Natale 1998


Sabato, 25 settembre 1998, in un ipermercato della provincia lombarda, nei pressi di Milano. Ora di punta, circa le 11 del mattino.

1.

Alla ricerca del banco del pesce  

Una coppia di mezza età. Lei spinge il carrello
nervosamente con tenue speranza e rassegnata
pazienza, direi con divina costanza,
dirigendosi a fatica verso il banco del pesce.
Sanno in che direzione si trova, ma non scorgono
ancora nulla in lontananza.
Urtano nella furia misurata e contenuta,
con delicatezza, altri carrelli impantanati
nel marasma paludoso di quella giostra
folle di luci e colori.
Come autoscontri silenziosi roteano lenti
sull’affollatissima pista, verso nessun traguardo,
verso nessuna partecipazione: solo foga
e brama composta, irruente,
gioco dolce e tragico di diritti e parodie:
«Sono già le 11, se non ci muoviamo

ci beccano tutto il pesce».


4.

I calzini per lui  

Muoversi tra i filari di uva matura nelle vigne
dell’Oltrepò nel periodo della vendemmia,
e pensare a cose opulente e ludiche
senza lasciare strascichi di rimorsi,
non ha nulla a che vedere col dover raggrumare
i propri pensieri davanti ai grappoli di calze
blu grigie e beige, agli imbandieramenti
di ’braghe e maglie nella corsia dell’intimo uomo.
Lei apostrofa la ’sua’ scarsa attenzione
mettendolo alle strette:
«Le vuoi di lana o di cotone?»
Lui, abbacinato da stress da indifferenza
risponde con ricercata ironia inciampando
in una ormai impassata terminologia:
«Dal makone cotò in su mi va bene»,
che evidentemente sta per:

«Dal cotone Makò in su mi va bene». 


Domenica mattina, 26 settembre 1998, davanti alla chiesa all’uscita dalla messa.

6.

Il ciclista

Un gruppo di ciclisti armati di tutto punto,

– bici superleggera, tuta elastica sfavillante,
occhiali, scarpette da ballo, –
prima rallenta, l’ultimo del quartetto si ferma,
fa equilibrismo per qualche attimo,
infine atterra e chiede un’indicazione stradale
a un passante. Il passante gesticola e s’impegna.
La cosa si fa lunga, già i compagni
sono piccoli punti in fondo al viale.
Il ciclista freme, inizia le contorsioni
per riprendere quota e velocità,
ma gesti e parole lo inseguono.

Con sgradevole disimpegno decide per uno strappo,
si gira e si piega con decisione sui pedali.
Il tizio gesticola e fa un ultimo sforzo
per completare la spiegazione urlandogli dietro:

«É giù di là…».  


8.

La ditta dei sogni: un giorno qualsiasi in ufficio  

Il capo si presenta divino e potente
con una delle solite allucinanti pretese:
«Mi serve l’outlook delle produzioni
a fine anno, per il forecast
dell’ultimo quarter».
«Il tempo di reperire i dati e lo faccio».
«Guardi che è urgente».
«Per quando le serve?»
«In teoria per ieri».
«Non so se ho tutti i dati disponibili».
«Non importa. Vada giù di brutto
con quelli che ha». 

10.

Consigli al collega

La moglie telefona in ufficio.

Lui si attarda nella conversazione.
Passa del tempo e lui è al telefono.
Poiché si tratta di un’interurbana,
la preoccupazione delle attente colleghe
comincia a dare i suoi frutti,
per il suo esclusivo bene:
«Chiamala te, Maurizio..., altrimenti
le va su il telefono!».


12.

Rimpianto di una risata  

Ogni battuta spiritosa è dimenticata.
Siamo rimasti a secco di battute.
V’è da dire che in ufficio
se ne sente spesso la mancanza,
di battute spiritose, perché servono
a tirare su il morale.
Ed ecco intervenire un solerte collega
con la solita incantata gentilezza
e sublime sensibilità:
«L’altra sera ne avevi
tirata fuori una buona.
Non me la ricordo più».


14.

Ritorno a casa  

Siamo rincasati dopo una giornata
intensa e agitata; come sempre
colma di accanimento esasperante,
di pretese assurde.
Impermeabile gettato sul divano,
la borsa ai piedi del tavolo,
accendo la luce in cucina.
Foulard abbandonato sul sofà,
gonna sfilata sul tappeto, scarpe scalzate,
ispeziona le stanze per finire sdraiata sul letto.
Parole urlate da un capo all’altro
dell’appartamento: «Senti, ho fame».
«Anch’io» è la risposta.

«Prepara qualcosa da mangiare».
«Non c’è molto in frigo».
«Immagino».
«Fai fuori qualcosa di veloce».
«OK. Metto su qualcosa».


2.

