ponte sullo stretto s’ha da fare. Occorre un po’ di fede e un po’ di coraggio! Ma facciamo questo benedetto ponte! Bisogna farlo per unire gli Italiani, perché serve sia per i collegamenti sia per risvegliare la fierezza nazionale. Il Ponte sullo Stretto è come l’Impresa dei Mille di Garibaldi, sarà come una seconda Uunità d’Italia, Il ponte unirà gli Italiani. Nessuno più penserà a dividere l’Italia. La mafia e il clientelismo forse finiranno. Una nuova responsabilità abbraccerà i nuovi Italiani. L’Italia avrà il ponte sospeso più lungo del mondo, sarà un record ineguagliabile che la natura ci avrà permesso di conseguire, utilizzando la nostra volontà, un’opera dei cui benefici fruiremo per un numero imprecisato di anni avvenire.  


26-q

Eppure tiene *

6 novembre-2006

Il pensiero che sempre più spesso si pone è se avere fiducia o no in questo Paese (sarebbe meglio dire Nazione). Effettivamente le istituzioni sembrano non darla. Sono atterrito sempre più nello scoprire che esiste effettivamente una rete di gestione occulta e latente che intreccia i suoi legami attorno alle istituzioni e le blocca di fatto. Forse mi sembro pessimista e spero di esserlo. Ma mi fanno impressione libri come “Il ritorno del principe”, come “La deriva” oppure anche come “Mediocri”. Se le forze prevalenti fossero realmente quelle indicate su questi testi sarebbe un dramma. Poiché però vedo che questa nazione va avanti, significa anche  che i 60.000.000 milioni di suoi cittadini, tutto sommato la tengono in piedi, anche se mal governati. È quasi impossibile constatare come le strutture fondanti tengano nonostatnte tutto.

25-q

Entità mondiale? Tema affascinante, ma quesito risolvibile? *

6 novembre-2006

Sono passati giorni. Tanti giorni. E ogni giorno che passa ci sono fatti nuovi, o ulteriori, più che nuovi. Tasselli su tasselli ad aggiungersi ad altri tasselli per confermare la deriva lenta della Terra. In mezzo ai casi del “particulare”, dell’economia italiana che magari va male o va peggio di prima e della politica interna con le liti assillanti quanto pazzesche, ci sono i fatti che trascendono il Mondo, come la corrente del Golfo che forse si ferma o rallenta, come le calotte polari che si stanno sciogliendo, e come l’inquinamento che aumenta, la natura della Terra che muta, i deserti che avanzano, le foreste che arretrano, i laghi che si prosciugano. Ragazzi, l’innalzamento della temperatura media della terra di 4 °C dall’inizio del secolo è un’enormità. L’effetto serra c’é. È inequivocabile che ci sia un effetto serra. Lo dico perché c’è qualcuno pronto ancora a sostenere che certi riscontri climatici andrebbero fatti su periodi lunghi, che le presenti variazioni sono normali oscillazioni nell’ambito di un’era glaciale, e così via. Ragazzi, tra un po’ il Polo Nord sarà percorribile e le navi cambieranno le loro rotte e per raggiungere l’Asia dall’Europa converrà passare a nord anziché per Suez o per Panama. Di fronte a questi fatti sembrerebbe naturale che tutti i popoli si unissero per trovare rimedi e soluzioni. Invece no! Perché proprio questi fatti sono frutto dell’odio sulla Terra, di quell’odio che si manifesta tra i popoli e che è il primo fattore delle condizioni di emergenza in cui si trova il pianeta. Allo stesso modo in cui i popoli litigano tra loro per trovare di continuo nuove supremazie ed equilibri, così essi tralasciano gli interessi sovra nazionali. L’egoismo si manifesta tra le genti, l’egoismo determina altro egoismo, l’egoismo acceca i protagonisti della storia. Per salvare il mondo occorrerebbe generosità. Ma la generosità è solo una manifestazione soggettiva, individuale, difficilmente gestibile a livelli globali. La generosità globale chi l’ha mai vista? Esistono manifestazioni di generosità eccezionali, ma sparse, rare, sono solo esempi, mentre occorrerebbe che le strutture istituzionalizzassero la generosità. Ma i governi, se pensano al bene globale e non al bene “particulare”, perdono consensi, quindi cadono. E se cadono subentrano altri governi, che magari iniziano a governare con intenzioni buone, però è gioco forza che questi ultimi cadano a loro volta nel caso si occupino troppo di problemi terrestri o internazionali, o planetari, e poco di problemi di benessere nazionale-locale. I governi sono fatti per occuparsi del bene di una nazione, non del bene della Terra. Per quest’ultimo problema, non esistono governi, esistono solo riunioni di esponenti dei vari governi, esistono meeting internazionali organizzati con scadenze certe. Ma l’applicabilità delle decisioni non decolla perché deve passare al vaglio di governi nazionali che operano sulla base di esigenze locali, sono a dirla breve, vincolati dagli egoismi ristretti. Dunque la faccenda è molto grave, in pratica non ha soluzione per il semplice fatto che non esiste alcuna autorità che possa imporre soluzioni. Per raggiungere lo scopo della salvezza dell’umanità occorrerebbe istituire un Governo Mondiale Sovranazionale, con poteri ampi. L’esecutivo di un tale governo dovrebbe lui dare le direttive organiche ai singoli governi nazionali, i quali dovrebbero addirittura essere apolitici. Le fasi del Governo Mondiale Sovranazionale dovrebbero prescindere dalle scadenze di tipo economico finanziario di ogni stato, le quali dovrebbero essere subordinate a un ordine finanziario planetario basato su un pareggio sostanziale tra costi e ricavi (cioè tra creazione e consumo di beni, perché a livello modiale verrebbe superato il concetto mirabolante dell’iniziativa personale che produce ricchezza per la persona stessa). La suddivisione dei beni verrebbe pilotata dal governo sovranazionale senza alcuna tendenza preferenziale legata a poteri o meriti. Il filo conduttore dovrebbe essere il dominio della dignità, il riconoscimento dell’assortimento delle etiche, l’assuefazione al benessere condivisibile, la tendenza a un incremento delle tolleranze, il miglioramento dei rapporti tra le comunità. Nel contempo si dovrebbe instaurare una spinta all’annullamento progressivo delle diversità, e ciò che è importante, all’annullamento progressivo delle differenze tra i vari costumi. Non come l’esatta tendenza opposta, attualmente in voga, che mira alla salvaguardia delle radici, alla conservazione dei costumi, delle religiosità, dei miti, delle legislazioni, delle mode, delle lingue, addirittura dei dialetti (che li fa assurgere a livello di lingua madre, moltiplicando così le identità). Se i popoli vogliono salvarsi, i popoli devono unirsi. Nel detto “l’unione fa la forza” penso si ritrovino d’accordo tutte genti dell’umanità. Qualcuno ha sporadicamente pensato (sbagliando) che nei destini dell’uomo sia insita l’eliminazione. È invece l’accettazione, quindi l’unione, che determina la sopravvivenza, mai la separazione.

 

24-b

Partito Democratico *

Marzo 2006

Sono convinto che l'iniziativa di Prodi di creare subito un nuovo Partito Democratico sia valida e rappresenti l'unico modo decisivo per sbaragliare l'opposizione. D'altra parte, proprio perché manca poco tempo alle elezione occorre tentare una via innovativa e crederci. Accidenti! Se Berlusconi si vanta di aver battuto ogni record inventando Forza Italia in 6 mesi, pedinci, noi inventiamo il Partito Democratico in 3 mesi. Ha ragione Prodi. Se Fassino & Company si oppongono, ebbene sbagliano. Il nuovo PD vincerà comunque, e con qualsiasi sistema elettorale, perché risucchierà voti dal centro.


23-m

I fatti di Francia *

11-novembreo-2005

Sono in corso strani disordini in Francia. Cosa sta succedendo? Proteste e incendi soprattutto di automobili, non solo a Parigi ma anche nelle periferie, anzi, soprattutto nelle periferie. È colpa del degrado, e della… globalizzazione. Sì! Perché il degrado non è più nascosto come un tempo, ma risulta evidente, lo si tocca, lo si avverte attraverso l’espansione mediatica, e diventa insopportabile. La motivazione è: la pancia vuota. Sì! La pancia. Perché la pancia fa parte della dignità, checché se ne possa obiettare. Milano è un centro apparentemente ben lontano dai fuochi di Parigi, dal degrado delle grandi città europee. Ma occorre guardare ai clamori degli altri. E inoltre… la precarietà. Tutto è precario. La sicurezza, non si pretende che esista. Ma ciò che preoccupa è la mancanza di prospettive, non si vede un barlume di tentativo, un’intenzione di sviluppo. Di conseguenza anche il livello di legalità non può che diminuire. Con le divisioni si accentuano i contrasti, si accendono i fuochi. La via da percorrere è una sola: quella dell’integrazione, poiché solo mediante un’azione congiunta i focolai si circoscrivono e si spengono, e gli incendi si evitano. Ovviamente sulle ceneri sparse occorre ricostruire. Penso che questa sorta di lezione proveniente dalla terra francese sia preziosa, pur considerandola con le dovute cautele. L’analisi della storia dimostra che le situazioni non si ripetono mai tali e quali, semmai con travestimenti e mutazioni. Occorre peraltro un’interpretazione, possibilmente sintetica e tempestiva, senza aspettare secoli. Alla fine, il problema è la pancia. Perché la patria sta dove c’è il pane da mangiare. Dunque, che Milano (i suoi cittadini), nel suo piccolo, si comporti bene, come già sta facendo beninteso! E che continui così, senza mai perdere di vista i due termini primari nel ruolo di sommi conduttori: «legalità» e «dignità»! Che abbia la coscienza pulita, che faccia il suo dovere, che semini proficuamente! Un domani assai vicino potrà dire di essersi presentata con le carte in regola all’appuntamento incalzante con la storia: ossia all’appuntamento con gli stranieri in Italia. Solo così farà da esempio e diventerà portabandiera nella sua provincia più multietnica.


22-g

Un autentico ginepraio *

xx-novembreo-2005

[ripresa]

Sì però tutte queste cose si sono sapute dopo, e non prima.

Le minacce contrastano con la libertà. Esse sono contro la libertà ma la libertà tende a tollerarle. Con il pericolo di essere sopraffatta e quindi di sparire. Ma nello stesso tempo il cercare di elidere le minacce costituisce una riduzione del principio di libertà. Come fare? La libertà deve assolutamente sopravvivere. Occorre dunque riposizionare la libertà su nuovi confini definiti sulla base dell’evoluzione dell’etica e della morale mondiale. [continua…]


21-g

Un autentico ginepraio *

25-luglio-2005

[L’islam totalitario fa paura]

È un ginepraio, il più gran ginepraio che sia mai apparso al cospetto dell’uomo moderno. Non si sa da che parte cominciare a trattarlo questo maledetto immenso ginepraio: e mi trovo anche subito in difficoltà a farlo, e non so se lo farò alla fine. Sapete perché? Perché non sono vecchio e solo come Oriana Fallaci e per questo ho paura. Ho moglie e figli a cui voglio bene, e se mi metto a parlare a ruota libera del terrorismo islamico, degli estremisti, e di tutti quelli coinvolti in questa sporca faccenda non so dove andrei a finire. Mi sentirei automaticamente esposto a ritorsioni. Sì, perché parlare liberamente degli estremisti islamici, senza correre alcun rischio personale, non si può. Tu, domani mattina, se ti svegli con delle idee strane sul cristianesimo puoi permetterti di indire un simposio e discuterne, parlarne, nessuno te lo vieta. Ma se tu vuoi trattare pubblicamente un tema riguardante la religione islamica, un tema scottante che magari obbietti qualcosa di basilare, che magari metta in discussione non dico l’intera ideologia, ma anche solo qualche principio fondamentale dell’islam, cosa credi, che puoi farlo impunemente senza correre alcun rischio? Non credo proprio. Quei cari signori si sentirebbero offesi, poverini; già, offesi perché non sarebbero affatto sicuri di poter emergere integri da una discussione sull’islam. Allora, nisba! Non si discute di un bel nulla. Ma siamo matti? Discutere qualche principio proveniente da quell’accozzaglia di versetti perversi e ignobili? Giammai. Anche perché basterebbe sceglierne uno a caso per trovare non poche motivazioni di contestazione. Il patetico, o il ridicolo, se volete è che non si può discutere di Islam senza deriderlo o offenderlo, in quanto tutta o quasi tutta la fraseologia del Corano appare farneticante o insulsa se la si guarda con spirito obiettivo, distaccato. Provate ad aprire il Corano in un punto qualsiasi e mettetevi a leggere liberamente, cercando di intendere ciò che viene espresso: vi troverete di fronte a concetti filosofici primordiali, atavici, addirittura preistorici. Per questo l’islam, essendo di per sé superato per la naturale essenza dei suoi contenuti, pretendendo di sopravvivere non può che diventare minaccioso nei confronti di qualsiasi altra religione; ma in particolar modo l’Islam è minaccioso nei confronti del Cristianesimo e dell’Ebraismo, perché sono le due religioni monoteiste che non solo lo sfidano alla distanza ma gli sono concettualmente superiori. L’islam è una confessione che insegna orgoglio, e per questo è pericolosa. Il Cristianesimo per contro insegna modestia, e perciò è innocuo. Ecco, ciò che sto scrivendo sull’islam lo dovrebbero equamente scrivere un po’ tutti, se fossero obiettivi e coraggiosi. Questi temi dovrebbero essere posti sul tappeto dai più illustri responsabili della politica e dell’etica mondiale. Ma chi se la sentirebbe di farlo, obiettivamente?

Da un qualsivoglia confronto l’Islam uscirebbe sconfitto. L’Islam ha un sol modo per vincere: chiudersi ancor più, indire una campagna aggressiva. La linea dell’Islam è dunque la seguente: rifiutare il confronto democratico, cogliere invece la sfida alla distanza, cioè quella che non può essere rifiutata, e condurla con la sola arma teoricamente vincente: l’aggressione, il tradimento e la vigliaccheria.  

Volete la prova di quello che ho appena detto? Guardatevi un po’ attorno. Quali sono i giornalisti e gli uomini di cultura che si impegnano a dare giudizi sulle porcherie perpetrate dai terroristi? Certo, a botta calda  le denunce e le dichiarazioni di condanna degli atti terroristici piovono a fiotti da ogni parte. Ci mancherebbe! Ma quando si tratta di intavolare un discorso filosofico sulle radici del terrorismo, e di affermare che l’etica occidentale è superiore all’etica islamica, allora, anche dopo una strage appena compiuta, si misurano le parole. Perché questo? Siamo sicuri che le parole si misurano soltanto per non offendere l’onore dei tanti musulmani moderati, che sono la stragrande maggioranza (e dalli con queste strampalature)? O le parole si misurano perché ogni giornalista coinvolto a esprimere una opinione spassionata si sentirebbe automaticamente minacciato nella sua persona? È inutile continuare su questa lunghezza d’onda. Lo riconosco, purtroppo, è tutto tempo sprecato. Anch’io ho paura. La realtà è che siamo nelle mani di pochi pezzenti assassini, ma purtroppo sono assassini speciali, che hanno nel cuore una bomba potenziale: il rancore nascosto generazionale, un rancore nascosto e latente verso una civiltà nemica e avversa che li opprimerebbe. Per cui molti di loro, per fortuna una percentuale minima, ma che rappresenta pur sempre un numero assoluto elevatissimo, sono vulnerabili dall’infatuazione della militanza. Datemi ascolto. È così e basta. È una verità. Non bisogna aver paura della verità. Occorre prenderne atto. Se si vuole uscire da questo ginepraio immondo e pazzesco bisogna rendersene conto. Come? Qualcuno dice che è impossibile. Perché è impossibile calarsi nella personalità altrui. Io invece dico: finiamola di trincerarci dietro queste remore mentali. Tutto è possibile, quindi è possibile anche capire perché esiste questo terrorismo fanatico.

