ARTICOLI 2011
150 ANNI – UNITÀ D’ITALIA
Il percorso storico verso l’unità
Numero 1.2011
“Il Dialogo” ha deciso di partecipare alle celebrazioni del 150° anniversario dell’unità d’Italia con articoli che verranno pubblicati nel corso dell’anno e che rievocheranno alcuni degli episodi più significativi del Risorgimento.
È in atto, ultimamente, una rilettura critica di questo periodo storico vista da varie angolazioni (destra-sinistra, clericale-anticlericale, filo meridionalista-anti meridionalista…) nella quale non intendiamo addentrarci perché non abbiamo la presunzione di competere con gli specialisti della materia. Ci proponiamo con questa prima uscita, di farne una semplice presentazione, la più obiettiva possibile, affinché i nostri lettori possano meglio valutare quello che capiterà loro di leggere.
LE IDEE
Un aspetto alquanto dibattuto è quanto il Risorgimento sia stato un movimento di pochi intellettuali e quanto un movimento di popolo. Esistono numerosi studi in proposito; noi facciamo notare che le Cinque giornate di Milano, le Dieci giornate di Brescia, i Mille di Garibaldi, i volontari che affiancarono i soldati regolari nelle guerre di indipendenza, furono tutte manifestazioni spontanee di popolo ma constatiamo altresì che nel campo letterario vi è stato un fiorire di opere che hanno dato una veste politica ai semplici entusiasmi che venivano dal basso.
Tra le figure intellettuali dell’epoca spicca quella di Giuseppe Mazzini. Egli maturò una propria visione del problema italiano per il suo carattere repubblicano e per l’affermazione di un nesso inscindibile tra nazione e libertà. Il nazionalismo di Mazzini era anche caratterizzato da un senso etico-religioso e romantico. Il motto “Dio e popolo” racchiude la sintesi del suo pensiero.
La dottrina politica di Mazzini e particolarmente il suo romanticismo influenzano i cosiddetti poeti della patria che con il loro culto della libertà e il loro entusiasmo accompagnano le più belle e popolari imprese del Risorgimento. Ricordiamo Berchet, Mameli, Mercantini, autore de “La spigolatrice di Sapri” componimento notissimo (Eran trecento/eran giovani e forti/e sono morti!) che fece parte a lungo del patrimonio culturale degli Italiani.
Più realistica, disincantata e scevra dagli abbandoni sentimentali tipici dei mazziniani è la poesia del Giusti, liberal-cattolico moderato che nella famosissima “Sant’Ambrogio” si abbandona a commossi richiami di fratellanza tra gli uomini.
Infine un’età contraddistinta da una così larga partecipazione alle vicende politiche da parte degli intellettuali ci ha dato anche tanti libri autobiografici in cui gli autori descrivono gli avvenimenti cui presero parte o dei quali furono spettatori. Ricordiamo Silvio Pellico con “Le mie prigioni”, Settembrini, Nievo, Tommaseo e Cesare Abba, autore di “Da Quarto al Volturno”, testimonianza dell’impresa dei Mille.
Una posizione di notevole originalità, all’interno del dibattito politico dell’epoca fu quella di Carlo Cattaneo, contrario sia al conservatorismo filo monarchico dei moderati che al rivoluzionarismo dei mazziniani. Egli concepiva il Risorgimento non come una missione di tipo quasi religioso ma come un progressivo sviluppo economico e civile fondato su basi più concrete e operative. L’importanza che egli dava alla libertà e all’autonomia superava la prospettiva unitaria di Mazzini e lo portava a immaginare l’Italia futura coma una federazione di stati simile alla Svizzera e agli Stati Uniti.
Accanto a queste figure di intellettuali risalta in tutta la sua grandezza lo statista italiano per eccellenza: Camillo Benso Conte di Cavour. Figlio di un proprietario terriero si dedicò allo studio dei classici del pensiero economico e politico europeo e viaggiò molto in Francia, Gran Bretagna e Germania. Tutto ciò contribuì a dargli competenza tecnica, modernità e apertura internazionale che ne fecero uno statista unico nel panorama politico italiano del tempo.