A caccia di pane  

Oltrepassata con decisione e coraggio
l’ennesima esposizione di articoli convenientissimi
e costosissimi, si intravedono già in lontananza
le forme quasi arrossate delle pagnotte
nei capienti cesti di vimini. Lui si rivolge a lei
con stomachevole noncuranza,
in sintonia con l’indifferenza e la sufficienza
emanata dal luogo di perversione:
«Vuoi tirare su il pane?»  

3.

Materiale scolastico 

L’inizio dell’anno scolastico si approssima.
La corsia della cancelleria è ricolma di articoli:
è impossibile trovare matite o biro singole,
o un solo quaderno, un fascicolo, una gomma,
un temperino. Tutto è confezionato a pacchi,
in quantità enormi, accatastato
in immensi cesti metallici.
Di fronte a tanta abbondanza,
diventa difficile individuare l’utile dal superfluo.
Roteando lo sguardo ubriaco di luccichii e colori,
viene voglia di finire in fretta,
il più in fretta possibile,
e pur di finire si è disposti a cedere;
la confezione sta lì pronta e invitante,
nel dubbio si implora un conforto:
«Cosa faccio..., la tiro su?»
«Ma sì... tirala su», è la risposta alla capitolazione.


Domenica, 26 settembre 1998, durante la visione in TV del
Gran Premio del Lussemburgo 
di Formula 1.

 5.

Gran premio

Tutti in preda alla febbre gialla da campioni,

rossa da motori, un irrisorio spot pubblicitario
di alcuni secondi pronunciato
da una voce giovanile acerba ed eccitata
stempera di prepotenza l’attesa
per un sorpasso cruciale con una improbabile affermazione, il cui soggetto è Shumaker,
e lo strumento la Ferrari, alla quale tutti
sono costretti a credere, anzi, con cui tutti,
ma proprio tutti, sono d’accordo:

«Quando arriva senti il motore che ti prende dentro». 


7.

A tavola. Questioni di frutta

Momenti di ansia estrema 
e accuse di dispotismo 
teorizzando a tavola sulla quantità di frutta 
da potersi mangiare in una sola volta.

Come si fa a masticare per tre minuti,
in poltrona davanti a un film,
una fetta di mela sbucciata,
o tre acini d’uva senza semi,
o mezza prugna bianca denocciolata,
o una susina che sia matura,
o una pesca gelata
se qualcuno mi aiuta a finirla?
«Orbene, – sentenzio, – la frutta andrebbe
fatta fuori a chili salendo su un albero
e cogliendola dai rami». 


9.

Sempre nella ditta dei sogni: tra colleghe

«Ho sentito che le cose non vanno troppo bene».

«Sì, è meglio stare in campana».
«Già, conviene tirare di riga».
«Sì, ma senza esagerare nel darci dentro». 


11.

Calda raccomandazione  

Come se non fosse mai concesso
starsene nel proprio brodo,
come se gli altri non avessero
un minimo di buona creanza,
come a non volersi preoccupare mai,
ma proprio mai, dei loro fatti,
ma sempre, sempre, sempre
e soltanto di quelli degli altri.
Mai un dubbio, mai un pensiero,
un’interpretazione, un rispetto,
uno sforzo di comprensione o di calata,
per capire uno stato d’animo, una difficoltà,
una tristezza, una preoccupazione.
Solo noncuranza, curiosità, provocazione.
Ecco, uno stuzzichio da pura perversione:
«Stamattina non ti vedo a posto,
mi sembri un po’ sfasato,
vedi di metterti in riga».


13

Al mattino in metrò  

É tardi.
Ci siamo svegliati tardi,
a fatica abbiamo recuperato
minuti preziosi
accelerando al massimo
i preparativi di uscita.
In metro siamo seduti
l’uno accanto all’altra.
Mia moglie, tra l’assonnato e l’ansioso,
mi occhieggia di sbieco,
con lo sguardo innocuo ed evasivo
cerca clemenza nel mio.
Apre un varco nel silenzio
a sussurri, riversa su di me
le remore del fallito tentativo
di recarsi in ufficio di buon’ora
per sistemare le pratiche in sospeso.
Così, confessa finalmente:  
«É suonata la sveglia a una cert’ora.

Ma nel sonno devo avergli dato un ’cruck’,
così l’ho zittita».


15

Al mattino, alle prese coi vestiti  

È superfluo pensare che tutto vada liscio.
Lo stupore e le sorprese
sono di scena al mattino
durante il rito della vestizione.
I pantaloni blu sono in tintoria,
il maglione giallo non seduce,
è improvvisamente infeltrito,
il gilet grigio smagliato fa schifo,
è impossibile metterlo.
Si può non avere
un paio di calzini in tinta?
Poi d’improvviso una luce:
«Ohibò, questa camicia
da dove salta fuori?»