[Il coraggio degli Americani]

Bisogna innanzi tutto scindere le questioni. Ci sono vari argomenti che portano dalla stessa parte ma vanno trattati separatamente, occorre in pratica sintonizzarsi su lunghezze d’onda diverse e trattare argomenti da punti di vista separati, altrimenti non si capisce un bel nulla. Prima lunghezza d’onda: Il petrolio, Bush, l’America. Ecco, finiamola di dire un sacco di stronzate e di fare di tutta l’erba un fascio. Facciamo poche ma significative considerazioni. Gli Americani sono intervenuti nella Prima Guerra Mondiale e l’hanno risolta. Gli americani sono intervenuti nella Seconda Guerra Mondiale in modo determinante. Dopo l’istituzione delle Nazioni Unite sono intervenuti in Kuwait, in Somalia, in Bosnia, in Kosovo, in Afghanistan (sto parlando degli interventi ufficiali legalizzati dall’ONU, non delle manovre e degli appoggi militari segreti pilotati dalla CIA, tipo Cile e Nicaragua). Poi c’è il Vietnam che è stato una vicenda a sé stante e va visto come un lungo strascico della seconda guerra mondiale per arginare il comunismo. Voglio piuttosto far osservare che in Vietnam, in Bosnia, in Kosovo, in Afghanistan non c’è petrolio. Nel Vietnam e in Afghanistan c’erano invece i comunisti. Anche l’appoggio degli Stati Uniti a Baghdad ai tempi di Komeini va visto in una luce particolare, più antisovietica che non petrolifera. Comunque, qui non si vuole sminuire quella che è la indiscussa tendenza americana ad assumere l’egemonia nello scacchiere mediorientale (vedi le famose sette sorelle del cartello petrolifero, l’appoggio allo Scià di Persia, l’alleanza datata con l’Arabia Saudita, l’appoggio ai vari Emirati Arabi, per non dimenticare l’appoggio al vecchio Libano a quei tempi decantato paradiso di vizi e virtù per i ricchi magnati, tra cui il giovane Bin Laden). Ora si dice anche che gli Americani lo fanno perché vogliono vendere armi, o meglio, perché vogliono distruggere armi per poter continuare a costruirne di nuove, e per testare quelle nuove per migliorarne la tecnologia. Accidenti, ma quante cose vogliono fare  questi Americani! Ora saranno invadenti, presuntuosi, e tutto quello che volete, però se fanno tutte queste cose sono anche alquanto bravi, non vi pare? Questo bisogna pure ammetterlo. Si dice che gli americani non fanno nulla per nulla. Sarà, però è anche certo che se vanno a destra e a manca per raccogliere soldi, lì vi lasciano anche, molte, moltissime penne (300.000 nella prima guerra mondiale, 300.000 nella seconda guerra mondiale, di cui 40.000 nella sola risalita del nostro stivale dal  lato ovest- Mar Tirreno, 200.000 in Vietnam, e certamente molte di meno, come numero assoluto, negli ultimi conflitti, ma comunque sempre tante, troppe, rispetto a quelle dei benemeriti e indisciplinati alleati NATO). Ora, se un popolo se ne va in giro per il mondo a difendere qualcosa pagando un simile prezzo, io penso in tutta franchezza che questo popolo non sia poi così ‘calcolatore’, penso invece di aver a che fare con un popolo dal ‘cuore generoso’, e se permettete, io dei cuori generosi mi fido di più che non dei cuori parsimoniosi e colmi di “saggezza”. Volendo riassumere gli esiti e le fortune degli interventi americani nei conflitti precedenti, bisogna riconoscere che si sono dimostrati oculati, risolutivi, o quantomeno opportuni anche se non sempre tempestivi (mi riferisco sempre agli interventi definibili come ‘ufficiali’). Il fiuto statunitense non si è quasi mai rivelato falso (a parte il Vietnam, ma come detto, questo è un discorso particolare che non rientra nei canoni di una simile analisi). E ora non resta che l’Iraq. I risultati quali sono dopo l’invasione? Fine di una dittatura? Sì ma con quale devastazione, per ora. Le elezioni in Iraq sono state un successo. Ha votato più del 60% della popolazione. I risultati? Un governo a maggioranza religiosa sciita. Prima c’era un Iraq sunnita (con una dittatura), ora c’è un Iraq sciita (con una democrazia). La costituzione che sta per essere varata dalla commissione irakena è troppo rivolta agli Sciiti che rappresentano il 60% e hanno sete di rivalsa sui Sunniti, che sono i persecutori del passato. [continua…]

Gli Americani si muovono per interesse, ma ci mettono un sacco di morti, e finché ci sono di mezzo i morti vanno rispettati.


20-g

Andarsene in tempo *

4-giugno-2005

Don Giuliano ha pensato bene di andarsene prima di compromettersi. Questo può sembrare uno strano dato di fatto, ma è la realtà. Lo stavamo fregando per bene e allora ha detto: no! Scusate, non posso svelarvi tutto quello che ho capito finora. Cioè, posso ma non è giusto per voi; perché dovete scoprirlo da soli. Fatelo in memoria di me.

Quando se ne va una persona importante si piange e si pensa a una disgrazia maggiore rispetto alla perdita di un essere schivo e poco incisivo sulla vita degli altri. La disperazione che dilaga è maggiore ed è più profonda nel primo caso che non nel secondo. Non so se questo sia giusto o meno. Sta di fatto che l’intimo è toccato e perseguitato in misure diverse. Accettiamo queste diversità, queste antidemocraticità come un segno del destino, come qualcosa che ci sprona a meditare intensamente sul ricordo e sul sentiero tracciato dalla vita. L’esistenza è come un sentiero. Talvolta è percorribile perché è ben evidenziato, talvolta è irriconoscibile o nascosto, di conseguenza dimenticato e cancellato.

Il fatto è che don Giuliano era un prete speciale. Intendiamoci! Non che i preti in genere non siano meritevoli per la missione che svolgono. Tuttavia, non è giusto non fare differenze dove esistono e si vedono e si toccano con mano. Probabilmente era successo che don Giuliano possedeva una visione della vita tanto chiara e semplice, e veritiera, come nella generalità dei casi non accade. E poi c’era il fatto della comunicazione. L’atteggiamento in don Giuliano conferiva il privilegio di poter donare attraverso la semplice comunicazione. E questo lo poneva in una posizione preminente e delicatissima al contempo. Non pochi evidentemente potevano vantare un simile privilegio, e dunque sorgeva immediatamente l’esigenza di dover per così dire mettere a frutto questa prerogativa esclusiva in suo possesso. Don Giuliano era il Gesù del 2000 personificato e mandato da un’entità superiore per istruire le genti con le quali entrava in contatto. Vi parrà strano ma era proprio così. Egli aveva talmente chiara la sua missione, tanto da emanare un impulso magnetico con la sua presenza. Verso la gente che entrava in contatto con lui. Ma a questo punto don Giuliano stesso veniva messo alla prova in maniera apparentemente impietosa. Rendendosi conto di quella che era o stava diventando con l’avanzata del suo percorso, la missione, aumentava il peso del fardello. La vita terrena, essendo limitata non avrebbe accolto il messaggio per intero. La divulgazione avrebbe avuto un limite. Egli avrebbe dovuto predicare, ma limitandosi, altrimenti la limitazione sarebbe intervenuta d’autorità, perché lo svelarsi interamente non consente di credere nel mistero. Ma don Giuliano era entrato in una contraddizione fatale. La sua generosità non gli permetteva di limitarsi, proprio come era accaduto accadde a Gesù due millenni prima. Il messaggio non andava trasmesso fino in fondo, ossia completamente, il messaggio doveva essere costituito dai segni. L’elaborazione dei segni recepiti spettava poi alla gente che lo aveva conosciuto. Le cose non stavano andando proprio così. La gente lo ha assalito, voleva spremerlo fino in fondo, attingere da lui tutto la qualità disponibile. La gente lo aveva conosciuto, e dopo averlo conosciuto voleva tutto da lui. Ma lui poteva dare tutto in un solo modo: quello spirituale, non certo in quello materiale. Seguendo la via materiale non avrebbe potuto che comunicare un messaggio limitato e a pochi. Dunque, la sua generosità lo ha portato a scegliere la via mistica per comunicare: quella della memoria, quella del mistero, e così don Giuliano ha preso il coraggio a due mani e ha deciso di andarsene. E questo atto è stato compiuto il 20 maggio del 1995.


19-l

Finalmente il “dialogo” *

30-marzo-2005

«Quante speranze d’amore perdute, senza la pallida Luna accanto!» cantava un poeta sconosciuto. Senza amore, né gloria, né pietà se ne stava solo e guardingo ad aspettare le grandi opere incompiute mai finire, né mai sorgere accanto a lui, in lui. Or dunque, stanco e dopo grande attesa, ormai incredulo e deluso, udì un canto generoso offrirsi al vaglio delle pene e vide un messo tendergli la mano amica colma di nuove note, vivide e feconde.

Al bando i versi e le timide favelle. Dopo ardite prove il dialogo si prova, timido e sagace, a ripresentarsi tosto, nuovo, speranzoso, folle ed a misura, savio all’infinito, a dirimere le attese stuoie.

 

«Ho bisogno di te» sentii ripetere da un prete. «C’è qualcosa per cui voglio avere bisogno di te». Parole ardite e pensierose che entrarono in me e vi restarono per sempre. Mi presero e ancora le odo chiare quando dubito di me. Venne a cercarmi e mi offrì la possibilità di esprimermi. Da allora mi rifugio in lui nel suo affettuoso pluralismo. Aver bisogno di sentirsi amati e protetti e aver bisogno di sentirsi ascoltati. Il rifugio e la fede; la paura e la fiducia: antitesi di sempre. “Aver bisogno di te e meritarsi la tua attenzione”. Questo diceva anche un emerito politico gessatese in un libro dal ricorrente titolo. È bene sempre attingere a più fonti pure e cristalline, scandire il bisogno ed esporre i meriti.

 

Le basi del dialogo son tante, impegnano come non mai. Esse si propongono di edificare un gran palazzo bianco con mille e mille finestre attorniato da un campo immenso. Il gran palazzo bianco è costruito a terrazzi, a grandi piani gli uni su gli altri, come una torre larga, una piramide a base larga, teutonica. L’immenso padiglione è celato seminascosto da un’ampia fascia di pini e palme, dalla quale a stento emerge. I suoi confini alti si stagliano nel cielo blu. La luce si riflette sulle pareti a terrazzi.   


18-l

Lettera a Zio Giancarlo *

2-novembre-2004

Zio Giancarlo, il tuo ricordo intenso mi assale ora che di te, lontanamente penso ai timidi gesti umili e mansueti. Quando t’incontravo, quelle rare volte, non avevo che le mie colpe davanti a te.

Eri buono, semplice, modesto. Non volevi poi molto dalla vita, solo stare, guardare e parlare un po’ con quelli che ti capivano e ti conoscevano. Il tuo modo d’amare raggiungeva i filari dei pioppi e l’infinito che stava dietro, e pure le membra tue non osavano distendersi ad occupare il grigiore delle rogge, nonché starsene appiedate a meditare cose che non so.

I palpiti del tuo cuore, seduto al tavolo della cucina nuova e non per questo così amata, erano intenti ad assuefarsi alle ombre lugubri della campagna, a distendersi per le vie intrise d’ombre d’ocra e giallo fieno. Quando ti vidi l’ultima volta, al tavolo della cucina, mite e seduto, mi salutasti con un filo di voce che io intesi essere l’ultimo tuo saluto. Pure ti dissi cose banali e scontate. E tu mi guardasti con quei tuoi occhi grandi, azzurri, profondi, forse volevi implorarmi di dirti qualcosa di bello, di più, e di convincente. Ma di convincente non rimanevano che gli sguardi nostri, tuo e mio, che si incontravano e non volevano impiegare tempo inutile per parlarsi di cose inutili, ma solo per salutarsi, per fissarsi ancora un’ultima volta. Il colloquio fu breve, insulso, scontato, senza importanza. L’importanza era l’incontro, l’emozione, il sentimento che scaturiva dal saluto.

Come fare a ricordare il dono di te al mondo? Zio Giancarlo, tu sei stato presente, non conviene che tu sia dimenticato, a nessuno di noi, perché anche noi verremmo depredarci del nostro egoismo.

Tu non verrai dimenticato, a volte che io ti penserò intensamente, tu vivrai decretando a me, a noi le tue umili favelle. Io le ascolterò e le apprezzerò. Sei fuggito come tanti, non ti abbiamo trattenuto. Volevi poco come tanti, forse troppo per gli incoscienti. Tu possedevi qualcosa di magico e divino, che ti ha indotto a spenderti con generosa fretta, senza calcolo, senza offese, con pudore di te stesso.

Le parole che dicevi a riguardo mio e di Idetta erano sempre delicate, tanto le ricordo quanto le apprendo dalla tua memoria intensa, fatto che inondava di te il ricordo dei nostri rari incontri.

Zio Giancarlo, non credere di non essere stato importante. Tu hai segnato l’epoca della gente modesta e scarna, bergamasca, dai cuori intinti d’amore immenso e devoto per i valori civili e dignitosi della terra e delle cose, delle morti e degli amori.

 

18-r

Calcio - Dialogo dei massimi sistemi *

5-luglio-2004

Premessa

«Ciao, Gianni, come va?» 

«Gianni, chi? Gianni Rivera?» 

«Ma no. Cos’hai capito! Gianni Brera!» 

La vittoria della Grecia nell’Europeo 2004 impone somme riflessioni. Direi che occorre rifarsi ad antiche filosofie se vogliamo almeno tentare di capirci qualcosa. Del senno di poi… ecc. ecc. Sembra tutto facile dirlo adesso, saltare sul carro dei vincitori (i Greci) ecc. ecc. Comunque sia, è doveroso ricercare le giustificazioni di cotanto strana e inaspettata vittoria. Sì! Gran parte del merito è dovuto al cosiddetto posteriore, perché non è vero che la Grecia è la squadra che ha espresso il miglior calcio agli Europei. Ma, andiamoci piano. Che significa “miglior calcio?” Nel calcio non è stabilito che il gioco migliore debba portare alla vittoria (per la verità in nessuno sport). Vince chi vince, cioè chi è in grado di segnare il maggior numero di reti. E tale regola non corrisponde necessariamente allo sviluppo del miglior calcio. Cosa significa calcio migliore? Significa forse calcio divertente? Significa forse calcio spettacolare? Ma “divertimento” è una entità piuttosto soggettiva, se non sbaglio. Anche lo “spettacolo” è un’entità soggettiva. E lo sport dove lo mettiamo? Il gesto sportivo, specie quando porta alla conquista di un risultato, quello sì, è spettacolare. Dunque, se nelle regole e nella lealtà sportiva si assegna una vittoria, va da sé che una certa dose di spettacolarità l’accompagni. Dunque lo sport è spettacolo. E per la proprietà transitiva lo sport è divertimento. Ciò che diverte è l’atto sportivo che è spettacolo. Tutta questa premessa anfitriosa occorre prima di passare a considerare le giustificazioni che hanno determinato la vittoria della Grecia. È comodo giustificare le cose a posteriori, però è un esercizio che va fatto di volta in volta per imparare le lezioni della storia. La storia, è vero, non si ripete, e nemmeno gli eventi che l’anno determinata si ripeteranno, però il loro studio permette di capire perché certi eventi si sono verificati quella volta, e sia quel che sia, la comprensione è sempre utile per la prevenzione di fatti spiacevoli.

Dunque, armiamoci di coraggio, estremizziamo l’analisi, e vediamo dove ci catapulterà.

Il percorso della Grecia.

Ragazzi, la Grecia ha battuto il Portogallo nella partita inaugurale, ha eliminato la Francia, ha eliminato la Cekia, ha battuto di nuovo in finale il Portogallo. Il percorso, se vogliamo ben guardare, è stato ad esempio molto più difficile di quello di una Francia vincitrice del mondiale nel 1998, che ha eliminato un’Italia ai rigori nei quarti, ha battuto una sorprendente e appagata Croatia in semifinale, per approdare a una finale dove ha trovato un Brasile alquanto dimesso.