I FATTI
1815-1849 Da Carlo Alberto a Vittorio Emanuele II
Tra la disfatta di Napoleone e i moti del 1848 si sviluppa una fase storica caratterizzata dalla tendenza a ripristinare un ordine sociale e politico ispirato a quello esistente prima della rivoluzione francese. Tale ordine venne sancito con il Congresso di Vienna del 1815.
L’opposizione a questa restaurazione si basò su due temi strettamente collegati: le libertà costituzionali e la questione delle nazionalità. La lotta fu condotta, soprattutto nella fase iniziale, attraverso organizzazioni clandestine che si formarono nei vari stati: in Italia la Carboneria.
I primi moti rivoluzionari iniziarono nel 1820 e si verificarono in Spagna, Portogallo, nel Regno delle Due Sicilie e, nel ’21, in Piemonte, protagonisti i giovani aristocratici all’opposizione. Il loro obiettivo era una riforma moderatamente costituzionale e il progetto, ancora politicamente assai vago, di muovere guerra all’Austria per conquistare l’indipendenza dell’Italia settentrionale. Il reggente Carlo Alberto concesse la costituzione ma poi ritirò il suo appoggio lasciando senza riferimento i patrioti lombardi che vennero arrestati.
Negli anni successivi una nuova fase di insurrezioni si verificò in varie parti d’ Europa: in Grecia, in Francia, in Belgio, in Polonia, nell’Emilia Romagna mettendo in crisi l’ordine imposto dalla restaurazione ed evidenziandone le contraddizioni che esplosero poi nel biennio rivoluzionario 1848-49. Nel giro di pochi mesi, tra il gennaio e l’aprile del ’48, in gran parte dell’Europa scoppiarono rivoluzioni che rovesciarono governi e troni.
La scintilla scoccò a Palermo in gennaio e subito il movimento dilagò nel cuore del continente: fu la volta di Parigi, in febbraio, e poi in marzo-aprile nella Confederazione germanica, in Prussia, a Vienna, a Milano (le Cinque giornate), a Venezia, Parma, Modena, Budapest e Praga.
A Milano si era costituito un governo provvisorio, guidato da aristocratici moderati, nel quale tuttavia vi era un gruppo di democratici che facevano riferimento a Cattaneo. Si profilò subito un conflitto tra le due fazioni sull’opportunità o meno di chiedere l’intervento militare del Piemonte, al quale Cattaneo era decisamente contrario. Il nodo fu sciolto direttamente da Carlo Alberto che, dopo parecchie esitazioni, dichiarò guerra all’Austria. Le deficienze militari dell’esercito sabaudo ed una strategia incerta e attendista portarono alla sconfitta di Custoza e alla negoziazione di un armistizio col quale i Piemontesi si impegnavano a ritirarsi oltre il Ticino. L’anno successivo, nell’intento di recuperare il prestigio compromesso, Carlo Alberto ruppe la tregua e riprese le ostilità ma venne definitivamente sconfitto a Novara e dovette abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II.
1849-1861 Il Regno d’Italia
Nonostante la sconfitta nella guerra del 1848-49, il regno sabaudo rimaneva l’unica forza in grado di porsi alla testa del movimento risorgimentale. Cavour fu il principale artefice della stagione riformistica degli anni cinquanta. Egli riteneva che il progresso economico e civile, la trasformazione del Piemonte in uno stato moderno al livello delle più avanzate nazioni europee, fosse la premessa indispensabile per assumere un ruolo dominante nella vita politica italiana e mettersi alla testa del processo di unificazione. La ricerca delle necessarie alleanze internazionali spinse Cavour a impegnare il Piemonte nella guerra di Crimea, con utili effetti propagandistici. Le manovre di Cavour ebbero infine successo: nel luglio del 1858 egli strinse con Napoleone III gli accordi di Plombières che impegnavano la Francia a entrare in guerra a fianco del Piemonte nel caso in cui quest’ultimo fosse attaccato dall’Austria; in cambio la Francia avrebbe ottenuto Nizza e la Savoia. Seguirono mesi febbrili durante i quali, accanto alle esitazioni di Napoleone III, timoroso di alienarsi il consenso dei cattolici francesi, vi furono da parte del Piemonte iniziative provocatorie nei confronti dell’Austria, tese anche a farsi interprete delle aspirazioni dell’opinione pubblica italiana. Fu l’Austria infine a rompere gli indugi dichiarando guerra al Regno di Sardegna. Iniziò così la seconda guerra di indipendenza.