Non basta asserire che la Grecia è stata favorita da Collina contro i Ceki per giustificare la sua vittoria. Ha vinto troppe volte e in modo alquanto cinico, per poter dire che ha avuto fortuna. Dunque, dall’altra parte, occorre riconoscere che il successo è stato costruito. Ma da chi e come? Nessuno, a parte pochi addetti ai lavori, conoscono i calciatori ellenici per fama. In massima parte sono illustri sconosciuti. Ma non importa, perché se fanno gruppo, se stanno bene fisicamente, se il loro livello tecnico è onesto, se tra di loro ci sono magari un paio di talenti che si elevano un poco al di sopra della media, se sono allenati bene, sen sono guidati bene, se si trovano in una situazione psicologica di vantaggio, se… se… se tutte queste coincidenze si verificano, ecco che i Greci possono superare, o perlomeno contenere e poi sperare di superare, formazioni titolate ricolme di celebri campioni.

Vediamo: Italia, Francia, Inghilterra, Spagna, Germania, per citare le nazioni eliminate più famose, chi più chi meno, hanno i maggiori club impegnati per più di 70 partite l’anno ad alto livello. Molti club hanno rose di 40-50 tessserati giusto per far fronte a tali impegni. Molti stranieri ritornano alle proprie nazionali in condizioni precarie, spompati, e allenati con metodi diversi, alla fine di campionati stressanti (questo vale soprattutto per Italia Spagna Inghlterra, un po’ meno per Francia, Gremania, Olanda). Il tasso tecnico-atletico dei campionati definiti più belli e stressanti diventa un potente agente corrosivo della psiche e del fisico dei giocatori, molti dei quali non reggono la richiesta finale di concentrazione e impegno delle rispettive nazionali.

La lezione della Grecia.

Guarda caso, la Grecia era sicuramente esente da tutto questo fardello di handicap. Se poi si aggiunge il fatto che una nazionale onesta e tranquilla viene guidata da un allenatore sensibile e preparato, seguita da uno staff tecnico che le fa azzeccare preparazione e l’ambientamento, da uno staff medico che indovina l’alimentazione (come successe all’Italia nell’1982 in Spagna), da una dirigenza autorevole e rispettata, ecco che si comprende come sia possibile per la suddetta nazionale, impattare in un crescendo di situazioni favorevoli, alias risultati positivi, alias ancora: squadra imbattibile.

Sembra una lezione del destino che abbia voluto bacchettare la superbia del gioco oltremodo esuberante. Ecco scudisciate sul sedere a chi insisteva nel portare avanti palloni a testa bassa con virtuosismi ed evoluzioni in prorompente avanzata senza appelli e freni, in nome del design del “moderno gioco” del calcio, che è sempre più “gioco”, e sempre meno “sport”, dimenticando invece quella che è, e sempre resterà, la vera natura irrinunciabile del calcio, che è lo “sport”, alla faccia dei guadagni, sono spiacente, ma lo è!

Dunque i soldi hanno perso, i grandi campioni strapagati hanno perso. I mercenari del calcio hanno perso. I grandi nomi hanno perso. Lo stress del calcio ha perso. I grandi ritmi hanno perso. Lo spettacolo per lo spettacolo ha perso. Le tattiche trascendentali e fumose hanno perso. La mancanza dello spirito di gruppo ha perso. La supponenza ha perso. Il calcio moderno (moderno?) ha perso.

Invece la modestia ha vinto. I campioni sconosciuti hanno vinto (sono loro i campioni d’Europa). I nomi sconosciuti hanno vinto. Il calcio senza stress ha vinto. I ritmi calcolati hanno vinto. Lo spettacolo per lo sport ha vinto. Il tatticismo (non solo le tattiche utilitaristiche) hanno vinto. La consapevolezza ha vinto. Lo spirito di gruppo ha vinto. Il calcio moderno (sì perché è questo il cacio moderno, non quell’altro che vogliono farci credere che sia) ha vinto.

Ebbene, non crediate che sia facile primeggiare in uno sport di squadra come il calcio, dove le individualità contano in un certo grado, se ci sono, ma alle quali, se scarseggiano, e sapendolo, si può sopperire con il “gruppo” elevandone tenacia e concentrazione. Il bello del calcio consiste proprio nel tentativo di dominio della sua inafferrabile logica, nel dispiegamento in campo delle forze disponibili come in una battaglia campale dove si alternano la forza fisica, l’elemento tecnico, lo spirito di sacrificio, la tattica.

La tattica, strano a dirsi, ogni qual volta diventi necessaria e venga applicata puntigliosamente, si rivela l’elemento vincente nel calcio; al contrario, spesso invece essa viene giudicata superflua rispetto alle preponderanti risorse oggettive possedute. Quando si rinuncia alla tattica, per vincere di pura forza, ecco che si rischia maggiormente la disfatta.

Il bello è che nel calcio cosiddetto “moderno” si predica spesso di profondere energie, di dare tutto in una partita, in virtù della generosità, dello spettacolo, per rispetto dello spettatore che paga il biglietto (non di quello che paga la televisione perché sta comodo in poltrona).


17-b

Nuova UE *

24-aprile-2004

Ciò che avverrà sabato prossimo a Gorizia e a Nova Gorica sarà un evento di grande portata storica ed emotiva. Cadrà infatti ufficialmente l’ultimo baluardo tra due mondi diversi, tra due Europe ancora diverse ma che hanno deciso di unirsi nella loro strada per non dare ulteriori alibi alle loro diversità che sono destinate a sparire. Il simbolo della divisione tra il mondo occidentale e orientale è stato per mezzo secolo rappresentato dal confine italo-sloveno. Un confine che ora cade di fatto per la volontà di fondersi di due mondi con origini diverse e anche distanti. Viene da pensare alla caduta del muro di Berlino nel 1989, ma il paragone è completamente improponibile. Là si trattò dell’inizio del crollo di un regime, quello totalitario dei paesi dell’est. Allora, l’evento, pur improvviso ed imprevedibile si manifestò come l’esplosione controllata di una bomba il cui innesco era stato tolto da tempo. Ci fu un tripudio di folla che si riversò da una parte all’altra delle due Berlino, che si mescolò, che ballò attorno alla porta di Brandeburgo, che azzerò il Muro in pochi storici attimi. Fu la vittoria della fede e della libertà. […].


16-d

Modelli di vita *

6-giugno-2003

Il mondo si divide in due categorie di persone: quelli che si spendono, e quelli  che vivono sotto campane di vetro respirando senza null'altro fare. Il mondo è dei primi, che l’hanno costruito e continuano a gestirlo. Resta da stabilire se sia meglio per il mondo subire continue variazioni o rimanere inalterato per sempre.


15-c

Economia *

6-giugno-2003

La marginalità della borsa valori è l’inganno mistico del mondo economico; ma è anche la realtà su cui si basa l’economia, quella capitalistica, s’intende. Perché l’altra, non essendo ingannevole non può dirsi economia.


14-m,g,f

La guerra in Iraq *

30-marzo-2003

Alla ricerca delle ragioni.

Mi sento solo, mi sento tremendamente solo. Nessuno mi può aiutare in queste terribili decisioni. Devo ragionare come se fossi io a dovere effettuare le scelte massime, in circostanze difficili, solo così posso pensare di potermi almeno avvicinare alla realtà. Una prima via è quella di calarsi nella realtà che si vorrebbe risolvere. In questo modo l’ipotetica soluzione sarebbe limitata al caso 

contingente e non al caso scatenante. Però non si può prescindere dalla necessità oggettiva di dover risolvere il caso contingente quando esso diventa estremamente urgente, irrinunciabile, quando è comunque una priorità.

D’altra parte questo metodo di analisi ha un punto debole: se non sono preparato fino in fondo al “calarmi” in una realtà diversa dalla mia, temo di cadere nella tentazione di dibattermi per difendere ancor più le mie idee, quindi di voler risolvere la questione emotivamente, ancora una volta “a modo mio”, che è proprio ciò che vorrei evitare. Un’altra via è quella esattamente opposta: ossia il tentativo di estraniarsi dal contesto che si vorrebbe analizzare. Solo una tale condizione permette di ottenere una visione globale degli eventi, e di poter operare le giuste scelte per sedurli. La scelta di questa via costituisce senza dubbio il giusto schieramento dal punto di vista etico, morale, filosofico, poiché rappresenta un investimento sul futuro. Sarebbe la soluzione finale. Però non risolve il caso contingente, che come avevo sottolineato, si presenta spesso come una questione urgente e irrinunciabile. Quando si è impantanati, l’unica cosa a cui si pensa è uscire dal pantano, non certo a bonificare la palude. E ovvio che la palude andrebbe bonificata, ma a questo si penserà successivamente. Ora, sembrerebbe dunque che esistano due necessità, una stretta e inappellabile, determinata dal comporsi degli eventi in tempo reale. Un’altra, ampia e dilazionabile determinata dalle intenzioni e dai progetti per il futuro. È pur vero che nella prima necessità occorre agire e prendere decisioni subitanee. Resta il fatto che tali decisioni potrebbero essere controproducenti dal punto di vista della soluzione finale più ampia che si vorrebbe prospettare per il “dopo”. Se però, nel tentativo di sanare la situazione contingente si cede al boicottaggio della speranza sul futuro, che spesso si traveste da illusione, si rischia di non addivenire ad alcuna soluzione del presente, di dilungare addirittura indefinitamente la crisi in atto, e di compromettere gli stessi piani a lunga scadenza per la soluzione finale. Dunque il pericolo maggiore è il seguire ora un comportamento che potrebbe pregiudicarne uno successivo, subordinato al primo. Se però si trovassero le ragioni che giustificassero un certo comportamento presente utile sia ai fini della risoluzione del caso contingente, sia ai fini della semina della pace o sicurezza futura, potremmo dire, non tanto di aver trovato la soluzione giusta in quanto l’assoluto è sempre confutabile, ma almeno, quella sì, la ottimale relativa.


A questo fine vediamo dunque di vestire le dissertazioni filosofiche con i panni sporchi e meno sporchi degli eventi. L’urgenza oggettiva è rappresentata dalla necessità di disarmare l’Iraq di Saddam. Lasciamo perdere le polemiche sul come si è arrivati alla decisione di intervenire. La situazione è pur quella che vediamo, al 30 di marzo 2003, giorno in cui scrivo queste righe. Da qui in poi sono solo immaginazioni e ragionamenti a cascata, che però devo assolutamente fare. Supponiamo: l’escalation della guerra continua, il prezzo per la vittoria degli USA e della GB si alza sempre più, le atre nazioni “occidentali” stanno a guardare. Le barbarie aumentano, gli imprevisti si moltiplicano. L’opinione pubblica americana e quella inglese contestano sempre più duramente i loro leader. Appare chiaro che sono stati commessi grandi errori di valutazione da parte degli invasori. Le coscienze sono scosse al punto da provocare manifestazioni oceaniche tali da non poter essere ignorate. A un certo punto le forze alleate, se è giusto chiamarle così, decidono di desistere. Seppure gradatamente, scelgono la via del disimpegno, seppure graduale, per cercare di non perdere la faccia. Si rendono conto che non riusciranno a perseguire gli scopi prefissati se non a costo di sacrifici così alti da non poter essere accettati. Non è possibile continuare a rinunciare a vite umane il cui valore è immensamente più alto rispetto a quello delle vite dei terroristi, che le sprecano. Dunque decidono di andarsene. Se ne vanno per non impelagarsi in una vicenda senza fine simile a quella del Vietnam. La deflagrazione di una simile rinuncia investirebbe il mondo arabo con infinite schegge di significati. Ne elenco solo alcuni: sono i primi a cui penso, a caso, ma non gli unici. L’effetto domino causato da una eventuale ritirata strategica e tardiva degli alleati riaccenderebbe mille e mille illusorie pretese nei popoli arabi, lascerebbe aperti moli e molti interrogativi, non risolverebbe alcuno dei problemi aperti. L’evento suonerebbe come una vittoria per Saddam. La sua leaderschip in Iraq verrebbe confermata, il suo regime continuerebbe. L’iraq diventerebbe il simbolo della vittoria e della resistenza degli arabi contro l’occidente. E la Siria? Non sarebbe per caso tentata di rinverdire i suoi propositi di sfida contro Israele? E l’Iran sciita come si comporterebbe con il vicino Iraq vittorioso? Farebbe comunella con lui? Difficile pensarlo. E che ne sarebbe dei Curdi nel nord dell’Iraq? Vogliamo lasciarli definitivamente senza protezione nelle mani di Saddam? O l’Europa e l’america penserebbero di continuare a gestire le “no flying zone”? A proposito, e che ne sarebbe dell’embargo nei confronti dell’Iraq? Avrebbe senso mantenerlo ancora? Togliendolo si darebbe modo all’Iraq di incrementare le esportazioni di greggio e di continuare nella politica di riarmo con i suoi proventi; chi potrebbe impedirglielo? Mantenere l’embargo significherebbe invece confermare l’attuale situazione senza vie d’uscita. Fino a quando? Altro interrogativo. L’unica risposta sarebbe: fino alle fine delle trattative diplomatiche, visto che le ispezioni stanno dando “buoni frutti”. Un momento. In caso di ritirata delle truppe anglo-americane vorrei proprio vedere come e quando si riprenderebbero le ispezioni. Forse mai più. E forse sarebbe un bene perché eviterebbero delle farse. E la questione palestinese? Facile pensare che gli arabi guarderebbero con euforia ad un possibile ridimensionamento di Israele non più appoggiato dagli americani. Se la sentirebbe l’Europa di garantire l’esistenza di Israele? Probabilmente no, a causa delle forti diversità di vedute tra i vari stati leader. Domande senza risposte chiare. Ma senza risposte non si potrebbe gestire la questione medio-oriemtale. E questa situazione costituirebbe pur sempre un pericolo da fronteggiare, perché un’espansione araba andrebbe sì concessa ma in maniera guidata, non in modo sfrenato. Saprebbe l’Europa cavalcare una simile situazione e controllare poi con le buone i paesi arabi e convincerli a rinunciare alle rivendicazioni storico-politiche onde evitare ritorsioni e revanscismi nei confronti dei vecchi sfruttatori occidentali sia americani che europei? Perché è pur chiaro che ad un declino americano, auspicato dall’Europa, seguirebbe una ascesa europea. O perlomeno, dovrebbe seguire un’ascesa europea. Una vittoria per Saddam, formalizzerebbe il suo riconoscimento dinanzi a tutto il popolo irakeno. Non solo, ma la sua leadership nel mondo arabo diventerebbe indiscussa. Le conseguenze sarebbero un incrudirsi delle pretese arabe, della lotta armata, un “visto” per il proseguimento dell’espansionismo dell’Islam.  


13-m,g,f

La guerra in Iraq *

29-marzo-2003

Saddam non è il limite del mondo, Saddam è uno dei limiti del mondo. Tanto vale cominciare da lui per ripristinare legalità e giustizia sociale. È un male ben definito, e semplice da estirpare. È un nemico conosciuto. Conviene cominciare da lui.


12-f,g, m

Twin towers N.Y. *

1) Qualcosa di incredibile.

11-settembre-2001

Ho l’impressione, dopo tanto tragico affanno e infinito stupore suscitato, che almeno uno dei “baratri nascosti” verso cui il mondo sta per scivolare sia stato definito, e che quindi, d’ora in poi, sia forse in qualche modo possibile sfuggirne. Questa immane efferatezza consente di riflettere e operare con spirito innovato! Le cose accadono, e dopo si spiegano, forse allora si capisce perché sono accadute, con il senno di poi, naturalmente, per dar soddisfazione all’intelletto che ha sete perenne di evidenze. L’immaginazione non può precorrere il destino, per quanto vi si applichi con infinita dedizione. Le menti sono tante e variamente dislocate, e variamente plagiate sulla Terra, che sempre ve n’è una pronta ad istituire alcunché di inimmaginabile per le altre. È questa l’unica giustificazione addotta alla scarsa prevenzione messa sotto accusa dopo ogni simile tragedia. Prima, guai pensare alle vere cause implicite nella realtà finta e falsa. Solo dopo l’accadimento si intuisce ch’é possibile smuovere qualcosa. Il tempo lenisce i sentimenti, e quindi l’emozione. Meditare troppo, e a lungo, significa poi dimenticare, o abituarsi allo stato delle cose. Meditare poco e agire senza pesare effetti e conseguenze, significa rischiare altamente di fallire gli obiettivi. (continua)

Twin towers N.Y. *

2) Quel che è, e che sta succedendo

21-settembre-2001 (continuazione)

Voglio far progredire le immagini della mia memoria in una serie di considerazioni a catena per giungere alla verità. E' il decimo giorno trascorso dalla strage. Qualcosa è già decantato, qualcosa sta decantando ora. Più i giorni passano e più l'abitudine al nuovo stato di cose incede. Ma i danni restano. Ecco... quali danni? I danni della follia. È stato dato un segnale forte dai fondamentalisti. Il mondo occidentale sta osservando, sta accogliendo la provocazione perché vi è costretto, e si sta apprestando a cambiare il mondo. E il primo passo verso il cambiamento sarà quello di abbattere gli stessi fanatici fondamentalisti che sono riusciti nell’intento di indurre gli Occidentali a questo imperativo. Poi, o anche contemporaneamente, sulla scia di tale monito, verranno presi altri provvedimenti per cambiare i focolai di incomprensione tra i popoli. La sequenza dovrebbe essere più o meno la seguente. Reparti speciali dei marines USA, con l'appoggio dell'aviazione e della marina distruggeranno le principali sedi dei governanti di Kabul, in Afghanistan. Il popolo afghano, per la maggioranza contrario ai Talebani, dovrebbe insorgere e appoggiare tale liberazione. Questo permetterà di instaurare un governo islamico più progressista in Afghanistan, come era nei presupposti al tempo dell’abbandono di quelle terre da parte dei Russi, e questo dovrebbe anche fare riconciliare gli animi di quei Pachistani per ora contrari alla presa di posizione del loro governo a favore degli Stati Uniti. Una tale svolta della situazione interna afghana dovrebbe infine convincere gli altri stati islamici della buona fede dell'occidente e del fatto che esso non vuole né isolare né distruggere l’Islam. Un'altra conseguenza della mutata situazione afghana riguarda la posizione di Bin Laden. Se quest’ultimo dovesse anche sfuggire alla cattura in Afghanistan, la sua condizione diventerebbe comunque precaria. In qualsiasi altro stato islamico egli non troverebbe più ospitalità, e dovrebbe vivere in incognito per non essere consegnato alla giustizia occidentale. Non dimentichiamo che recentemente alcuni stati che fino a poco tempo fa coprivano i terroristi, come la Libia e l’Iran, hanno cambiato linea schierandosi dalla parte dell’ordine mondiale. Questa nuova condizione di isolamento di Bin Laden ostacolerebbe comunque la sua azione e la sua influenza (non potrebbe dare disposizioni, accedere ai fondi, indire riunioni, avrebbe difficoltà a spostarsi, insomma sarebbe impossibilitato a organizzare). In poco tempo verrebbe comunque isolato e infine catturato. In definitiva, si vede come la caccia a Bin Laden costituisca anche un pretesto per interferire in senso concreto e positivo negli affari interni di un paese come l’Afghanistan, liberandolo dall’arretratezza e dall’immobilismo culturale ed economico. Il mondo islamico sappiamo che è chiuso e diffidente nei confronti dell’occidente, però non può non prendere atto della buona disponibilità dell’avversario politico quando questa viene dimostrata a tutto il mondo. Abbiamo già avuto modo di assistere del resto in più di una occasione a comportamentiaperti del mondo arabo nei confronti delle proposte di pace e di cambiamento del mondo occidentale (qui ho cominciato a usare l’espressione ’mondo arabo’ al posto di ‘mondo islamico’, perché a un certo punto si rende necessario procedere in questa distinzione in quanto il fondamentalismo islamico che sfocia nel terrorismo riguarda solo paesi arabi, e per giunta solo alcuni di questi): basta ricordare a questo proposito le trattative di pace tra Sadat e il premier israeliano Begin, sotto lapresidenza americana di Carter, alla fine degli anni '70 culminate nella firma degli accordi di Camp David tra Palestinesi ed Egiziani; il ruolo avuto da Arafat in tempi diversi nella ricerca della pace e specialmente lo storico accordo da lui firmato a Washington nel ’93 con Rabin, auspice il presidente Clinton; occorre anche ricordare la posizione conciliante tenuta della Giordania in più riprese (artefice re Hussein). Insomma, vi sono motivi per credere che di fronte a un giusto intervento forte e deciso degli alleati occidentali volto a punire i colpevoli di un gesto criminale e a sradicare il terrorismo internazionale, si registri una reazione positiva nella maggioranza del mondo arabo, cioè un ammorbidimento delle posizioni massimaliste, e non invece un irrigidimento come viene paventato da alcuni critici ed esperti di storia, politici, sociologi. (continua)


Twin towers N.Y.

3) Israeliani e Palestinesi

22-settembre-2001  (continuazione)

Vediamo ora cosa potrebbe accadere in un’altra zona in pieno bollore di questi tempi a seguito degli attentati alle torri gemelle di NY, cioè nel Vicino Oriente, dove è in corso il conflitto tra Palestinesi e Israeliani, che ha avuto in questi ultimi periodi una forte recrudescenza. Innanzi tutto, dalle ipotesi fatte, anche dimostrate dai primi risultati delle indagini (arresti negli USA e riprese da videocamere a circuito interno nell’aeroporto di Boston che mostrano il check-in di almeno uno dei dirottatori), risulta che gli estremisti palestinesi siano estranei ai dirottamenti dei quattro aerei statunitensi. Primo: Arafat si è subito dissociato da qualsiasi responsabilità. Qui bisogna fare un atto di fede e credergli. Arafat è un moderato (è , non era, beninteso). Sa che ogni atto terroristico non può che nuocere alla sua causa. Secondo: Arafat sa che un trenta per cento del suo popolo è contro di lui perché vorrebbe la guerra totale contro Israele, ovviamente nella speranza che prima o poi le Nazioni Unite intervengano condannando Israele al ritiro dai territori; fra questo trenta per cento vi sono anche gli estremisti Kamikaze di Hamas che hanno indirizzato le ultime bombe umane contro Israele per far fallire ogni negoziato. Terzo: Arafat capisce che ha davanti a sé una occasione unica per allargare l’appoggio interno alla moderazione, per isolare gli estremisti, giocando la carta della tregua a oltranza, anche unilaterale. Vuole così dimostrare, sia agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, ma specialmente ai suoi, che la sospensione del terrorismo paga più del terrorismo stesso, in definitiva che gli ultimi attentati suicidi sono stati un errore, che il sacrificio umano per la causa palestinese ha fallito (in subordine si sviluppa una contestazione filosofica all’interpretazione coranica del concetto del sacrificio per la patria). Quarto: Arafat sa che gli Stati Uniti si sono stancati delle velleità di Israele, e che bloccheranno una volta per tutte l’intollerante Sharon e lo costringeranno, tramite il moderato Perez, a trattare con la Palestina. Quindi, per tutte queste ragioni, l’OLP deve presentarsi pronta per l’occasione. Le incognite possono essere: che Arafat non riesca a contenere le opposizioni interne; che gli capiti qualche guaio fisico perché potrebbe non godere di buona salute in questi ultimi tempi, e che quindi la sua successione riservi sorprese negative; infine che Israele approfitti della deviata attenzione internazionale sull’Afghanistan per attaccare i Palestinesi. Dunque siamo ottimisti, atteniamoci ai fatti, possibilmente a quelli positivi, e facciamo le congetture più realistiche.
Israele ha tutto l’interesse ad accettare la tregua decretata dai Palestinesi, e a chiudere un occhio su inevitabili sporadiche violazioni, non operando le consuete ritorsioni. Sharon oltretutto, come già ipotizzato, in questi giorni deve aver ricevuto la diffida di un Bush spazientito e deciso, dal tentare qualsiasi colpo di mano approfittando del fatto che l’attenzione mondiale è rivolta a New York, a Bin Laden, all’Afghanistan e via dicendo. Inoltre Sharon deve concentrarsi con grande attenzione a preparare le difese contro potenziali attacchi missilistici sferrati da Saddam Hussein in risposta a eventuali azioni americane contro qualsivoglia paese arabo, quindi ha già il suo bel daffare.
Ma andiamo avanti ad occuparci della questione palestinese, perché il vero nocciolo del dibattito risiede proprio in essa. Molti (e io sono fra questi) hanno ormai rinunciato a ‘capirci qualcosa’, in questa questione così spinosa e intricata, tanto è vero che vi è una specie di rifiuto generalizzato a capire. Le posizioni dei sostenitori dell’una o dell’altra parte sono ormai radicalizzate. C’è chi definisce cronica e irrisolvibile la controversia. Secondo me occorre fare un po’ di luce sul passato, quantomeno sui fatti accaduti dal 1948 in poi, altrimenti non è possibile proseguire nel discorso. Sì, l’attuale crisi mondiale scatenata dall’attentato alle Twin Towers porta invariabilmente qui, nel Vicino Oriente, ma non solo, come vedremo. Da una parte vi è il diritto di Israele a mantenere la attuale patria, cioè sul territorio palestinese assegnato agli Ebrei nel 1948. Dall’altra parte vi è un popolo…, circa un milione di Palestinesi nel 1948, che è diventato profugo in territorio israeliano.
Il sunto storico dei fatti è il seguente. All’inizio, in Palestina vi erano i Filistei e gli Ebrei che si combatterono a lungo (si parla del XII secolo a.C.). Si sa che in quelle date gli Ebrei finirono per sottomettere l’intera Palestina. Gli Ebrei vennero poi schiacciati e dispersi dall’Impero Romano nel 70 d.C. Nel corso dei secoli la Palestina (con i suoi abitanti, i Palestinesi, gente in prevalenza ‘araba’ di religione cristiana, ma anche musulmana, dal sesto secolo in poi), ha rappresentato uno dei varchi più utilizzati dall’occidente nei suoi tentativi di penetrazione nel vicino ‘mondo arabo’ musulmano. Va specificato che col termine di «mondo arabo» non si identificano i confini di una nazione, o di una razza, o di una lingua, o di una religione (non tutti gli Arabi sono musulmani, come non tutti i musulmani sono Arabi). Originariamente si consideravano Arabi gli abitanti della Penisola Arabica, poi il concetto si è allargato fino ad abbracciare gli abitanti di un territorio sempre più vasto, parallelamente all’espandersi dell’Islam. Facendo un bel salto temporale, per semplificare al massimo, arriviamo verso la fine del secolo diciannovesimo (1882), quando ebbe inizio il movimento sionista, che si proponeva di ricostruire uno Stato ebraico in Palestina. Cominciarono allora ad affluire in Palestina Ebrei provenienti dall’Europa dell’est fondandovi colonie agricole. Prima della prima guerra mondiale la situazione in Palestina era di 80.000 Ebrei e di 600.000 Arabi (tra musulmani e cristiani). Ciò non suscitava ancora eccessive preoccupazioni.
Nei tre decenni che seguirono (anni 20, 30 e 40) le colonie ebraiche continuarono a consolidarsi in Palestina con l’autorizzazione e sotto la protezione britannica. Nel frattempo gli Arabi Palestinesi cominciarono a opporsi in modo sempre più violento agli insediamenti ebrei che si espandevano a macchia di leopardo sottraendo loro sempre nuovi territori, organizzando la guerriglia antisionista e chiedendo la creazione di una Palestina indipendente. Intanto si era perpetrato lo sterminio degli Ebrei da parte dei Nazisti. Nel 1947 l’ONU approvò un progetto di spartizione della Palestina fra Arabi ed Ebrei, complicando ufficialmente ancor più l’intera disputa. Nel 1948 nasceva lo stato di Israele. Il territorio della Palestina venne suddiviso tra Stato Giudaico (o di Israele) e Stato Arabo comprendente le seguenti tre zone: come prima zona l’attuale striscia di Gaza allungata verso sud da una ulteriore striscia lungo il confine con il Sinai egiziano, come seconda zona l’attuale Cisgiordania, infine come terza zona i territori a nord di Israele ai confini con l’attuale Libano estesi tra il mare Mediterraneo e il lago di Tiberiade. La città di Gerusalemme, in Cisgiordania, venne internazionalizzata. Gli Arabi rifiutarono tale soluzione. Seguirono vari conflitti che finirono per dare ad Israele altre porzioni di territorio. La popolazione araba palestinese si trovò in pratica in parte sotto la sovranità di Israele, in parte sotto quella della Giordania e dell’Egitto. In quegli anni sorse l’OLP, Organizzazione per la Liberazione della Palestina, appoggiata da tutti i paesi arabi contro Israele. Israele si sentiva potente e anche protetto dall’occidente ma anche schiacciato tra Egitto, Libano, Siria, Giordania e dal Popolo Palestinese in parte sparso al suo interno, in parte esiliato. Nel 1967, Israele, apertamenteprovocato dall’Egitto con la chiusura del golfo di Aqaba, attaccò l’Egitto, la Siria, la Giordania, e in 6 giorni ottenne una schiacciante vittoria: prese le alture del Golan alla Siria, la striscia di Gaza e la Cisgiordania con Gerusalemme Est agli Arabi palestinesi, l’intera penisola del Sinai all’Egitto. I combattimenti cessarono in seguito a un intervento dell’ONU. Poi cominciò la lenta restituzione della penisola del Sinai all’Egitto, ma sugli altri territori occupati iniziarono drammatici contenziosi. Ciò indusse i Palestinesi a svincolarsi dalla tutela dei paesi arabi e a puntare sulla guerriglia. Sei anni più tardi, nel 1973, la Siria e l’Egitto attaccano Israele (guerra del Kippur) per riconquistare le terre perdute nella guerra dei 6 giorni (non per annientare Israele, come qualcuno sostiene). Gli Israeliani vengono sì colti di sorpresa, ma, la loro controffensiva, dopo 48 ore è pesante, e solo l’intervento dell’ONU salva gli Arabi da un nuovo disastro. Gli Stati Uniti promuovono allora con forza un processo di pace (mandato Nixon). Finalmente, nel 1978, il premier egiziano Sadat e quello israeliano Begin firmano a Camp David (mandato Carter) un accordo col quale viene restituito il Sinai all’Egitto e previsto un piano per l’autonomia palestinese che però non si realizza. Non dimentichiamo che dal 1967 Israele ha preso Gaza, la Cisgiordania (o West Bank) e Gerusalemme Est, e che i coloni ebraici hanno creato via via nuovi insediamenti. Negli anni seguenti dilaga il terrorismo. Nel 1982 si registra l’invasione israeliana del Libano colpevole di ospitare i terroristi palestinesi. Nel 1987 scoppia la rivolta araba nei ‘territori occupati’ contro Israele (Intifada). Nel corso degli anni nell’Intifada muoiono 2000 palestinesi e 200 israeliani. Si arriva al 1988, anno in cui, il Consiglio Nazionale Palestinese, ad Algeri, proclama la costituzione di uno Stato Palestinese indipendente (dai confini incerti), presidente Arafat. Arafat non interromperà mai il dialogo con Israele. La sordità reciproca è durata fino all’88 in quanto: L’OLP non ha mai riconosciuto Israele. Israele non ha mai voluto trattare con i ‘terroristi’.Negli anni seguenti l’OLP ha abbandonato la lotta armata e questo ha portato nel 1993 ad un accordo storico (gli accordi di Oslo, primo mandato Clinton ). La svolta è stata il reciproco riconoscimento: L’OLP riconosceva il diritto all’esistenza dello stato d’Israele ‘in pace e in sicurezza’; mentre il governo d’Israele riconosceva l’OLP come rappresentante del Popolo Palestinese e si impegnava a iniziare con esso i negoziati per un processo di pace. Il progetto prevedeva la concessione graduale di autogoverno prima a Gaza (Arafat vi ha fatto un trionfale ritorno da presidente nel luglio del 1994), poi a Gerico, poi sull’intero West Bank (sei città), poi a Hebron; al termine di questi stadi di ricomposizione della Palestina avrebbero dovuto seguire colloqui per la definizione di uno ‘status finale’. Prima di giungere allo ‘status finale’ però il processo di pace si è inceppato, per colpa, credo, dei guerriglieri ribelli di Hamas, e perché il governo di destra di Israele allora in carica non ha voluto frenare i coloni, ferocemente schierati contro l’accordo ‘pace in cambio di territori’. E siamo ormai ai nostri giorni. Arafat e il premier Barak laburista nel 2000 hanno cercato di riavviare il processo di pace precedentemente arenatosi. La diplomazia USA li ha appoggiati fino all’ultimo (secondo mandato Clinton). Ma nell’ottobre 2000 vi è stata una escalation di violenze (incidenti provocati da estremisti palestinesi con ritorsioni di Israele). Nel febbraio 2001 è stato eletto premier d’Israele l’esponente delle destre Sharon. Ora il processo di pace mostra tutta la sua fragilità.
Voglio ora raggruppare in due elenchi separati i fatti che, anche emotivamente, possono convincere o meno della possibilità della pace nel Vicino Oriente.