Volontari accorsi da tutta Italia vennero inquadrati nel corpo dei Cacciatori delle Alpi, comandato da Garibaldi, che ottenne i primi successi conquistando Como e Varese, mentre l’esercito piemontese era vittorioso nella battaglia di Magenta e nei sanguinosi scontri di San Martino e Solferino. Ma Napoleone III si ritirò improvvisamente e unilateralmente firmando l’armistizio di Villafranca, in base al quale l’Austria cedeva la Lombardia alla Francia, che a sua volta la donava al regno di Sardegna, mentre il Veneto rimaneva agli Asburgo.
Grande fu la delusione di Cavour e dei patrioti italiani ma il processo unitario non si arrestò perché nel frattempo Toscana, Parma, Modena e le legazioni pontificie si erano ribellate, votando plebisciti di annessione al Piemonte per i quali Cavour riuscì a ottenere il consenso internazionale.
Ma nel 1860 fu l’iniziativa dei democratici a infiammare la situazione.
Giuseppe Garibaldi godeva di uno straordinario prestigio e la sua vita di combattente per la libertà aveva acceso la fantasia popolare. Convinto repubblicano decise comunque di muoversi al servizio del progetto monarchico di unificazione organizzando la spedizione dei Mille che, con una trionfale dalla Sicilia a Napoli, provocò lo sgretolamento dello stato borbonico, suscitando entusiasmi e ammirazione in tutto il mondo.
Cavour, che preoccupato per il carattere democratico e mazziniano dell’iniziativa e delle possibili reazioni internazionali aveva tentato invano di ostacolarla., inviò un corpo di spedizione che si impadronì dello stato pontificio, Roma esclusa.
Garibaldi non osò spingersi fino ad uno scontro con l’esercito di Vittorio Emanuele II e si piegò all’autorità del sovrano nelle cui mani consegnò le regioni meridionali che votarono con plebisciti l’annessione al Piemonte.
Il 17 marzo 1861 nasceva il Regno d’Italia, sotto Vittorio Emanuele II.
Roma Capitale – Trento e Trieste
Dal punto di vista territoriale, tuttavia, l’unificazione nazionale, intesa nel senso di portare i confini politici dello stato a coincidere con quelli geografici della penisola, non era compiuta in quanto mancavano le regioni del Triveneto, rimaste sotto la dominazione austriaca e Roma, soggetta al potere temporale del Papa. La questione Veneto fu risolta attraverso l’alleanza con la Prussia nella guerra vittoriosa che questa condusse contro l’Austria, nel 1866. In cambio della propria partecipazione, l’Italia poté annettersi il Veneto, ceduto dagli Austriaci ai Prussiani e da questi a Napoleone III che a sua volta lo consegnò all’Italia.
Più difficile da risolvere era il problema di Roma in quanto le possibilità di manovra del governo italiano erano limitate da una sorta di soggezione alla Francia, dato che l’unificazione era stata possibile anche grazie all’appoggio francese, e dalla presenza in Roma di una guarnigione transalpina a protezione del Papa.
L’evento che sbloccò la situazione fu la sconfitta francese a Sédan ad opera dei Prussiani che determinò la caduta del Secondo impero. L’Italia procedette quindi all’occupazione militare della città il 20 settembre 1870 e Roma venne annessa al Regno d’Italia mediante il plebiscito del 2 ottobre.
Fu infine con la Grande Guerra che si raggiunse il completamento dei confini geografici ad est.
Il conflitto fu terribile e segnò tragicamente una generazione ma contribuì a rinsaldare lo spirito unitario ancora molto fragile.
Alla disfatta di Caporetto, diventato sinonimo di disastro catastrofico, seguì la reazione sorprendente sul Piave e sul Monte Grappa fino all’offensiva di Vittorio Veneto. Alla conclusione delle ostilità, il 4 novembre 1918, l’ Italia si annetteva il Trentino-Alto Adige e l’Istria, con le città simbolo di Trento e Trieste.
Valter Gorla