Elenco di fatti che dimostrano la lontananza della pace tra Palestinesi e Israeliani.
A)- Guerre tra Israele e mondo arabo dal 1948 in poi:
- 1948. Arabia Saudita, Egitto, Transgiordania, Libano, Iraq, Siria occupano Gerusalemme alla proclamazione d’indipendenza del non ancora nato stato d’Israele, ma vengono ricacciate indietro da un improvvisato esercito israeliano.
- 1956. Crisi di Suez. L’Egitto decide di nazionalizzare il Canale di Suez. Truppe franco inglesi occupano Porto Said. Israele occupa il Sinai e la striscia di Gaza. Nasser affonda 40 navi e rende impraticabile il canale per anni.
- 1967. Terzo conflitto: Guerra dei sei giorni. Nasser chiude il golfo di Aqaba. Israele reagisce e distrugge a terra l’aviazione egiziana, mettendo in ginocchio anche Siria e Giordania in pochi giorni.
- 1973. Guerra del Kippur. Viene sferrata da Siria e Egitto contro Israele, ma l’offensiva araba è presto bloccata.
- 1982. Invasione del Libano da parte di Israele contro i terroristi palestinesi. L’OLP deve ritirarsi da Beirut. Ma il conflitto non giova ad Israele, anzi contribuisce al consolidamento e alla legittimazione dell’OLP, il cui riconoscimento avverrà dieci anni più tardi.
- 1987. Intifada. Insurrezione popolare dei territori arabi occupati, contro gli Israeliani.

B)- Alcuni attentati terroristici
- 1972. Olimpiadi insanguinate a Monaco (I Fedayn di Settembre nero prendono in ostaggio e uccidono 12 lottatori israeliani)
- 1981. Assassinio di Sadat a Il Cairo per mano di terroristi arabi
- 1995. Assassinio di Rabin a Tel Aviv per mano di uno studente israeliano.

C)- Gruppi terroristici ‘arabi’ conosciuti.
- Gruppo Al-Qaiada di Osama. Gruppo diretto da Bin Laden, con base in Afghanistan.
- Organizzazione Abu Nidal. Gruppo palestinese, probabilmente basato in Iraq.
- Organizzazione Gama al-Islamiya. Gruppo militante islamico egiziano.
- Gruppo di Hamas. Opera nella striscia di Gaza. Responsabile degli attacchi contro Israele.
- Organizzazione Harakat ul-Mujahedin. Militanti islamici con base in Pakistan.
- Gruppo di Hezbollah. Radicali sciiti di base in Libano.
- Gruppo di Al-Jihad. Estremisti islamici egiziani.
- Gruppo dei Mujahedin Khalq. Organizzazione di base in Iraq opposta al regime iraniano.
- Jihad islamica palestinese. Gruppo estremista palestinese.
- Fronte palestinese di Abu Abbas. Gruppo estremista palestinese.
- Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Gruppo marxista-leninista.

Tutte le sopra riportate incidenze non possono che indicare difficoltà oggettive alla ricerca della convivenza.
Ma per i benpensanti e gli ottimisti vi sono altri fatti che invece la assicurano. Eccoli:

Elenco di fatti che dimostrano la possibilità della pace tra Palestinesi e Israeliani.
- 1977. Sadat supera il muro dell’odio con lo storico viaggio a Gerusalemme, dove si inchina a baciare il suolo di Israele.
- 1978. La pace di Camp David ha dimostrato che Israeliani e Arabi possono convivere.
- 1982. Inutile invasione del Libano da parte di Israele, risolta in una sconfitta politica, più che militare. Il mondo Conosce l’OLP e i suoi
diritti.
- 1992. Dopo la guerra del Golfo, a Madrid si ritrovano attorno a un tavolo Siria, Giordania, Libano, Palestinesi, Israele. Occorre un guizzo di fantasia. Rabin e Arafat, vincendo ogni diffidenza, avviano colloqui segreti a Oslo.
- 1993. I colloqui di Oslo terminano in una stretta di mano nel giardino della Casa Bianca. L’OLP e Israele si ammettono a vicenda.
- 1993. Il primo giorno dopo l’accordo tra Rabin e Arafat i giornali di mezzo mondo riportano immagini commoventi che ritraggono guardie di frontiera israeliane scherzare con i ragazzi palestinesi, carri armati assediati e infiorati dalla folla. Folla in tripudio per la vie di Gerusalemme. Arafat e Rabin, alla fine dei colloqui, ripresi di spalle abbracciati sembrano comminare verso un futuro di pace.
- 1994. Anche Hussein di Giordania e Rabin firmano un trattato di pace.
- 1994. Viene assegnato il Premio Nobel per la pace al leader palestinese Arafat, al leader israeliano Rabin, e al suo ministro degli esteri Peres.
- 1995. La Siria firma la pace con il Libano.
- 2000. Arafat e Barak cercano con tutte le forze di riattivare il processo di pace, con l’appoggio della diplomazia USA.

Tutto ciò fa pensare che la pace tra Israele e Palestina non è una chimera. Dunque lo scenario arabo–israeliano, in prospettiva è meno cupo di quanto possa sembrare.
Nessuno dei due popoli può essere annientato per lasciare spazio all’altro. Nessuno dei due popoli presenti in quei territori, oggettivamente, può essere cacciato con la forza per fare spazio all’altro. La ricerca della pace e della convivenza tra i due popoli ha già dato buoni frutti in passato, e così li darà anche nel prossimo futuro. Per ragioni diverse finora essa non ha potuto essere duratura, ma vi sono indizi che provano la possibilità della convivenza tra i due popoli. Se ne conclude che non vi è alternativa alla ricerca della pace. Israeliani e Palestinesi sono ‘legittimati e destinati’ a vivere insieme lì dove sta la terra dei loro avi. Questa idea va perseguita con volontà e decisione, e vanno ricercate le condizioni per attuarla. Concretamente, credo che si debba continuare il processo avviato nel 1995 e non concluso, definendo prima le città (con Gerusalemme internazionale) e poi gli spazi territoriali al loro intorno da assegnare allo Stato indipendente della Palestina, che dovrà essere proclamato e riconosciuto. Ormai ci si deve abituare ad ammettere l’esistenza, a prima vista alquanto anomala, di stati frammentati all’interno di altri stati, o addirittura di città stato all’interno di un territorio appartenente a uno stato diverso. Abbiamo l’esempio della Bosnia Erzegovina, nazione con sacche di territori popolati da etnie diverse, con amministrazioni diverse. E dobbiamo dire che funziona, per forza, perché ‘deve’ funzionare.
Proprio ora, approfittando di una opportunità credo non calcolata dai terroristi, siamo in presenza di una occasione per riprendere il processo di pace, e credo che questa sarà la volta buona in cui finalmente si consoliderà. Perché i venti favorevoli indicano la necessità di concentrare gli sforzi contro una grande minaccia verso l’umanità. Dunque di fronte a un simile pericolo di sopravvivenza globale, verrà trovato un accordo sui Territori, verranno accantonate le controversie; la legittimità e i diritti prevarranno. (continua)

Twin towers N.Y. 

4) L’Iraq e Saddam

29-settembre-2001  (continuazione)

Ora sviluppo meglio la questione mediorientale. Occorre subito nominare Saddam Hussein. In effetti il nocciolo duro della questione sta proprio lì, in casa di questo irriducibile, che poi, tanto irriducibile non dev’essere, in quanto è obbligato ad autosostenersi con un regime basato sul totalitarismo e sul terrore, altrimenti verrebbe spazzato via in modo violento. Dunque, la sua è fifa allo stato puro. Ormai Saddam si è infilato in un anfratto cieco e tanto angusto, da non poterne uscire, quindi non gli resta che avanzare, nella speranza di poter scorgere un’uscita verso la luce (la fuga) da un’altra imboccatura però ancora da scoprire. Ma non trova vie d’uscita, perché sono esaurite. La sua è una strada senza ritorno. Se si ferma, o fa marcia indietro è perduto. Poiché non gli va (non ha il coraggio) di sacrificarsi (suicidarsi) e di lasciare il campo a una opposizione interna che farebbe comunque piazza pulita di lui e di parenti e amici sparsi in varie zone di potere, egli prosegue spudoratamente, finché riesce, finché qualcuno glielo permette (non posso non pensare al generale Swarzkopf, che fu fermato sulla strada di Bagdad per non umiliare il mondo arabo, si disse, ma così si decretò l’oppressione di migliaia di Iraqeni per anni e anni, e fu un errore imperdonabile, ma, lo ripeto, questa è l’America).

Saddam Hussein va considerato l’unico responsabile dello stato in cui si trova a vivere il suo popolo, isolato e praticamente recluso nei suoi stessi confini, privato di qualsiasi possibilità di parificazione e determinazione. Spende ogni dollaro in armamenti anziché in opere sociali di cui avrebbe bisogno estremo. Conserva il potere con una struttura di governo scandalosamente nepotistica. Il suo regime dittatoriale è basato sull’assolutismo più completo. Elimina avversari, individuandoli persino tra i parenti più stretti, mediante menzogne e tradimenti. Il suo isolamento è anche la sua sopravvivenza. L’opposizione interna è inesistente. La più piccola apertura ai suoi sudditi potrebbe significare il suo rovesciamento. Per questo ha instaurato un controllo capillare all’interno della nazione atto a prevenire qualsiasi mossa sospetta contro di lui. C’è solo da stupirsi per come la CIA non abbia effettivamente potuto fomentare un suo rovesciamento, dato il presumibile appoggio che avrebbe ottenuto dalla popolazione. Si deve dire che il cinismo di questi tiranni è soprattutto pari alla loro irresponsabilità, ed è ancora, occorre dirlo, pari anche alla loro sottocultura (per sottocultura intendo una cultura anomala, deviata, partita da presupposti sani ma ammalatasi durante lo sviluppo, una cultura incapace di trovare un ricovero, di finalizzarsi a una ideologia nobile, come invece deve fare ogni cultura per farsi riconoscere). Queste strane persone creano quasi inconsciamente attorno a sé la cerchia di potere nella quale fluttuano. Basta poco, qualche coincidenza. Iniziano a sbagliare, sbagliando creano un danno, per qualche motivo non vengono fermate in tempo, né punite, presumibilmente perché incutono paura in chi dovrebbe far scattare o l’arresto o l’azione riparatrice del danno. A questo punto si ritrovano ad aver incrementato la loro autorità, ad averla ottenuta senza alcun conferimento. Sono quasi stupite per questo, ma se la tengono stretta, l’autorità, e continuano a ricercarne dell’altra usando quella poca che hanno. Anche perché se dovessero rinunciarvi, stimolerebbero la giustizia a punirle per l’errore iniziale. Poiché hanno paura di incorrere in una pena, che sarebbe peraltro ancora lieve, credono erroneamente di non avere più scelta, e di dover ormai continuare per un’unica via, che diventa la loro spirale dell’errore. Dunque usano il loro potere per ottenerne dell’altro, per fare terra bruciata intorno a loro. Quindi, a copertura della loro fragilissima grandezza propugnano spesso folli teorie, progetti astrusissimi che causano incidenti internazionali, e quant’altro si possa immaginare, per creare intorno a loro un clima di falso sostegno popolare. Le credenze religiose, i nazionalismi, le nuove ideologie, le sette, a pensarci, sono tutti grandi piani ideati da personaggi che in qualche maniera devono conservare il potere, per non finire annientati o emarginati a causa delle violazioni commesse in precedenza. Che trattamento potrebbe ricevere in patria Saddam Hussein se dovesse un giorno spontaneamente dimettersi dal potere senza fuggire dal paese, e dire improvvisamente: «Bene! Ora basta, è tempo che si facciano elezioni democratiche. Seppelliamo il passato e che sia il popolo a scegliere»? Dopo tutti gli omicidi commessi, i tentativi di sterminio dei Curdi nel nord del paese, con tutto il denaro sperperato in armamenti o sottratto alle casse dello stato per interessi personali o privati, sotto il peso dell’enorme fardello della responsabilità di aver scatenato la guerra contro l’Iran, l’invasione del Kuwait, la guerra del Golfo, il danno ecologico causato dall’incendio dei pozzi petroliferi del Kuwait, quello per aver riversato nel mare del Golfo Persico decine di migliaia di tonnellate di greggio, come potrebbe cavarsela? Questo è il principale motivo, per cui Saddam Hussein, Miloševič, Pol Pot, Hitler cercano di restare al potere finché sono in vita. Perché altrimenti verrebbero travolti dalla sollevazione popolare. Se, per loro sfortuna non sono in grado di giocare fino in fondo con azzardo la partita, ma vengono sopraffatti dagli eventi (rivoluzioni), come è successo per Ceausescu in Romania nel 1989, o agli zar di Russia, o ai re di Francia, vengono eliminati a furor di popolo. Altro che guerre sante, o crociate! Il popolo non ha nessuna voglia di andare in guerra. Ci va solo per i seguenti motivi: se è ignorante; se vi è costretto dalle minacce; se è messa in pericolo la sua sopravvivenza e/o quella della sua terra (alias patriottismo). A me pare che nessuna di queste condizioni pervada il mondo arabo per spingerlo alla guerra contro l’occidente. Se prendiamo qualsiasi popolo della Terra, scopriremo che non ha alcuna intenzione di ferirsi per la gloria di misurarsi con altre genti. A me pare, piuttosto, che da un po’ troppo tempo a questa parte, nei paesi arabi vi sia carenza di democrazia. Non mi risulta che le varie popolazioni arabe scelgano democraticamente gli sceicchi, gli emiri, i monarchi, i dittatori, gli imam, o i capi degli studenti talebani. Non credo che le popolazioni arabe si rifiutino di eleggere i loro rappresentanti nei vari parlamenti, credo piuttosto che ne siano impedite dagli assolutismi. Dunque troviamo regimi di pochi, e regimi dittatoriali, in quasi tutti gli stati arabi del medio oriente (al contrario dei paesi del Magreb, dove forse negli ultimi secoli l’influenza della civiltà mediterranea si è fatta sentire).
Tornando al nostro esimio Saddam, se ne conclude, che appena risolto il caso Afghanistan, il primo della lista è lui. L’America si rivolgerà con attenzione verso di lui, e questa volta sarà un’attenzione molto… carica. L’Iraq è un paese già avvezzo all’occidentalizzazione, e dunque la proposta di voltare pagina, non dovrebbe creare eccessivi problemi. Prima dell’idea perversa di combattere l’Iran e di annettere il Kuwait, ricordo un Iraq moderno ed evoluto, aperto, in fase avanzata di modernizzazione, avido di tecnologia, di riconciliazione religiosa, fatti invitanti e non sporadici, sulla scia dell’esempio giordano (parlo di industrie, di ospedali, di scuole, di biblioteche, di università, di discoteche, di turismo, ricordo volti di giovani sorridenti, per le vie di Bagdad, se la memoria non mi tradisce). Penso che il popolo iraqeno, non appena liberato dalla opprimente presenza di Saddam, non si dia affatto per perso, anzi, sia del tutto disposto a riprendere il discorso democratico e dell’apertura da dove era stato interrotto non per volontà sua, vent’anni addietro. (continua)


Twin towers N.Y.

5) Niente paura

12-ottobre-2001 (continuazione)

I giorni passano e  le critiche e i commenti degli intellettuali si intrecciano attorno ai fatti di New York. E intanto, occorre dire, si sono già sviluppati i primi combattimenti sul suolo dell’Afghanistan. Dunque, le considerazioni vengono via via condizionate dai fatti, dagli eventi che si sommano. Il dibattito sulla cultura, sul quale peraltro non mi ero ancora espresso apertamente, proprio in attesa degli sviluppi miei mentali, resta condizionato, inevitabilmente. Tuttavia, non vedo che conferme sostanziali al prevalere dell’idea che mi ero fatto all’inizio sulla superiorità delle culture. Da una parte l’emozione iniziale si è attenuata, e questo avrebbe dovuto condurre a una visione più conciliante della vicenda, meno spettrale, meno densa di repulsione. Invece no! Sarà per gli articoli e le opinioni lette sui giornali, sarà per uno strano gioco della recrudescenza, sta di fatto che la mia rabbia (e quella dei più, devo dire) non accenna minimamente ad attenuarsi, anzi, più l’analisi si approfondisce, più si acuisce.
Questo diverbio sulla superiorità tra due mondi è un diverbio delirante, presuntuoso, più che altro improponibile.
Occorre porre l’attenzione su alcuni fatti e constatazioni che secondo me rivestono molta importanza. Innanzi tutto le definizioni. Ad esempio bisogna ricordarsi di dire: «i fondamentalisti islamici odiano l’occidente» e non «l’Islam odia l’occidente», perché le popolazioni islamiche nel loro insieme non odiano gli occidentali, ma vogliono solo vivere tranquille. Qui mi accorgo che anche il vocabolo ‘occidente’ non è idoneo per indicare i popoli non appartenenti all’Islam. Non solo, ma non è corretto usare questo vocabolo per indicare la cultura che si opporrebbe all’Islam. Infatti la separazione delle culture tra cosiddetto ‘occidente’ e  Islam non coincide con la demarcazione fra Cristianesimo e Islam, ed è un errore grossolano limitare o forzare il paragone alla contrapposizione tra queste due grandi religioni monoteiste. I fondamentalisti islamici dicono di essere adirati con l’occidente, in particolar modo con  l’America (vedi Stati Uniti), e non disdegnano di essere adirati anche con l’Europa, e fin qui il discorso potrebbe filare perché quasi tutti i paesi americani ed europei sono cristiani. Ma il Giappone ad esempio (che è scintoista), dove lo mettiamo? Non è forse il Giappone uno stato occidentalizzato, consumista, imperialista, dunque potenzialmente nemico dell’Islam? Se ne deduce che i fondamentalisti Islamici dovrebbero odiare anche i Giapponesi e i Coreani, ma non ne sono così convinto. Perché questi stati non sono nel centro del loro mirino?  E la Cina e l’India dove le mettiamo? Ovvero Confucianesimo e Induismo, come li consideriamo nei confronti dell’Islam? Sono queste religioni giudicate innocue dai musulmani, oppure sono tollerate perché i paesi che le praticano non rappresentano un pericolo per l’Islam? E’ strano che nazioni grandi, ricche, emergenti, popolose come l’India e la Cina, già in possesso peraltro di un’evoluzione tecnologica di stampo ‘occidentale’, non creino apprensioni nei fondamentalisti islamici. Dunque l’Islam estremista lotta unicamente contro gli infedeli tradizionali, quelli cioè che l’hanno a più riprese limitato nell’espansione, e che hanno determinato i suoi danni maggiori nel lontano passato. Però, a questo punto, occorre anche rilevare che il cosiddetto ‘occidente cristiano ed infedele’, ha come alleato nella ‘guerra santa’ che è costretto a combattere suo malgrado, il resto del pianeta, dal quale non può che esserne appoggiato e difeso. La ‘guerra santa’ è vista tale solo da una porzione (credo alquanto esigua) del mondo musulmano, mentre dal resto del mondo è vista come una fanatica aggressione verso l’Europa e l’America da parte di terroristi. Dunque è un anacronismo porre la questione in termini esclusivamente di religione. Non basta appartenere all’Islam per essere schierati dalla parte del fondamentalismo islamico, occorre qualcosa in più, occorre essere invasati.
Per cercare di tranquillizzarmi prendo in considerazione il mappamondo e lo scorro da nord a sud nel tentativo di individuare quali siano le aree geografiche contrarie al fondamentalismo islamico (quelle che dichiarerò appartenenti alla cultura ‘terrestre’), e quali invece quelle favorevoli. Considero di cultura ‘terrestre’ i paesi che hanno già abbracciato, o che sono avviati a farlo, la proposta di emancipazione evolutiva finora chiamata ‘occidentale’. In questo modo vedo dunque la cultura ‘terrestre ’ estendersi all’Europa, alle due Americhe, ai paesi delle terre nordiche come Groenlandia e Islanda, a tutta la Russia asiatica, fino a comprendere il Giappone e le Coree. Essa comprende inoltre l’Australia-Oceania, la Nuova Zelanda; tutti i restanti paesi del centro-sud del continente asiatico come Pakistan, India, Nepal, Cina, Mongolia, ad esclusione dell’arcipelago delle Filippine. Arriva l’Africa: possiamo dire che i territori della parte centro-meridionale sono a maggioranza non islamica. Fanno eccezione il Sudan, la Nigeria e i paesi del Corno d’Africa dove peraltro le varie culture si mescolano. Ho lasciato per ultimi i territori del Nord Africa (quella parte chiamata Magreb) e dell’Asia Occidentale (i cosiddetti Medio e Vicino Oriente). Queste aree sono occupate a larga maggioranza da paesi definibili di cultura ‘terrestre’ nonostante professino la religione musulmana. I motivi sono molteplici: non adottano la Sharia (la rigida legge coranica), si dichiarano estranei al terrorismo, si sono recentemente schierati contro il terrorismo stesso, sono politicamente legati ai paesi consumatori di petrolio, sono legati militarmente alla NATO, sono alleati dell’America o dell’Europa. Per il Magreb questi paesi sono: Egitto, Libia, Tunisia, Marocco; per il Vicino Oriente abbiamo: Turchia, Libano, Siria, Giordania; per il Medio Oriente abbiamo: Arabia Saudita, alcuni Emirati Arabi (non lo Yemen), l’Oman, il Qatar, il Kuwait; e per finire restano da nominare le regioni asiatiche diventate stati autonomi dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica, come il Kazakistan, l’Uzbekistan, il Turkmenistan, il Tagikistan, il Kirghizistan, l’Azerbaigian. Da un tale quadro, come si vede, restano esclusi i soli paesi islamici ‘effettivamente’ fondamentalisti, quali possono essere considerati, attualmente, l’Algeria, l’Iraq, l’Afghanistan. Non è chiara la collocazione dell’Iran, ma tutto sommato, nonostante qualche remora, penso lo si possa collocare nell’area considerata moderata dell’Islam, almeno così sembrerebbero orientate a far credere le aperture di Katami, che hanno suscitato incoraggiamenti e speranze per un’uscita definitiva dall’isolamento. Tuttavia, ancora, i paesi definiti ‘fondamentalisti’ sono tali per il semplice fatto che i governi attualmente al potere ‘coprono’ il terrorismo, non perché la maggioranza della popolazione appoggia l’operato dei governi stessi. Siamo dunque convinti che dal gruppo di questi rimanenti paesi possa realmente provenire un attacco consistente contro le principali basi del potere mondiale? Quali sono questi paesi, dai quali potrebbero provenire attacchi e conquiste ai danni della Terra? l’Iraq, l’Afghanistan, il Sudan, il Niger, l’Algeria, le Filippine? Dobbiamo veramente temere che le cellule terroristiche provenienti da questi siti possano sopraffare il resto del pianeta ed instaurarvi l’Islam? La cosa non appare credibile, e tanto meno probabile. Anzi è impossibile (non volendo usare tale termine per modestia scaramantica occorre dire: scarsissimamente probabile), e questa è la spiegazione: L’Islam non può instaurarsi negli ambienti economicamente ricchi della Terra, ove è in continuo svolgimento il dibattito sulla vita e sul progresso, a causa della sua stessa presunzione di superiorità che lo fa autoescludere. Dunque, le cellule terroristiche non servono a far prevalere l’Islam nelle ricche regioni industrializzate. Dove l’Islam può effettivamente attecchire sono gli ambienti economicamente e socialmente depressi, perché è lì che l’Islam trova terreno fertile nelle mentalità chiuse e diffidenti. Ove regna il sottosviluppo, le offerte di assolutismo sia religioso sia politico ad un tempo, rappresentano un’alternativa allettante. Ma consapevoli dell’affermazione «la patria sta dove sta il pane da mangiare», i popoli più ricchi ed evoluti della Terra devono provvedere a sanare quelli poveri, e di conseguenza allontaneranno automaticamente il pericolo che in questi ultimi si espanda l’Islamismo. Se finora i paesi ricchi si sono comportati male nei confronti di quelli poveri, anzi se sanno di essere stati loro a provocarne la povertà, è bene che inizino subito a porre rimedio a questa situazione, e lo faranno. Questo, paradossalmente, è il vantaggio incolmabile che l’Islam, attraverso gli attentati alle Twin Towers ha concesso al Resto del Mondo. Il Resto del Mondo ha capito questo monito, saprà farne tesoro, e non se lo farà ripetere un’altra volta. Stiamo dunque fiduciosi, perché la ‘cultura terrestre’ che fino ad ora ha prevalso, pur con le sue mille contraddizioni, sarà in grado di mantenere la supremazia ordinatagli dalla sua stessa natura. Essa saprà difendersi dalle minacce, e saprà anche emendare le condizioni precarie della Terra, politiche ed ambientali, rinnovandosi e correggendosi. (continua)

Twin towers N.Y.

6) Sul confronto di culture

20-ottobre-2001  (continuazione)

Pongo alcuni quesiti dimostrativi sul tema del confronto di culture. Ricordo però che non serve proclamare le superiorità finché esse non determinano pregiudizi nei confronti delle inferiorità, e non serve additare le inferiorità fin quando queste non creano turbative nelle superiorità. In sostanza le culture di vario genere e livello hanno diritto di coesistenza e rispetto. Quando si hanno sviluppi insensati e cervellotici da parte di frange estremiste che minano i diritti collettivi di una cultura allora è bene che forze alleate e speciali si prendano la licenza di espropriarle.
Pensate forse che nelle biblioteche delle università coraniche di Kabul esistano le traduzioni in lingua araba dei testi storici-filosofici-letterari della cultura mondiale europea (parlo di Marx, Hegel, Marcuse, Goethe, ecc…) e che questi vengano messi a disposizione degli studenti? Io credo di no. Credete che la maggioranza del popolo afghano fosse favorevole alla distruzione delle antiche statue dei Buddha? Io credo di no. Dunque cosa ne pensate del burqa, il mantello che copre completamente il corpo delle donne? Pensate forse che la maggioranza delle donne afghane siano felici e favorevoli a indossare il burqa? a restare così nascoste, per custodire una tradizione scomoda e superata? Io credo di no. Dico delle semplici ovvietà. L’elenco delle incongruenze (ma le vorrei chiamare ingiustizie, visto che i musulmani parlano continuamente di giustizia, senza peraltro chiamare in causa la ‘ragione’ che mi pare ne sia la guida) è lunghissimo. Imposizioni, tutte imposizioni, certamente premeditate, come tutte le imposizioni. Ricordiamoci la parola: “imposizione”.
Parliamo ora di un altro tipo di difetto della società coranica. Spesso e volentieri sentiamo gli Imam scagliare strali contro la civiltà occidentale definendola corrotta. Essi si vantano di essere depositari della giustizia assoluta, portano continuamente sugli altari meriti e pregi della purezza dei loro usi e costumi, danno estrema importanza a ciò che definiscono ‘semplice’, ma occorrerebbe distinguere la semplicità dalla futilità. In pratica sono supponenti e si compiacciono di loro stessi. Ricordiamoci la parola: compiacimento. Con un tocco di immensa lucidità e perspicacia, nell’omelia di domenica 4 novembre 2001, nella Chiesetta di San Pancrazio a Gessate, Don Stefano ha detto: «Proviamo ad indovinare quali sono i requisiti per conseguire la santità. Sono la permissività (la comprensione), l’umiltà (la modestia), la gioia (l’amore per la vita). Ebbene, allontanarsi da queste qualità significa allontanarsi dalla santità». Ma quali sono le qualità contrarie a ‘permissività’, ‘umiltà’, ‘gioia’? Eccole: ‘imposizione’, ‘compiacimento’, ‘tristezza’, cioè proprio quelle che fanno allontanare dalla santità; quindi è bene che noi tutti pensiamo ad abbandonarle se vogliamo avvicinarci un poco di più alla santità. Sembra tuttavia, e non è un caso, che queste ultime tre prerogative siano ampiamente in possesso dei nostri esimi fondamentalisti islamici, e sembra anche che se ne vantino parecchio, a che titolo, non è dato sapere. Come è possibile che venga consentita l’evoluzione della cultura nel regno dell’imposizione? Come è possibile conseguire dei primati quando non si possiede la modestia intellettuale necessaria al miglioramento della qualità e si coltiva la supponenza? Come è possibile per una persona incurante della vita rendere un servizio al prossimo? È possibile questo? Francamente non lo credo. Ora, la civiltà (uso questo termine) araba-coranica, dal secolo di Maometto (il 600) finoall’anno 2000 ha avuto l’evoluzione che ha avuto. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Essa ha subito un netto blocco culturale. E io penso che la spiegazione di tale blocco culturale vada ricercata nel principio ispiratore della condotta islamica: la ‘sottomissione’ (muslim significa ‘colui che si sottomette’). Ma la sottomissione implica l’‘imposizione’. L’Islam è in primo luogo una religione ‘imposta’ (checché ne dicano i vari imam con risultati peraltro poco convincenti). Essa predica la rivalsa nei confronti di chi non la professa, rivalsa ispirata a un concetto di giustizia soggettivo e dunque violento. L’Islam non insegna il perdono (vedi ‘occhio per occhio dente per dente’…). Religione di ‘sottomissione’, significa anche religione di ‘chiusura’. L’Islam sponsorizza un’etica involutiva (vedi la condizione femminile, la poligamia, la mancanza della comunicazione audiovisiva…), cioè non consente il dibattito al suo interno, ovvero non si mette in discussione. Rifiutare la discussione, il dubbio, significa aver paura, significa pensare di non essere nel giusto. La divulgazione e l’imposizione degli insegnamenti della legge coranica hanno assoggettato per secoli intere popolazioni a una ‘dittatura religiosa’, annullando addirittura i valori delle civiltà preesistenti sorte nella Penisola Arabica, in Mesopotamia, e nell’Africa settentrionale (principalmente in Egitto) prima del VII secolo. Ho letto recentemente nella testata di un articolo la seguente affermazione (suggerimento) citata da Boukiri Bouchta, l’imam di Torino, rivolta agli ‘Occidentali’ per indurli a capire l’Islam: «Occorre leggere il Corano ‘diversamente’, altrimenti (questa considerazione era sottintesa) non lo si deve leggere affatto». Secondo Bouchta la lettura ‘diversa’ dovrebbe far intravedere agli Occidentali quella speranza che si ostinano a non trovare (o a non voler vedere) nel Corano. A me sembra invece che non sia opportuno ricercare la ‘Speranza della redenzione’ dove non c’è, e men che meno credo sia opportuno rinunciare alla lettura del Corano per evitare di riceverne delusioni e fraintendimenti. Da ciò si evince che l’Islam purtroppo non brilla di luce propria, che non ha mai brillato di luce propria, nemmeno ai tempi della sua massima espansione nell’area mediterranea; bensì è stato fondato e si è retto per secoli sulla devastazione demagogica provocata dal grande plagio filosofico di massa. Le radici dell’Islam non poggiano sul ragionamento razionale e democratico. Il dubbio logico, plausibile, misterioso, tra anima e mente ne esce occultato, annullato. L’Islam ha la pretesa della certezza, dunque è una religione senza speranza. E poiché la speranza è l’entità che anima l’uomo nella vita, si può comprendere perché l’Islam attribuisca uno scarso valore alla vita terrena. L’Islam vive, resiste, si tramanda, da quattordici secoli con alti e bassi, ma non sa espandersi (come alcuni invece vorrebbero). Ecco poi che nelle frange estremiste le componenti della discriminazione, della presunzione, dell’assolutismo, della supponenza, ne affossano ogni carattere di umanità.
Prendo spunto da un’altra opportunità offertami per dimostrare quanto labili e ambigue siano le basi filosofiche dell’Islam. Leggo che i musulmani italiani vogliono isolare (forse espellere) l’imam di Torino per essersi dimostrato ambiguo nelle dichiarazioni di condanna degli attentatori di New York. In questo contesto polemico l’associazione dei musulmani italiani afferma con vigore: «L’Islam è giustizia, non terrorismo». E ci risiamo, dico Io. Ancora una volta l’Islam si tradisce. Ma chi può essere depositario della giustizia, se non Dio? Questo almeno dice il Cristianesimo. Solo Dio può giudicare, non gli uomini. Gli uomini comincino a comportarsi bene, poi si vedrà! E la fede consiste proprio nel credere in tale opportunità. I musulmani invece no. Loro sono i paladini della giustizia, e in base a tale convinzione procedono nelle loro ‘giuste’ azioni di riordino. E questo sarebbe ancora il minore dei mali, se i musulmani si limitassero ad azioni di riodino per così dire ‘costruttive’. Il fatto è che, per far rispettare la ‘loro’ giustizia, pare procedano a pratiche cruente e vendicative, in una parola ‘violente’ (come è stato mostrato in un recente filmato televisivo in cui si vedeva una donna musulmana tagliare la gola all’assassino del proprio marito). (continua)

Twin towers N.Y.

7) Il fondamentalismo è terrorismo

20-novembre-2001  (continuazione)

Ma il fondamentalismo è terrorismo, ovunque, non religione. Facciamo ora il seguente esempio. Vi accorgete guardando dalla finestra che un gruppo di malintenzionati sta tentando di rubare la vostra auto. La prima cosa che fate è aprire la finestra ed agitarvi imprecando da lontano, nella speranza che quelli, scoperti, desistano. Ma i malviventi, tra l’indifferenza, proseguono nella loro opera, anzi, inveiscono contro di voi e prendono a calci la carrozzeria. Allora voi, imbelviti e snaturati dalla rabbia, afferrate il piccolo macete che serve al giardinaggio e che tenete ben riposto sotto il lavello in cucina , vi precipitate dabbasso e affrontate il gruppo. Pur vedendovi arrivare così agguerrito, i malavitosi vi assalgono da più parti, vi scherniscono, e continuano a danneggiare la vostra auto. A questo punto vi accorgete che gli irresponsabili dispongono solo di coltellini tascabili per la loro difesa, cosicché, pur essendo solo contro tanti, avete buone probabilità di… ecco, di che cosa? Di indurli alla fuga? No, perché il loro fine ultimo non è salvarsi, ma semplicemente quello di danneggiare il più possibile la vostra auto. Di salvaguardare la vostra auto? No, perché è già stata danneggiata parecchio. Di preservare voi stessi? Forse, dato che siete armato più di loro. Dunque, agite con rabbia per fronteggiare i loro assalti dissennati. Allora cominciate a menar colpi alla cieca. Ne atterrate tre, ne ferite un quarto, ne inducete alla fuga un quinto. Risultato: Tre persone hanno perso la vita. Siete accusato di omicidio (forse, se vi andrà bene ve la caverete con un po’ di seccature giudiziarie). La vostra auto ha subito ingenti danni. Voi avete riportato serie lesioni. I vostri sentimenti sono rimasti feriti. I convincimenti iniziali non sono cambiati. L’odio non si è assopito, anzi è stato semmai alimentato. La qualità del sistema non è migliorata. Proviamo ora a immaginare un altro tipo di reazione, completamente opposta alla prima. Anziché lanciarvi sui malintenzionati con propositi bellicosi, vi armate di pazienza, vi contenete, scendete in strada e con le buone maniere tentate di calmare quella gente e di convincerla a desistere. È ovvio che un simile tentativo comporta una ben precisa predisposizione al rischio e al sacrificio. Ma voi siete preparati e dotati di generosità e abnegazione, dunque non avete paura di spendervi. Quale può essere il risultato? Esiste una probabilità minima che gli animi invasati di quelle persone rimangano toccati, impietositi e ravveduti dai vostri atteggiamenti pacifisti. La cosa improbabile è che voi riusciate a convincere in quattro e quattr’otto del proprio torto chi vuole punire voi per il solo fatto che possedete quel simbolo di ricchezza. Il meglio che vi può capitare in un simile frangente è di non perdere la vita e di rimanere a terra malconcio e sanguinante e di ritrovarvi l’auto distrutta. La reazione buonista istintiva, immediata, condotta senza copertura e presupposti è senz’altro perdente. Vi è un terzo modo per intervenire. Cioè non intervenire direttamente. Cioè seguire le procedure della legalità formale e della burocrazia. Appena vedete lo scempio perpetrato ai danni della vostra auto, chiamate la polizia, la quale probabilmente interverrà a delitto già commesso. Vi saranno rilevamenti di indizi (forniti da voi), deposizioni (la vostra), denunce (la vostra). Seguiranno le indagini. Nella stragrande maggioranza dei casi i colpevoli rimarranno impuniti. Voi dovreste semplicemente accontentarvi di fornire alla giustizia tutti gli elementi in vostro possesso confidando che il loro inserimento in una banca dati possa un domani servire a ridurre la criminalità. Il cittadino, ben consapevole del fatto che lo stato di diritto in cui vive è impreparato a tutelarlo, dovrebbe fare un autentico atto di fede. Sulla efficacia di questo terzo comportamento, risparmio ulteriori commenti. Come si vede nei vari esempi, rimangono insufficienti sia la reazione unicamente violenta e incontrollata, sia l’eccessivo permissivismo conciliante e passivo, sia infine il fiducioso e utopistico appello alla legalità assoluta. L’unico modo per ottenere il miglioramento della qualità in un sistema deteriorato è adottare la ‘prevenzione futura’. Ci si basa innanzi tutto su una oculata lettura dei fatti accaduti. Si discute e si produce il cosiddetto ‘disegno di stato futuro’. Quindi si adotta un nuovo programma nel rispetto del quale la prospettiva futura figura diversa da quella attuale. Nello stesso tempo, il comportamento e la prevenzione devono potersi inserire in un sistema ‘predisposto’. A volte le condizioni di partenza, per poter essere create richiedono interventi chirurgici urgenti e radicali. Alcune di queste operazioni di ripristino credo siano già state avviate di questi tempi e lo si vede dagli avvenimenti correnti. Dopo, prenderà atto la cura a lungo termine per debellare definitivamente la malattia. Non vi sono alternative alla efficacia di un tale comportamento. Una sequenza di provvedimenti come quelli appena accennati non può derivare da una presa di posizione gratuita, bensì da una severa e responsabile autocritica, che può anche svilupparsi in maniera non manifesta, per salvaguardare l’onore. Ma ciò che conta in questi casi, sono i fatti. Vero è che i vari governi della Terra che finora hanno vissuto di lucri e irresponsabilità si trovano in evidente difficoltà a evitare il fondamentalismo e di conseguenza a combattere il terrorismo. Per farlo efficacemente occorremettersi in discussione, dopo di che si potrà decidere di continuare sulla strada già percorsa o si potrà decidere di cambiare radicalmente percorso. Dunque, la parte ricca ed economicamente potente della Terra deve convincersi che si trova di fronte a una deriva di conseguenze originate da una sua deficienza di giustizia iniziale. Occorre attuare una politica generosa e fiduciosa nei confronti dei paesi arretrati (finora mantenuti in stato di arretratezza). Al mondo ricco conviene fare questo tipo di ragionamento anche da un punto di vista strettamente egoistico (tanto il risultato non cambierebbe), pensando che la sua salvezza è legata a quella dei popoli da lui fino ad ora sfruttati (molti dei quali, guarda caso sono paesi votati all’Islam). Il mondo ricco deve spendere fortune e travasare fondi nei paesi poveri elevando la loro condizione di vita e di istruzione. Deve educarli a saper respingere autonomamente ogni forma di violenza (sia essa nascosta o evidente), e a farli optare per la tolleranza determinando la regressione del fondamentalismo islamico. La tolleranza è basata sulla consapevolezza, l’intolleranza invece si basa sull’ignoranza. Quali sono le prime strutture fondate dai missionari cristiani nelle terre lontane? Le scuole; seguono poi le chiese e gli ospedali. Perché il fondamentalismo islamico vuole imporsi con la forza? Che cosa teme? Perché terrorizza? Perché vuole eliminare i proselitismi? Semplice: perché ha paura del confronto. Ma perché teme il confronto? Risposta: perché la filosofia sui cui poggia è debole, non è valida, vacillerebbe ad ogni critica. Dunque per sopravvivere deve imporsi, deve minacciare. Il gioco diventa pesante perché va esteso il domino della contesa; occorre traslare e scindere le ragioni di tanto caos che sta investendo la parte dominante della Terra. Occorre non confondere gli ‘errori’ commessi finora dalla ‘comunità occidentale’ da quelli che sono gli effettivi ‘demeriti’ attribuibili alla ‘filosofia del sistema occidentale’. Occorre subito dire che gli ‘errori’ definibili ‘folli’ rimangono tali sia quando vengono commessi in mala fede, sia quando vengono commessi in buona fede (purtroppo gli errori sono errori); l’unico elemento di distinzione è che nel primo caso non sono scusabili, mentre nel secondo sì. E proprio in questo processo di distinzione il mondo si riconosce, si riflette, si autoregola, si autogestisce, si autoricondiziona, riconvertendosi quando è necessario. Per quanto riguarda i ‘demeriti’ filosofici del sistema occidentale, essi esistono certamente, ma qui non si può procedere ad una liquidazione sbrigativa dei fatti perché occorrerebbe aprire una discussione interminabile sui ‘massimi sistemi’. Dico solo che per arrivare ad una conclusione pur sempre parziale, occorrerebbe citare e vagliare infiniti aspetti appartenenti del cosiddetto ‘sistema occidentale di gestione’. Il fatto che il fondamentalismo islamico si erga a paladino della salvaguardia mondiale contro una lista di ‘presunti difetti’ dell’occidente (concetti astratti che vanno dalla corruzione all’immoralità, dall’imperialismo all’anarchia, dal consumismo al liberismo), ignorando volutamente la lista dei ‘meriti’ dell’occidente (lista di eventi concreti che hanno portato alla modernizzazione del mondo con il miglioramento delle condizioni e della speranza di vita: i progressi scientifici in campo ambientale, energetico, chimico, biochimico, di conseguenza tecnologico-ingegneristico; i progressi umanistici nei campi della ricerca storica, filosofica, artistica, sportiva; le conquiste socio-politiche delle popolazioni), rappresenta una dimostrazione di parzialità e indisponibilità inaccettabili per qualsiasi ordinamento basato su criteri di libertà e uguaglianza. Dunque, appare piuttosto arduo accettare l’affermazione che il fondamentalismo islamico sia nel giusto. La ragione della sfiducia deriva proprio dalla sicurezza ostentata. La debolezza dell’Islam si ritrova tutta quanta nella promessa della ‘giustizia sicura’. Più i giorni passano, devo dire, più si radicano in me le seguenti convinzioni. -L’Islam è concettualmente responsabile del concepimento del fanatismo derivante dal fondamentalismo islamico. -La civiltà dell’Islam sbaglia quando proclama di volersi contrapporre alla ‘civiltà occidentale’, poiché in realtà in quel momento essa si oppone a tutta la popolazione non islamica del pianeta. -L’Islam, allo stato attuale, si trova in posizione di inferiorità etica rispetto al ‘resto del mondo’. Per recuperare credibilità deve fare autocritica. -È vero che il fondamentalismo islamico non rappresenta l’Islam, bensì una specie di fascia eversiva dell’Islam, che si muove contro l’Islam stesso e contro il ‘resto del mondo’. -È vero che la dottrina islamica è ambigua, perché dietro un velo di falso pacifismo essa nasconde inquietanti concetti di moralità e supponenza. -Proselitismi dell’Islam sono inutili in una società tecnologicamente evoluta. -L’Islam può espandersi verso le masse popolari dei paesi poveri. -Il ‘resto del mondo’ deve provvedere da subito ad elevare le condizioni dei paesi più poveri, per impedirvi l’approdo dell’Islam e salvare sé stesso. -Un altro modo per contenere l’espansione dell’Islam è quello di non tentare di frenarne l’avanzata con l’isolamento dei paesi islamici, bensì quello di coinvolgerli in misura sempre maggiore nelle vicende planetarie. -Paradossalmente devo ammettere che questa mia serie di riflessioni probabilmente non avrebbe mai avuto luogo senza l’atto terroristico alle Twin Towers di N.Y. -Paradossalmente devo riscontrare che dopo l’attentato alle Twin Towers c’è stata una presa di coscienza generalizzata sui reali problemi del mondo. Mi vergogno nello scrivere queste due ultime affermazioni, poiché quelle 3000 persone morte nell’attentato non ci sono più, e tutte queste cose potevano esser dette anche prima di quei fatti. Però è andata così. Le torri le ricostruiremo, perdio se le ricostruiremo! Tali e quali, non fosse altro che per presunzione. Sì! Qualche dose di presunzione a volte è necessaria. Ma i morti sono morti, e non torneranno. Anche i morti di questi giorni della guerra in Afghanistan non torneranno. La dignità umana costringe a dire e a ricordare che sono persone umane anche loro, e che sono morte anch’esse indirettamente per causa del terrorismo islamico dei Talebani e di Bin Laden. Per questo gli attentatori, i gruppi terroristici mandatari, i governi simpatizzanti degli attentatori, vanno perseguiti e rovesciati. Le reti finanziarie di appoggio alle organizzazioni terroristiche verranno smantellate. Non serve combattere l’Islam, e nemmeno serve cercare di contenerlo, poiché a questo pensa l’Islam stesso. Nella misura in cui l’Islam è un mondo a sé, ebbene vediamo che esso si manifesta come un mondo chiuso. Serve piuttosto aiutare l’Islam, coinvolgere l’Islam, dare fiducia all’Islam, proprio per consentire all’Islam di evolversi, ovvero di sconfessarsi. Questa non deve essere un’utopia, bensì una fede e una speranza. Per valutare correttamente gli attuali avvenimenti serve individuare la differenza, alquanto sottile ma essenziale, e per quanto mi risulta nemmeno stabilita dai dizionari, tra civiltà e cultura, che per me è la seguente: Civiltà: insieme di usi e costumi in un sistema organizzato. Cultura: sapienza, coscienza (consapevolezza), livello di moralità e di qualità della vita.

11-k,l

Mistica conoscenza immaginaria*

13-luglio-2001

Oggi mi è successo qualcosa di grandioso, il che mi ha indotto a somme riflessioni. Dopo aver recepito per giorni e giorni parole altrui, sentimenti altrui, comportamenti altrui, ricchi di squilibri e incongruenze, che mi hanno deluso e perfino indispettito, volendo come liberarmi da un fardello oneroso, desideroso di abbracciare candore ed avvertire lasensibilità, mi son costruita l’idea di una persona ideale. Alfine, inaspettatamente, mi è capitato di vedere camminare per strada l’immagine di quell’essere fecondo, e ne sono rimasto estasiato. Naturalmente si trattava di una donna. Dalla purezza delle forme, devo dire, è apparsa, didascalica e divina, un’effige magica che ha semplicemente materializzato quanto mi ero prefigurato in una specie di sogno, di immaginazione. Mi chiedo se mai una persona così affine alla magia sia consapevole di poter rappresentare un ideale di vita per gente più matura ed esperta, quale me, di questi tempi. Ciò che mi affascina e mi commuove all’unisono, è il fatto che qualcuno viva senza sapere esattamente ciò che la sua esistenza rappresenta per altri esseri, che lo apprezzano proprio per quello che incute loro. È questa sorta di noncuranza, di leggerezza, a fornirgli il lasciapassare per crescere e progredire indisturbato tra gli infiniti limiti del mondo. La sua perfezione lo fa scivolare indenne tra le angustie e i tormenti, che non conosce e quindi non valuta, lo fa passare incolume tra i sospiri e le ansie. Questa incoscienza virtuosa gli spiana i sentieri, gli facilita gli accessi e gli ottenimenti. Dopo di che, la vita sua diventa semplice e priva di conflitti. Ma non è più gioiosa di altre vite complesse e problematiche, è solo una vita temporaneamente esente da tortuosità, le quali peraltro, a tempo debito si sentiranno. Ma ciò che conta infine è sempre la consapevolezza delle cose e dei fatti. Ciò che diventa impossibile stabilire per l’osservatore esterno, quale io mi reputo in questo momento, è compiere quell’opera maestra, di travaso, di istruzione, di salvataggio oserei dire, nei confronti di un essere tanto impavido e inerme, per renderlo cosciente del suo potereinfinito di seduzione e amore. L’apprezzamento della persona e della vita è qualcosa di soave e di melodico. Guardare una madonna che ti parla, o immaginarla, o vederla raccontata non importa, purché ella esista. Ed esisterà sempre nella mente umana assetata e stanca, un miraggio che la consoli, una meta che la diriga, un sogno che la appaghi. Ciò che si conosce è vita, non ciò che si ha. Ciò che si sente e si immagina dona la forza, non le lotte e le conquiste. Dunque, eterea figura immaginata e materializzata, hai tracciato in me un solco e l’hai colmato di terra dopo le sementi. Così ora anch’io so di te e posso compiacermi delle forme perfette e impersonali del tuo volto, liscio, giovane, intoccato e sorridente. Ho conosciuto da lontano un simbolo, una voce, un suono indefinito, eri proprio tu, proprio come immaginavo fosse la perfezione ideale della femminilità, giovane e spontanea, e pure dolce e smaliziata. E l’innesto di te nei miei nuovi spazi crea un fatto singolare, ripetitivo sempre, ma mai stancante: che le tue sembianze rappresentino la vetta insuperabile della bellezza. Pure non sarai certo l’unica al mondo in questa tua completezza, e pure in ogni nuovo momento sembra che tu lo sia. Questo a te serba l’inganno, ma non è un inganno, perché è vero, perché ogni prodezza, ogni confessione, ogni stimolo, per te è una valenza nuova; mentre per il tuo nuovo conoscente è un mezzo per palpitarti accanto. Ogni tuo nuovo conoscente, bada, può apprezzarti solo finché ti immagina. La materialità affossa il sentimento, si degna solo del raccolto. Il disincanto è torpore, insensibilità. Sì, tu sei la nuova dea della bellezza. I vascelli moderni portano le tue sembianze sulla loro bandiera attraverso i mari ed estendono l’immagine tua nei continenti affinché possa estasiare nuove menti, ammaliare nuovi spiriti. No, no, o Dea della bellezza, voglio che tu rimanga incontrastata nel firmamento dei miei sogni, fata o regina a piacimento. Perché vedi, altrimenti, con queste mie parole rischierei di conquistarti, il che non voglio; non sarebbe onesto, ma servile, per me, il tuo sguardo nei miei occhi. Che lo sia in quelli di un altro, meno avvinto ai nuovi amori, che ti giudichi, che ti apprezzi, e che ti goda e ti conosca quale tu già non sei, altrimenti ti rispetterebbe e morirebbe di te per esserti degno pienamente. Non è possibile avere la tua bellezza ed esserne paghi. Son due cose antistanti l’una all’altra, ma indisponibili al contempo. Oppure, l’evento che concerne entrambe, non lascia aditi e speranze, e induce dritti dritti a morirne dopo averle assaporate.

10-g

Considerazioni *

Luglio-2001

Null’altro che considerazioni. In esse ci si culla, non è necessario che siano argute, costruttive. Nulla è più importante che una semplice considerazione. Il bello è che senza considerare le cose non esisterebbe l’intelletto umano. Occorre arguire, e trasporre idee in suoni vocalici, gli uni dopo gli altri, e udirseli per il vaglio mentale. 


9-b,d,p

Che bello sarebbe se Miloševič si pentisse*

29-giugno-2001

È bello pensare che un’evenienza simile possa verificarsi. Una dichiarazione di pentimento resa pubblicamente dal tribunale dell’Aia sarebbe un documento di valore inestimabile reso all’umanità. Gli effetti probabilmente sarebbero grandiosi. Le genti di ogni etnia e di ogni ceto verrebbero trascinate e coinvolte in una meditazione profonda e inusuale. In un turbinio insolito di pensieri molte menti rigorose rimarrebbero sopraffatte dallo stupore, e, forse, una volta tanto (sarebbe un precedente meraviglioso), convinte ad abbandonare gli asti e le presunzioni. Forse, finalmente, molti e molti, vedendo il loro capo morale definitivamente sconfitto nell’intimo, svuotato di ogni residuo desiderio di rivalsa, abbandonato ogni desiderio di lucro, perse le invidie, lasciate le presunzioni, acquistata la modestia, potrebbero effettivamente ripensare la loro posizione spirituale fino ad allora tanto radicata e indiscussa. Sarebbe questo un immenso giovamento per l’umanità intera. Lo smacco delle invidie assurgerebbe ad altezze preponderanti e grandiose. L’intero universo umano ne trarrebbe giovamento. I coltivatori di odi dovrebbero abbandonare le loro filosofie, i mafiosi vedrebbero minate le fondamenta di falsi onori e glorie. Tutti i malvagi si troverebbero spaesati davanti a un tale e tanto rinsavimento morale. 


8-d,f,g

Paura e ingenerosità *

21 marzo 2001

È banale: quando cerco di giustificare una persona insoddisfatta del proprio lavoro (non arrivo a dire chi non ha fatto carriera sul lavoro, poiché non vorrei aprire polemiche con taluni colleghi) devo sistematicamente rilevare quanto modica risulti la sua spesa di sé stesso ai fini di tale conquista. Devo prendere atto altresì della sua cocciutaggine (o mancanza di flessibilità) e spesso della sua avarizia. Quasi sempre del cospicuo amor proprio, della sua paura (o mancanza di coraggio), e purtroppo, devo ancor dire, della sua immancabile, deleteria, coerenza. L’ingenerosità, in molti casi, non è rivolta agli altri, come sembrerebbe facile pensare, ma verso se stessi.

 

7-e,f

Cibi transgenici *

17 marzo 2001

Ho appena seguito un servizio in televisione sui cibi transgenici. Ammetto che prima d’ora non avevo colto la fatiscenza di questo ennesimo disguido in cui l’umanità sta prendendo atto di essersi cacciata. La cosa più preoccupante è nuovamente l’atteggiamento remissivo delle nazioni di fronte al dilagare di una pratica dagli effetti imprevedibili. La ricerca scientifica è passata totalmente al servizio dell’economia senza traguardare le conseguenze estreme sulla natura. Il trucco della modifica dei genomi viene usato ormai massicciamente, irresponsabilmente, sbandierando i vantaggi esclusivamente economici derivanti dalle manipolazioni. Perché anche se si dovesse sconfiggere la fame nel mondo attraverso l’incremento produttivo degli alimenti sarebbe pur sempre una conquista economicamente vantaggiosa per i paesi ricchi. Dunque le conseguenze imprevedibili sulle sperimentazioni non vengono neppure testate, e si procede a spron battuto inquinando sempre di più la catena alimentare con ogni sorta di modificazioni di geni, modificazioni che diverranno ereditarie e si spanderanno ovunque come un’epidemia, negli agroalimenti e nei cibi derivati presenti nei supermercati. Si attende che le prime manifestazioni indesiderate si abbiano magari tra dieci o quindici anni, e che studi e statistiche prima o poi riescano a dimostrarle. Nel frattempo le prove di laboratorio sono volte a scoprire sempre nuove modificazioni, anche se imperfette, che diano risultati brevettabili, pubblicizzabili, e irrinunciabili per l’industria alimentare. Sì, irrinunciabili, poiché tutto si svolge lungo una strada senza ritorno, si corre lungo un’interminabile corsia di sorpasso, superando continuamente veicoli e veicoli e schivando una dopo l’altra le auto incrociate. In questa corsa ciò che guasta è la mancata prospettiva di un possibile ritorno al passato, anche per un solo senso di riparazione. La cattiva strada proposta per la riparazione (impossibile per me da un simile punto di vista) è data dal continuo (e inutile) perfezionamento delle informazioni riguardanti l’origine delle nuove specie botaniche presenti sulle etichette delle confezione poste in commercio. Non è questa la strada da seguire per salvaguardare il consumatore. Il problema non è tanto il monitorare la merce già inquinata biochimicamente, ma evitare tale inquinamento. È perfettamente inutile seguitare a dare sempre maggiori dettagli circa la composizione, i trattamenti, la provenienza dei cibi, come a voler scaricare sul consumatore la responsabilità dell’utilizzo di un cibo possibilmente inquinato. La colpa non può non essere solo e sempre a valle della catena. La responsabilità è sempre e solo di colui che esercita il potere di decidere, non del popolo che vive. Chi consuma non può decidere poiché viene plagiato dallo stesso produttore. Quando la moltitudine si sente provocata, defraudata, insultata, allora ha una reazione incontrollata e tardiva, rivoluzionaria, dunque deleteria e violenta, a questo punto rinnovatrice. 


6-f,g,h

Il potere che abbiamo *

1-novembre-2000

Raccolgo questa sorta di consiglio dall’omelia di Don Vincenzo Marras. «Provare a capovolgere i valori della vita per tentare di capire. Impegnarsi a rovesciare i falsi valori e nel ratificare la povertà. Essere semplici e misericordiosi per accogliere il dono del Signore. Scoprire nella nostra vita i segni concreti dell’amore del Signore verso di noi. Leggere nella nostra vita personale anche nei momenti più bui. Noi possiamo ancora dire no al male. Abbiamo questo potere immenso. Abbiamo il dono immenso della libertà. L’amore del Signore non è a corrente alternata. È continuo. Il nostro peccato è non dire no di fronte alla prevaricazione dei limiti.»

 

5-c,d

Capitalismo *

15 ottobre 2000

Non sono un comunista, proprio per niente, non lo sono mai stato. Affermo soltanto che… il capitalismo è la principale causa degli attuali mali del mondo. Quando ero giovane già lo sospettavo, ma allora ero inesperto, e in parte condizionato dalle mie radici. Ma ora che sono adulto, mi sento equidistante da ogni vertice d’angolo, e affermo con più forza e decisione che sì, proprio il capitalismo è la fonte dei mali del mondo. La sua filosofia è sbagliata, non conduce da alcuna parte. Da qualsiasi lato lo si analizzi, sia dal punto di vista etico, sia dal punto di vista scientifico, lo scopro fallace e illusorio, deleterio. Sviluppiamo dapprima il punto di vista etico. Il capitalismo indica come via di progresso la libertà di movimento e di azione nel pieno rispetto delle leggi democratiche in funzione dello scopo principale che è la creazione della ricchezza, alias l’arricchimento. Già qui si nota una contraddizione evidentissima, poiché non si vede come l’arricchimento possa avvenire liberamente senza contrastare con alcuna legge. Prova ne è che i ricchi onesti sono pochissimi. La gran parte della gente onesta non è gran che ricca. Ma la domanda maggiore è: cosa spinge i facoltosi ricchi a perdere di vista la modestia intellettuale che forse avevano acquisito agli inizi con gli apprendimenti più semplici ed edotti? Da cosa deriva in loro quel credere, pugnace e caparbio, che la ricchezza debba essere costantemente incrementata a titolo personale? Se lo scopo ultimo (dichiarato) è di sgravare le genti della povertà e di restituire loro libertà e dignità precedentemente tolte, perché partire sempre dall’arricchimento personale, e non adottare dall’inizio un criterio di distribuzione degli investimenti limpido, parallelo? Perché continuare a mettere in cascina denaro o investire in attività dubbie, equivoche? Perché falsare bilanci per evitare di pagare tasse a uno stato che di principio non può certo barare? Perché nascondere il denaro nelle banche estere? Perché finanziare illecitamente i partiti? Perché far parte di logge segrete? Perché servirsi di amicizie compromettenti? Perché circondarsi di persone spudoratamente ambigue e servizievoli? Tutte queste domande non trovano una risposta plausibile, perché se l’avessero, i ricchi sarebbero ridimensionati nelle loro facoltà e poteri e non costituirebbero più il principale ostacolo alla evoluzione della società. Allora dobbiamo concludere che il capitalismo non paga, è bensì fonte e causa di ingiustizie e di tirannia. Per ora fermiamoci qui. Dobbiamo accontentarci e perseverare nell’arguire, dalle fonti dell’intelletto, spiegazioni ipertese e anche strascicate, pure in ogni caso accettarle come antidoto al prosieguo demenziale delle filosofie illusorie e presuntuose dei ricchi e potenti epuloni.


4-d,i

Triste riflessione *

15 ottobre 2000

A volte si prova uno sconforto talmente grande da non poter veramente desiderare di vivere oltre. In questi casi il solo elemento che impedisce di porre termine alla propria esistenza è in un certo senso la responsabilità di portare a termine una missione da una parte, e la consapevolezza di creare un danno maggiore a delle persone vicine dall’altra. Resta da stabilire se quest’ultimo punto non sia piuttosto un alibi per poter restare egoisticamente in vita, negando una liberazione effettiva a delle persone altrimenti strettamente a noi vincolate.  


3-b,m

Fine del regime di Miloševič *

6 ottobre 2000.

Oggi è il secondo giorno della presa di Belgrado da parte dei dimostranti, contro il regime di Slobodan Miloševič. Mi ero fatta l’idea che un personaggio come Miloševič non avrebbe resistito a lungo senza la droga del potere. Per lui sarebbe stato inconcepibile cedere il passo all’evidenza degli eventi che lo vedevano sconfitto. «Pur nel cinismo disperato della sua depravata mentalità non avrebbe retto allo schianto del suo ideale di vita», questo pensavo fino a pochi momenti prima. «In realtà un uomo vestito di simile angoscia e avvolto costantemente da tale tragedia non può avere alcun motivo, né molte capacità, per reggere ad un drastico surclassamento della sua sciagurata morale», questo mi dicevo. Ho creduto di essere così giunto alla comprensione del suicidio di molti ex potenti. Invece, con mio sommo dispetto, ho dovuto constatare una spudoratezza in Miloševič senza confini, inimmaginabile. Non era fuggito, e non si era neppure tolto la vita. Stava semplicemente nascosto a meditare l’ennesima mossa. È riapparso oggi riconoscendo la sconfitta, ma pronunciandosi papale papale per una sua volontà a continuare la vita politica a capo del partito socialista serbo… Devo ammettere di essermi sbagliato. Ho assistito ad un adeguamento in me della mia posizione mentale in merito alla vicenda. Per questo, dopo aver cercato di identificarmi in lui con tutti gli sforzi possibili, sono giunto alla seguente conclusione: il suicidio è un gesto per gente coraggiosa, forte, impulsiva, non per gente subdola, razionale, vigliacca. Il suicidio è un atto di forza. L’odierna oscena proposta di ripiego di Miloševič dimostra la sostanziale perversità della sua mente, il suo cinico calcolo, il suo egoismo spinto all’eccesso, la sua bassezza morale. Si toglie la vita chi è talmente drogato di potere da non poterne sopportare la mancanza, o chi dopo gli onori e la gloria, anche se immeritati, non riesce a sostenere la mediocrità o il vituperio; e non dimentichiamo la generosità dei cosiddetti suicidi indotti. Chi invece è sobrio e cinico nel perseguire ideali sbagliati e mete false, manca solitamente di coraggio e forza per compiere gesti estremi di personale generosità e liberazione. 

2-k,q

Le modelle di via Manzoni *

6 ottobre 2000.

Provo un magico stupore e un’ammirazione folle per la bellezza pura e semplice, inespressiva, ostentata dalle modelle di via Manzoni, scintillanti di gesti e di luci mondane. Se ne vanno imprendibili, sicure, virtuose, inconsapevoli, lontane. Mi chiedo se non sia ingiusta la distribuzione della bellezza. Poi, fortunatamente considero la relatività delle cose, e l’inesistenza della bellezza assoluta in sé. Basterà ciò ad accontentare le donne, e a ridistribuire tra loro vanto e grazia? Le grida folli e disperate non sempre sono udite. Ma quali parole sono le più udite? Gli echi del cuore forse? O i cenni esteriori del corpo?  


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